Afghanistan, serata speciale per non dimenticare
Intervista a Roberto Antonini, il collega della RSI che con Philippe Blanc è all’origine della serata speciale RSI
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Intervista a Roberto Antonini, il collega della RSI che con Philippe Blanc è all’origine della serata speciale RSI
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Sì, l’idea è proprio quella di illustrare la natura di un paese che conosciamo in genere solo per guerre e efferatezze. In altre parole i fondamenti culturali e storici, le radici di quelle popolazioni che riuniamo nel termine afghani, ma che hanno percorsi diversi e che nel bene come nel male, nel sincretismo o nei conflitti, hanno prodotto quel paese grande quasi due volte l’Italia che si trova da 42 anni in guerra e da tre mesi nell’impasse totale. La nostra cifra è quella di dare la parola agli afghani stessi. Afghani sono i nostri ospiti, afghana la musica, afghana la poesia. Tutto questo per sottolineare la grandissima tradizione culturale di un paese che ha dato i natali a filosofi, poeti e mistici nel Medioevo, come il grande Rumi a Balkh, Sanai a Ghazni e che nel XII secolo ha conosciuto con il movimento mistico dei sufi, il suo massimo splendore.
Ritorniamo ai nostri giorni. Tu e il regista Philippe Blanc siete stati in Afghanistan poco prima della caduta di Kabul nelle mani dei Talebani. Avete mantenuto contatti che vi consentono di capire qual è la reale situazione?
Sì diversi contatti, sia con persone che sono rimaste (spesso intrappolate) in quel paese sia con persone che sono riuscite a fuggire e che a loro volto mantengono i contatti con le loro famiglie. Alcuni di questi profughi, come Massood Sanjer, ex direttore dalla principale radio del Paese, Arman FM, sono tra l’altro ospiti in studio della nostra serata speciale. La situazione appare estrema, la crisi economica gravissima, il paese è alla deriva, mancano i soldi, molta gente fa la fame. Tutti più o meno vorrebbero fuggire, delle 700 donne giornaliste ne sono rimaste pochissime. Molte scuole sono chiuse, gran parte delle scuole secondarie vietate alle ragazze. Vi sono tanti regolamenti di conti, Human Right Watch, ONG molto seria e informata, denuncia esecuzioni sommarie di centinaia di persone legate al vecchio regime.
I Talebani sono di nuovo al potere dopo 20 anni. C’è il rischio che si torni all’incubo del periodo 1996-2001?
Potremmo girare la domanda in questo modo: i talebani sono cambiati? La riposta potrebbe essere questa: i talebani sono gli stessi, ma il contesto è sensibilmente cambiato. Vent’ anni fa non c’erano i cellulari, comunicare era difficile, facile intercettare e punire a morte chi possedeva un televisore. I nomi di chi ha preso il potere sono gli stessi di quelli che 25 anni fa costrinsero le donne alla schiavitù (divieto di scuola, lavoro, di uscire non accompagnate, di mostrare il volto in pubblico), che vietarono la musica, la televisione, il cinema, il canto, la poesia non religiosa, che mozzavano le mani ai ladruncoli, che torturavano chi non portava la barba sufficientemente lunga, che lapidavano le presunte adultere, che misero al bando lo sport. I nomi sono quelli del premier Mohammad Hasan Akhund, che fu ministro degli esteri e consigliere politico del Mullah Omar. Oppure il figlio dello stesso Mullah Omar, il mullah Yakub, ministro della difesa. O il famigerato Serajuddin Haqqani, ministro degli interni, terrorista inveterato e ricercato dall’FBI. Difficile capire cosa vogliono davvero fare del paese, perché in questo momento devono mostrare un volto accettabile per sbloccare gli aiuti stranieri, fondamentali per un paese che ha vissuto tradizionalmente, dalle guerra anglo-afghane dell’800 in una sorta di parassitismo imbottito di corruzione. Volto accettabile che è però verosimilmente uno specchio per le allodole a cui può credere forse qualche ingenuo. La composizione “unietnica” del governo, l’esclusione delle donne dall’esecutivo e da gran parte delle scuole, sono segnali inquietanti e le centinaia di migliaia se non milioni di persone che vorrebbero fuggire dal loro paese sono il termometro di quanto la popolazione teme. Secondo Michael Barry, forse il maggior studioso vivente di Afghanistan, il movimento dei talebani associa la visione rigorista dell’Islam di scuola Deobandi (di origine indiana) con il fascismo politico: superiorità di una “razza” (Pashtun) sulle altre, insignificanza delle donne, gestione verticistica, intolleranza del dissenso.
Da dove provengono i talebani? Perché sono nati?
Sono di fatto una creazione del Pakistan. Il regime militare di Islamabad che ha foraggiato e ospitato, con l’aiuto cinese, saudita e americano (in chiave anti sovietica) fino al 1994 i diversi movimenti di Mujaheddin, di fronte alle difficoltà del suo principale alleato in terra afghana, l’estremista fanatico Gulbuddin Hekmatyar e del suo movimento Hezb-e-islami, decide di creare un altro movimento (sempre di etnia pashtun) per combattere i diversi signori della guerra che stavano distruggendo il paese mettendo in pericolo il progetto di un Afghanistan pashtun totalmente controllato dal regime pakistano (a quei tempi diretto da Benazir Bhutto, il suo predecessore Zia Ul Haqq era stato ucciso in un attentato ordito nel 1988 dai sovietici) . I seminaristi coranici, fanatici e sostanzialmente mezzi analfabeti, invasati religiosi e dunque manipolabili, diventano l’arma di una nuova proxy war. Contro i pasthun di Hekmathyar si erano mobilitati gli altri gruppi etnici che i talebani poi massacreranno una volta al potere: i tadjiki del comandante Massoud (ex islamista), gli uzbeki del generale Dostum, la minoranza hazara (sciita) ecc…Grazie al sostegno dei potenti servizi segreti pachistani (ISI) e ai petrodollari sauditi (in chiave anti-iraniana) i talebani sbaragliano i movimenti non pashtun e prendono il potere nel 1996. E governano con il pugno di ferro, un fascismo islamista puro e duro. Contro di loro di formerà poi “l’alleanza del nord” guidata da Ahmed Massoud, formata dai diversi signori della guerra (tra cui molti carnefici) sostenuta dagli americani e vincente a fine 2001.
L’America interviene nel 2001 all’indomani delle Torri gemelle. Rimane vent’anni. Il resto è storia recente. È troppo presto per tracciare un bilancio del ventennio?
Vent’anni con una guerra strisciante e con un esito drammatico: il ritorno alla casella di partenza. Dunque da questo punto di vista bilancio negativo di una guerra che trovava una chiara giustificazione nel dover snidare i terroristi di Al Qaida. Inizialmente non si è trattato di un attacco per esportare la democrazia, di un tentativo di nation building. Washington voleva catturare Bin Laden. Questo era l’obiettivo. Poi negli anni è subentrato il progetto democratico, con una costituzione, diritti alle donne, elezioni libere, modernizzazione ecc. Oltre 2300 miliardi di investimenti, in parte militari, in gran parte civili. Nei miei viaggi ho potuto constatare grandi cambiamenti, ma soprattutto nelle città. Rispetto al paese che ho visto nel 2001, quello del 2021 era un paese più libero, aperto, con le donne molto più presenti nella società, nell’economia, nelle professioni, nello sport e nella cultura. Ma anche un paese stra-sfiduciato, non solo dalla guerra e dal terrorismo dei talebani e dell’Isis, ma anche da un governo corrotto, dalle organizzazioni mafiose, dalla violenza e da un’America che sembrava gestire con disprezzo quel paese da cui non vedeva l’ora di andarsene. Fallimento politico certamente. Ma si spera che della modernizzazione qualcosa possa rimanere e che malgrado tutto quei vent’anni possano alimentare lo spirito di resistenza all’oscurantismo.
Alcuni tracciano un parallelo tra il fallimento sovietico nel 1989 e quello americano. Che ne pensi?
La storia del paese è complessa e si tende a dimenticare le dinamiche di quanto successe nel 1979. L’invasione sovietica fece seguito a una serie di sanguinosi golpe messi a segno da comunisti. Vi fu una vera età aurea in Afghanistan dal 1964 al 1973. Poi cominciò il declino. E la guerra lunga 42 anni. Dapprima Taraki sostenuto da Mosca che nel 1978 uccide il presidente Daoud (che ha avuto il torto di avvicinarsi all’Iran), poi lui stesso ucciso dal premier Amin, pure comunista, in seguito prende il potere un altro comunista, Babrak Karmal a sostegno del quale i sovietici decidono di spedire decine di migliaia di soldati. Fu un bagno di sangue durato due anni, basti pensare che nella sola prigione di Pol Tcharki il regime di Taraki fece fucilare 27mila prigionieri, islamisti, comunisti moderati del movimento Partcham, soufi, persone occidentalizzate eccetera, migliaia di oppositori furono sepolti vivi con le ruspe. Da questo punto di vista il paragone non ci sta. La guerra americana è stata di bassa intensità e le maggiori atrocità in termini numerici sono certamente da addebitare ai talebani. Nulla a che vedere con il decennio 1979-1989 o con la terribile guerra civile 1992-1996. Ma indubbiamente in entrambi i casi siamo di fronte a uno smacco. Si dice che l’Afghanistan è la tomba degli imperi. Di quello britannico e sovietico certamente, di quello americano malgrado tutto non direi. In entrambi i casi vi fu comunque un tentativo di modernizzare il paese, di imporre un modello (socialista e laico da un parte, democratico e capitalista dall’altra : sotto i sovietici e in misura maggiore sotto gli americani, la situazione delle donne è certamente migliorata.
Prospettive?
L’America ha abbandonato il paese, Joe Biden è in linea con Trump. L’Afghanistan non lo interessa e non lo ha mai interessato, anche quando era vice di Obama. La priorità è la Cina. Punto. Washington vuole solo che i talebani non ospitino i terroristi di Al Qaida o Daesh, cioè dell’Isis. La Cina è interessata alle materie prime, controlla già una grande miniera di rame, Pechino non guarda mai in faccia a nessuno, business is business, e soprattutto abbraccia i talebani in chiave anti Uiguri: sostengo Kabul ma in cambio i talebani non danno protezione ai terroristi uiguri, islamci ideologicamente vicini agli stessi talebani. Il paese chiave rimane il Pakistan, nemico storico dell’Afghanistan, che fu l’unico paese a votare all’Onu contro il riconoscimento del nuovo Stato pakistano nato nel 1947, e che tramite il fondamentalismo dei seminaristi coranici vuole controllare e dominare il suo vicino. Di certo le prospettive non sono rosee, la guerra civile tra le diverse etnie appare come una delle ipotesi possibili a medio termine.
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