Antisemitismo e antisionismo, due strade divergenti
Se la guerra a Gaza dovesse concludersi con una seconda Nakba, la legittimità di Israele sarebbe definitivamente compromessa
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Se la guerra a Gaza dovesse concludersi con una seconda Nakba, la legittimità di Israele sarebbe definitivamente compromessa
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Se la guerra a Gaza dovesse concludersi con una seconda Nakba, la legittimità di Israele sarebbe definitivamente compromessa
La distruzione di Gaza è una conseguenza dell’attacco del 7 ottobre o l’epilogo di un lungo processo di oppressione e sradicamento? I palestinesi hanno il diritto a resistere all’occupazione? Parlare di genocidio è antisemitismo? Enzo Traverso, uno dei più autorevoli storici del nostro tempo, va alla radice del conflitto israelo-palestinese chiamando in causa la storia e offre una interpretazione critica che rovescia la prospettiva unilaterale dalla quale ci siamo abituati a osservare ciò che sta accadendo a Gaza.
Israele viene solitamente descritto come un’isola democratica in mezzo a un oceano oscurantista e Hamas come un esercito di belve assetate di sangue. La storia sembra tornare al XIX secolo, quando l’Occidente perpetrava genocidi coloniali in nome della sua missione civilizzatrice. I suoi presupposti essenziali rimangono gli stessi: civiltà contro barbarie, progresso contro intolleranza. Accanto alle dichiarazioni di rito sul diritto di Israele a difendersi, nessuno menziona mai il diritto dei palestinesi a resistere a un’aggressione che dura da decenni. Ma se in nome della lotta all’antisemitismo viene scatenata una guerra genocida, sono i nostri stessi orientamenti morali e politici a offuscarsi. A uscirne minati sono i presupposti della nostra coscienza morale: la distinzione tra bene e male, oppressore e oppresso, carnefici e vittime. L’attacco del 7 ottobre è stato atroce, ma deve essere analizzato e non solo condannato. E dobbiamo farlo chiamando a raccolta tutti gli strumenti critici della ricerca storica.
Antisionismo e antisemitismo hanno sempre intrattenuto un rapporto molto ambiguo. Da un lato, un movimento nazionalista ebraico non poteva che incontrare l’ostilità dei nazionalismi europei, che trovavano nell’antisemitismo uno dei loro elementi costitutivi. Dall’altro, il sionismo cercò fin dall’inizio di usare l’antisemitismo per raggiungere i propri fini. Gli antisemiti volevano cacciare gli ebrei, i sionisti cercavano di convincerli a emigrare in Palestina; antisemiti e sionisti potevano quindi trovare un accordo.
(…) Non c’è dubbio che, soprattutto a destra, molti antisionisti fossero antisemiti. Dopo la nascita di Israele, il mondo arabo ha importato dall’Europa molti stereotipi antisemiti che si sono largamente diffusi proprio nel momento in cui conoscevano un forte declino nei loro luoghi di origine. Questo è un fatto incontestabile. Ma è altrettanto incontestabile che il sionismo è sempre stato criticato, spesso respinto con veemenza, da una componente molto ampia del mondo ebraico. La lista degli intellettuali ebrei antisionisti riempirebbe parecchi volumi. Il sionismo è stato uno fra i tanti prodotti del processo di secolarizzazione e modernizzazione che hanno attraversato il mondo ebraico in Europa a partire dal XIX secolo, rimanendo per lungo tempo minoritario. Oggi la situazione è cambiata, perché Israele è uno stato e, in un mondo laico, la memoria della Shoah e l’esistenza di Israele sono diventati parte dell’identità ebraica diasporica.
Ma la situazione è cambiata soprattutto perché la destra conservatrice e persino l’estrema destra sono diventate ardenti sostenitrici del sionismo, considerando che gli immigrati arabi e i musulmani funzionano assai meglio degli ebrei come capro espiatorio. Gli antisemiti di ieri sono oggi i più accaniti nel denunciare l’antisionismo come forma di antisemitismo. Il caso italiano è emblematico: colpendo l’antisionismo, i «postfascisti», eredi delle leggi razziali del 1938 oggi al governo, possono così affermare il loro sostegno a Israele e la loro appartenenza al campo occidentale, stigmatizzare la sinistra e condurre politiche xenofobe contro i migranti. Ecco come si è arrivati alla situazione attuale, in cui un’insistente campagna mediatica dipinge gli studenti filopalestinesi come antisemiti. In alcune università americane sono state create liste nere e molti studenti sono stati minacciati di sanzioni per la loro partecipazione alle manifestazioni contro il genocidio di Gaza.
Il sacro principio della libertà di parola (free speech) è diventato dall’oggi al domani assai relativo quando ha iniziato a turbare i potenti finanziatori delle grandi università, che in questo modo hanno riconosciuto di essere non solo spazi di libertà intellettuale ma anche, e soprattutto, corporations. L’associazione antisionista Jewish Voice for Peace è stata bandita in diversi campus. In Italia, le manifestazioni a sostegno della Palestina sono state brutalmente represse (tanto che il presidente Sergio Mattarella è dovuto intervenire per ricordare il diritto di manifestare, prendendo le distanze dal governo). In Francia, a dicembre 2023 la municipalità di Parigi ha annullato una conferenza promossa da diverse associazioni antirazziste, tra cui Tsedek, un movimento ebraico antisionista, nella quale era stata annunciata la presenza della filosofa Judith Butler (ebrea americana), di cui in seguito l’École normale supérieure ha rinviato a data da destinarsi anche due conferenze previste a marzo 2024. I responsabili della politica culturale della città hanno spiegato – presumibilmente abbassando gli occhi e arrossendo di vergogna – che non volevano essere complici di un’iniziativa antisemita.
Gabriel Attal, il capo del governo, si è recato all’Institut d’études politiques di Parigi – senza essere invitato e in palese violazione dell’autonomia universitaria – per annunciare sanzioni contro gli attivisti filopalestinesi, dopo che una studentessa sionista era stata espulsa da un anfiteatro dove voleva fotografare gli organizzatori di un meeting sulla Palestina per denunciarli sulla rete. Sebbene gli studenti ebrei, comprese alcune associazioni, siano attivi e molto visibili nei raduni e nelle manifestazioni contro il genocidio a Gaza, si è immediatamente diffusa la falsa notizia, ampiamente riportata dai media, secondo cui degli studenti antisemiti avrebbero cacciato una studentessa ebrea dall’università «perché ebrea».
A New York, hanno iniziato a circolare intorno a Columbia University dei furgoni provvisti di grossi pannelli che esponevano le foto degli studenti filopalestinesi con i loro nomi e lo stigma «antisemita», una triste parodia della Germania nazista del 1935, all’epoca delle leggi di Norimberga, quando gli ebrei venivano fatti sfilare per le strade con un cartello al collo che recitava: Jude.
Nell’immagine: una manifestazione di Jewish Voice for Peace per il cessate il fuoco a Gaza
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