Ancora si dimenticano gli aerosol

Le misure entrate in vigore sabato non tengono conto del fatto che il virus si trasmette per via aerea. Ed è un grosso errore


Riccardo Fanciola
Riccardo Fanciola
Ancora si dimenticano gli aerosol

“Queste poche frasi sugli aerosol rappresentano uno dei più importanti progressi scientifici della pandemia”. Così Zeynep Tufekci commentava l’aggiornamento della pagina dell’Organizzazione mondiale della sanità sul modo di trasmissione della Covid19. Come già avevo scritto, pur continuando a sostenere che “il virus si diffonde soprattutto fra persone a stretto contatto fra di loro”, a fine aprile l’OMS ammetteva infine che “il virus può trasmettersi in ambienti chiusi mal ventilati e/o affollati, dove le persone trascorrono periodi prolungati. Questo perché gli aerosol restano sospesi nell’aria e viaggiano oltre la distanza di un metro”.

Pochi giorni dopo, in un lungo commento pubblicato sul New York Times, Zeynep Tufekci sottolineava che questo cambiamento “rimette in discussione presupposti centrali nella prevenzione dei contagi, vecchi di un secolo”. “Se l’importanza degli aerosol fosse stata riconosciuta prima – proseguiva – ci avrebbero detto che evitando contatti stretti e prolungati con altre persone si è molto più sicuri all’aperto, dove queste piccole particelle si disperdono più rapidamente. Avremmo cercato di rendere più sicuri gli spazi chiusi, con una buona ventilazione e se necessario filtrando l’aria. Invece di regole generiche sugli assembramenti, ci saremmo concentrati sulle situazioni che possono provocare molteplici contagi; persone in ambienti mal ventilati, soprattutto se praticano attività che aumentano la produzione di aerosol, come gridare e cantare. Avremmo cominciato prima a usare le mascherine e avremmo fatto più attenzione a come si adattano al nostro viso. E saremmo stati meno ossessionati dalla disinfezione delle superfici”.

A quasi due mesi da quel cambiamento, perché tornare su un argomento al quale ho già dedicato numerosi articoli (qui, qui, qui e qui)? Perché le misure entrate in vigore sabato mostrano che di aerosol in Svizzera ancora ci si preoccupa poco o nulla: obbligo delle mascherine allentato sul posto di lavoro e nelle scuole secondarie e professionali; revoca dell’obbligo del telelavoro; revoca del limite del numero di ospiti a un tavolo nei ristoranti (dove la mascherina va portata solo quando si è in piedi); apertura di discoteche e sale da ballo, seppur con obbligo di certificato Covid; limite di mille persone, purché sedute, sia all’esterno che all’interno per le manifestazioni in cui non è richiesto il certificato Covid, di 250 con obbligo della mascherina all’interno se stanno in piedi (500 all’aperto); infine, ciliegina sulla torta, esibizioni di cori ammesse anche al chiuso.

Il comunicato pubblicato settimana scorsa dal Consiglio federale è lungo e dettagliato ma nemmeno accenna ai sensori di CO2 che pure la Task force scientifica, in un suo policy brief, definisce “uno strumento semplice ed economico in grado di avvertire i presenti della scarsa ventilazione dell’ambiente e dell’opportunità di intervenire con un’azione adeguata, come aprire le finestre o uscire dalla stanza in cui ci si trova”, e che potrebbe perciò “essere utile per contrastare la pandemia, soprattutto nelle scuole” (e sul posto di lavoro, aggiungerei). Chissà che questa dimenticanza non si spieghi con il fatto che generalizzando l’uso dei sensori di CO2 scopriremmo che molto spesso respiriamo aria di qualità insufficiente e che di conseguenza sarebbe necessario migliorare la ventilazione, rispettivamente adottare filtri efficaci contro il virus…

Ma a preoccupare è il fatto che, se d’estate si può stare all’aperto e migliorare la ventilazione è relativamente semplice, per l’autunno sarebbe indispensabile prepararci adesso, soprattutto visto che avremo quasi certamente a che fare con una variante, che si tratti della Delta o della cosiddetta Delta plus, che nell’aria si trasmette ancora meglio.

Tutti abbiamo voglia di normalità, ma non tener conto degli aerosol ci espone al rischio di ripetere gli errori dell’estate scorsa e di trovarci in autunno alle prese con una quarta ondata.

È davvero questo che vogliamo?

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