Da Valigia Blu
Il 15 marzo 2011 cominciava una delle più gravi crisi umanitarie e politiche del nostro secolo: la guerra civile in Siria. Le proteste pacifiche contro il governo per chiedere un cambiamento democratico, infatti, incontrarono quel giorno la feroce repressione del regime di Bashar al Assad. Era l’inizio di una guerra civile devastante, che ha segnato per sempre il paese e la regione.
13 anni dopo, il paese è diviso in diverse aree, alcune sotto il controllo del governo siriano con l’appoggio di Russia, Iran e Cina. Altre sono invece sotto il controllo dei gruppi di opposizione e delle milizie, con il sostegno di Turchia, Stati Uniti e altri paesi.
Dopo il terremoto che ha colpito Siria e Turchia il 6 febbraio 2023, complice anche il ripristino dei rapporti tra Iran e Arabia Saudita, la Siria è stata riammessa nella Lega Araba lo scorso maggio. Era stata espulsa già nel 2011, allo scoppio della guerra civile, proprio come risposta alla repressione attuata dal regime di Assad. La decisione della Lega Araba ha suscitato indignazione tra le forze di opposizione e tra gli attivisti siriani in diaspora.
In questi 13 anni è soprattutto la popolazione civile siriana ad aver pagato un costo elevatissimo per la guerra, in termini di vite e violazioni dei diritti umani. Intere città sono state distrutte, le infrastrutture demolite, esponendo le persone a violenze inimmaginabili.
Il numero di vittime del conflitto è stimato tra le 500mila e le 650mila persone. Secondo le Nazioni Unite, sono 7,2 milioni di sfollati interni, mentre i rifugiati verso i paesi vicini sono più di 5 milioni. Questi rifugiati sono in gran parte bambini e giovani, e versano in gravi condizioni a causa della povertà e dell’accesso limitato a servizi essenziali, come cibo e assistenza medica.
Per l’Agenzia ONU per i rifugiati (UNHCR), grava sulla situazione attuale dei rifugiati siriani anche l’attuale conflitto a Gaza, così come l’intensificarsi degli scontri al confine tra Israele e Libano. Sono già più di 90mila gli sfollati dal Libano meridionale, e tra questi oltre 7mila sono siriani.
All’interno dei confini siriani, invece, come riferito lunedì scorso da Paulo Pinheiro, presidente della Commissione di inchiesta delle Nazioni Unite sulla Siria, vive in povertà “oltre il 90 per cento della popolazione”. “L’economia è in caduta libera a causa dell’inasprimento delle sanzioni, e l’aumento dell’illegalità alimenta prevaricazioni ed estorsioni da parte delle forze armate e delle milizie”, ha evidenziato Pinheiro, per il la Siria “ha disperatamente bisogno di un cessate il fuoco”. L’UNICEF riferisce come nel paese la malnutrizione cronica riguardi “650mila bambini sotto i cinque anni, con un aumento di circa 150mila bambini nei quattro anni successivi al 2019”.
Negli ultimi mesi gli attacchi contro i civili si sono intensificati, portando il totale dall’inizio dell’anno a più di 140. Per le le Nazioni Unite l’inasprimento degli scontri è cominciato lo scorso 5 ottobre, quando nella città di Homs, controllata dal governo, una serie di esplosioni durante una cerimonia di laurea ha ucciso almeno 63 persone, tra cui 37 civili. Il governo siriano e la Russia hanno risposto con una serie di bombardamenti che in circa 3 settimane hanno colpito oltre 2mila diversi punti nelle aree controllate dalle forze di opposizioni. I morti ammonterebbero a centinaia di civili.
Secondo Kelly Petillo ricercatrice dell’European Council on Foreign Relations ed esperta del Medio Oriente, attualmente “il regime siriano e i suoi sostenitori russi e iraniani stanno intensificando l’uso di droni suicidi in aree chiave per l’agricoltura, come Hama, Idlib e Aleppo”. L’obiettivo, secondo Petillo, è minacciare quelle zone rimaste fuori dal controllo del regime e che fungono da ancora di salvezza.
Sul presidente Bashar al-Assad, sul fratello Maher al-Assad e su due alti ufficiali siriani pende attualmente un mandato di arresto internazionale emesso dalla giustizia francese. Sono accusati di complicità in crimini contro l’umanità e in crimini di guerra, accuse che si riferiscono all’uso di armi chimiche vietate contro i civili siriani. Uno dei due attacchi chimiche al centro delle accuse, quello del 2018 a Douma, è il più devastante mai avvenuto da quanto è entrata in vigore la Convenzione di Parigi sulle armi chimiche.
A fronte di questa terribile emergenza umanitaria e di un conflitto che non sembra destinato a finire, l’UNHCR ha evidenziato come negli ultimi anni stiano venendo meno i finanziamenti necessari per fronteggiare la prima. Questo sta mettendo le agenzie umanitarie di fronte alla difficile situazione di decidere a quali attività umanitarie dare la priorità. L’UNHCR ritiene servano 1 miliardo e 490 milioni di dollari per garantire gli aiuti necessari alla popolazione siriana, e solo una piccola parte di questa somma è attualmente disponibile.
Per sostenere gli sforzi necessari nell’assistenza umanitaria nella regione, l’UNHCR ha lanciato proprio in questi giorni la campagna #Siria13anni. È possibile contribuire con una donazione tramite questa pagina.
Come dichiarato da Chiara Cardoletti, Rappresentante UNHCR per l’Italia, la Santa Sede e San Marino, “I siriani meritano la fine di questa crisi e di un’agonia che dura da troppo tempo. In attesa che vengano trovate le ormai indispensabili soluzioni politiche quello che possiamo e dobbiamo fare è stare accanto ai rifugiati e agli sfollati siriani, non dimenticarci della loro sofferenza e restituire loro la speranza”.
Nell’immagine: fotografia di Shawkat Alharfoush/UNHCR per la campagna #Siria13anni