Leghismo in pochette.

Leghismo in pochette.

Metamorfosi e continuità della Lega dei Ticinesi a Lugano, un po’ inaspettatamente ancora al comando della città.


Ruben Rossello
Ruben Rossello
Leghismo in pochette.

È bastato vedere il sorriso incontenibile del sindaco Michele Foletti all’annuncio dei risultati delle elezioni comunali di domenica per capire che l’ipotesi di una grave sconfitta della Lega dei Ticinesi a Lugano era tutt’altro che una montatura giornalistica.  Il pericolo è stato reale e molto temuto, tanto che nelle settimane precedenti il voto, qualche dirigente del movimento si era persino chiesto se il lungo ciclo storico del movimento non fosse ormai concluso. 

E invece, 33 anni dopo il suo esordio, questo partito-non partito, da tempo orfano di quasi tutte le figure carismatiche e dirigenziali che ne plasmarono la nascita e la crescita, mantiene (alleata con l’UDC) la maggioranza relativa nel Municipio della più importante città ticinese e soprattutto la carica – fortemente simbolica – di sindaco di Lugano.  Un fatto quasi sorprendente, se consideriamo che una lenta erosione dei voti leghisti è comunque cominciata da tempo, tanto a livello cantonale (meno 4 deputati in Gran Consiglio nel 2019 e meno altri 4 nel 2023), così come in città (un seggio in Municipio lasciato ai cugini dell’UDC nel 2021 alla morte di Marco Borradori). 

Vien da chiedersi allora, come abbia fatto la Lega a raccogliere ancora tanti consensi e cosa ha permesso a Michele Foletti di prevalere su Marco Chiesa quale sindaco. Certo: bisogna pur dire che la tradizione di Lugano quale città liberale nasce ben prima della Lega e quindi l’attuale maggioranza di centro destra – unica tra le grandi città svizzere – non deve sorprendere. È proprio in queste radici saldamente liberali e in parte conservatrici che la Lega pesca da trent’anni buona parte del proprio consenso (sarà Giorgio Giudici a definirla una costola liberale…), pur con il linguaggio e il carattere di un movimento con accenti populisti e nazionalisti che la tradizione liberale rifugge.

L’ impressione è che in questa ultima gara tra la Lega e l’UDC a Lugano, la Lega sia stata avvantaggiata dal proprio “carattere sociale” e nel contempo la personalità più popolare di Foletti abbia finito per prevalere sul temuto avversario. Infatti, appena poche settimane fa la campagna a favore della tredicesima aveva diviso i due alleati: per la Lega la “tredicesima ai nòs vécch” è un vecchio cavallo di battaglia, mentre l’UDC non si era schierata tra i favorevoli. Sul piano personale invece ha sicuramente giovato l’immagine di Michele Foletti, leghista moderato, cordiale con tutti, molto legato al sindaco scomparso e con un aplomb poco formale; un sindaco che ama indossare la pochette, ma più per vezzo che per ricerca d’eleganza. 

Inoltre – come ha giustamente scritto Luca Bellinelli su queste pagine – a confermare che l’UDC è la destra più destra del duo ci ha pensato l’UDC stessa, pochi giorni prima del voto facendo affiggere sui muri della città un manifesto che è sembrato un siluro in piena campagna elettorale: “Anarchici autogestiti / fuori da Lugano”. Un manifesto oltretutto anche un po’ ambiguo, visto che, probabilmente, mancava una virgola tra anarchici e autogestiti; a meno che l’estensore della frase pensasse non a tutti gli anarchici, ma solo ad una precisa categoria, quella appunto degli “Anarchici autogestiti”. 

La cosa buffa è che se questo manifesto si riferiva a tutti gli “anarchici”, a suo tempo avrebbe creato problemi persino a Giuliano Bignasca, fondatore della Lega, che appunto amava definirsi … un anarchico. Chissà se qualcuno oggi gli intimerebbe di lasciare la città ?  Diceva il Nano: “Io malgrado tutto sono un anarchico. Io sono nato per fare una politica anarchica, anche se ora siedo in un esecutivo. La mia anima è anarchica. La lega all’inizio era, e lo è ancora sotto certi aspetti, un movimento anarchico.” (Giuliano Bignasca, Falò, 11.01.2001).  In realtà, più che anarchico in senso stretto Bignasca lo si dovrebbe definire un anarchico sui generis o anarcoide; anche se fu proprio un socialista storico quale Dario Robbiani a dargli l’appellativo, a sinistra più che onorevole, di Nano Zapata.

In ogni caso, per tornare all’oggi, l’epoca delle manifestazioni più fantasiose e radicali per la Lega è finita da tempo; così come gli attacchi alle grandi famiglie e alla partitocrazia. Sarebbe inimmaginabile oggi vedere Michele Foletti tenere un comizio in piazza Riforma, in piedi su un carro agricolo, accompagnato da due asini che alludono alla classe politica ticinese, così come fece il Bignasca prima maniera. La Lega oggi è un movimento che, di fatto, è un partito come gli altri e anzi rivendica – a livello cantonale come a Lugano – non più progetti rivoluzionari, bensì la virtù della buona gestione della cosa pubblica e si accorda con tutti gli altri nella ripartizione delle cariche pubbliche e para pubbliche. Silvano Toppi molti anni fa ebbe a dire che per servire al Paese e per far si che la sua vena di critica al partitismo ticinese non si annacquasse come invece è poi successo, era meglio che la Lega restasse un movimento di opinione,  con un suo giornale, ma senza diventare un partito.

Di fatto oggi la Lega è un partito della destra ticinese e svizzera, con valori e idee conformi a questa tradizione, ma con caratteri propri che talora la distinguono nel confronto con i cugini dell’UDC; più usi, come col manifesto apparso in città, a messaggi forti che però non sempre ottengono l’effetto e i voti sperati. 

È vero che Il Mattino, giornale non ufficiale della Lega, continua ogni domenica a suonare la grancassa, secondo una consolidata tradizione che fu un in altre epoche di tutto il giornalismo politico ticinese.  Ma anche i toni del giornale non sono più esattamente quelli che furono;  e addirittura nelle pagine interne del Mattino si vedono oggi nomi di collaboratori un tempo inimmaginabili.  

A Lugano a vincere la contesa per la carica di sindaco è stato un leghismo rivisto; un misto,  verrebbe da dire, tra istanze delle origini e la pochette più per bene di Michele Foletti.

Ruben Rossello, giornalista e regista, è l’autore del documentario. Dalla piazza al Palazzo, dedicato ai primi dieci anni della Lega dei Ticinesi, trasmesso dalla RSI nella rubrica Falò l’11 gennaio 2001 e riproposto il 7 marzo 2013 all’indomani della scomparsa di Giuliano Bignasca

Nell’immagine: Giuliano Bignasca nelle vesti di “Nano Zapata”

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