Addio Totò, eroe delle notti magiche
Salvatore Shillaci, il ragazzo del sud che salì in vetta senza abbandonare una marginalità che lo aveva condotto al centro del mondo
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Salvatore Shillaci, il ragazzo del sud che salì in vetta senza abbandonare una marginalità che lo aveva condotto al centro del mondo
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Salvatore Shillaci, il ragazzo del sud che salì in vetta senza abbandonare una marginalità che lo aveva condotto al centro del mondo
Povero Totò Schillaci, trattato come un “terrone” degli anni 60 mentre il mondo stava cambiando, tre decadi abbondanti più tardi. Fu crudele, con lui, Torino.
Quando la mafia fece saltare in aria l’autostrada a Capaci, il Trap (che allenava la Juve) andò da Schillaci e gli disse: «Bravi, avete ammazzato anche Falcone». Totò ci restò di sasso, e con il suo umorismo quasi sempre involontario e non di rado raffinato, rispose: «Mister, ma io ero con Baggio, può chiedere a lui».
Sembra una delle molte barzellette che vessarono l’eroe di Italia ‘90, ma c’era poco da scherzare. Nemmeno Trapattoni scherzava quando disse quella cosa infelice a un ragazzo che aveva solo una colpa: essere siciliano, anzi palermitano.
Non scherzavano gli autori delle scritte sotto casa del centravanti, e neppure i tifosi avversari che ad ogni partita della Juventus cantavano “ruba le gomme/Schillaci ruba le gomme”. Una volta, a Firenze, volò in campo addirittura un copertone. Tutto questo perché il fratello del calciatore era stato fermato dalla polizia che indagava, appunto, su un furto di gomme.
E poi Totò Schillaci aveva davvero lavorato in officina e fatto il gommista: ai beceri di curva non pareva vero. Una vittima perfetta, uno da prendere in giro per come parlava, per le cose che diceva, per gli strafalcioni. Come se tutti gli altri fosse Einstein o Manzoni
Masticava amaro, Schillaci, nella Torino che faceva soltanto finta di emanciparsi dalla grettezza e dal pregiudizio. Non si affitta ai meridionali, cuore compreso, non solo le mansarde di Porta Palazzo.
Quando aveva già smesso di giocare da un pezzo, il bomber delle notti magiche decise di pubblicare un’autobiografia in cui raccontò anche quelle vicende. «A Torino mi emarginarono. Erano offese continue, sfottò, scritte sui muri e cori allo stadio. Per resistere bisogna accettare, e io fino a un certo punto l’ho fatto. Poi basta».
Totò Schillaci venne acquistato dalla Juventus nel 1989 per 6 miliardi di lire. La sua prima stagione bianconera fu esaltante, la migliore: Coppa Uefa, Coppa Italia, 15 gol in 30 partite e la convocazione per Mondiali di Italia 90 che gli avrebbero cambiato la vita. Tutto concentrato, una vertigine pazzesca e destinata a non durare.
Restò alla Juve fino al 1992, e nella seconda stagione segnò 11 gol prima di essere venduto all’Inter per 8 miliardi e mezzo. Una cessione forse non dovuta soltanto al rendimento deludente.
«Quando mia moglie Rita venne coinvolta in quella storia con Lentini, non bastava più “ruba le gomme” tutte le domeniche: anche cornuto». Davvero troppo.
Ma Boniperti non voleva che Schillaci e signora si separassero. «Provò a convincermi, veniva a trovarmi a casa ma il mio matrimonio era già finito. Poi la Juventus mi cedette senza tanti riguardi, però io ero contento perché andavo all’Inter, mica in una squadra qualunque».
Povero Totò, costretto a vivere sulla propria pelle una stagione che in teoria era già finita, quella dei piemontesi che odiano i ”napuli “, i “maruchìn”. Tutto anacronistico, ma il dolore di Totò era sincero perché si sommava alla consapevolezza di essere preso in giro da chiunque.
Le sue “frasi celebri”, le interviste con i sottotitoli della Gialappa’s, l’emarginazione. «Eppure non ero l’unico calciatore che non sapeva parlare», raccontò. «È vero, siamo ignoranti, sbagliamo a investire i soldi, ma a volte la gente è cattiva».
Povero Totò, vittima di una crudeltà più tenace del tempo.
Nell’immagine: Totò Schillaci esulta dopo un gol nelle notti magiche di Italia ’90
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