Caicchi e portaerei

Caicchi e portaerei

Nel Mediterraneo naufraga e sprofonda l’umanità di una politica bieca e cinica che in mare si esercita a preparare la guerra


Orazio Martinetti
Orazio Martinetti
Caicchi e portaerei

L’ennesimo, disastroso naufragio di un’imbarcazione colma di migranti sulle coste della Calabria lascia interdetti. Si rimane paralizzati, senza parole, ma la tragedia preme e interroga le coscienze. Com’è possibile che ancora, dopo tanti anni di morti assurde, nessun paese, nemmeno un’alleanza sovranazionale come l’Unione europea, sia riuscito ad allestire un programma d’intervento comune che comprenda pure i regimi, invero infidi e instabili, dell’Africa settentrionale? Quest’assenza, venata di disimpegno e spesso di cinismo, grida vendetta al cielo. Chissà se negli europalazzi in vetrocemento di Bruxelles e Strasburgo si sappia cosa succede nei paesi destinatari dei miliardi stanziati per trattenere e rinchiudere in campi speciali i profughi in marcia verso Occidente. Probabilmente deputati e funzionari non hanno mai fermato lo sguardo su una donna incinta già vedova, un bambino orfano, un neonato piangente e disidratato. Alcuni di questi campi sono stati visitati e filmati, soprattutto quelli in Grecia e in Turchia (in Libia sono invece veri e propri Lager, sorvegliati da secondini criminali).

Si sa che il fenomeno migratorio è diventato negli ultimi decenni una formidabile arma politica. Chi chiude, chi alza muri, chi disincentiva, chi srotola filo spinato, chi respinge guadagna consensi (a meno che il postulante sia una persona facoltosa). Corre l’idea che il rifugiato tolga qualcosa, sottragga benessere e alla fine spolpi l’assistenza sociale. L’idea invece che un giorno questo stesso rifugiato possa contribuire a colmare i vuoti di una demografia anemica o possa, dopo adeguata formazione, ridare linfa all’apparato economico, non entra nemmeno in considerazione. «Wir schaffen das», possiamo farcela, disse la cancelliera Merkel accogliendo un milione di fuggiaschi siriani. Certo la Svizzera non è la Germania, ma non sembra che la barca sia piena.

Mentre il caicco turco andava a sfasciarsi come una botte fradicia sugli scogli del mar Jonio, tre imponenti imbarcazioni solcavano le acque del Mediterraneo: tre portaerei – immaginiamo a propulsione nucleare –, una italiana (Cavour), una francese (Charles de Gaulle), una americana (Truman). Un’esercitazione immaginiamo costosissima, per mobilitazione di uomini e risorse. I vertici della Nato hanno spiegato che tale dispiegamento di forze è dovuto alla crescente minaccia russa nell’area, anch’essa sorretta da un numero crescente di navi da guerra e da sommergibili. Non si ha notizia se questi convogli abbiano intercettato qualche barcone e abbiano tratto in salvo qualche profugo in procinto di affogare. Se lo facessero, violerebbero anche loro qualche norma internazionale di recente conio?

Da una parte uno sgangherato caicco stracolmo di disperati, dall’altro una flotta carica di aerei, bombe e missili intenta a scrutare le mosse del nemico. Chi sta nel mezzo, come noi davanti al televisore, osserva non senza angoscia questa folle corsa verso l’abisso di una civiltà che si sta lentamente sciogliendo sotto la cappa dell’indifferenza e della violenza.

Nell’immagine: le tre portaerei

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