Di Chiara Cruciati, il manifesto
«Non so dove sia mia figlia. I suoi vestiti e le sue cose sono laggiù, distrutti, ma non so se è stata soccorsa, se è morta, se sta bene. Non so dove sia». È il racconto di una donna, Umm Ahmed Fayed, all’agenzia Middle East Eye. Nel video continua a parlare, dice che la scuola era «piena di sfollati da ogni parte di Gaza, tanti amputati, sulle sedie a rotelle». Umm Ahmed si era allontanata, era andata a preparare del cibo in una tenda: la scuola veniva usata per dormire, per rendere un po’ meno opprimente il caldo estivo.
È SUCCESSO di mattina, come altre duecento volte prima: un bombardamento israeliano ha centrato una scuola, l’istituto femminile Khadija a Deir al-Balah. Nelle aule oggi vivono 4mila persone, ci è stata allestita dentro anche una clinica da campo. Come ogni altra scuola di Gaza, dal 7 ottobre è un rifugio per sfollati, l’intera o quasi popolazione dell’enclave.
A marzo scorso l’Onu aveva contato almeno 200 scuole prese di mira dai raid israeliani. Ne sono seguite tante altre. Nel bombardamento di ieri sono stati uccisi almeno 30 palestinesi, ma molti sono ancora tra le macerie, difficili da rimuovere a mani nude. Una delle vittime, scrive l’Ap, era un neonato.
Oltre cento i feriti. Nel vicino ospedale Al-Aqsa, riporta il giornalista di Al Jazeera Tareq Abu Azzoum, è il caos: «(I feriti) vengono curati sul pavimento, tutti i letti sono occupati. C’è un palese incremento di raid sui centri per sfollati, quei posti in cui hanno detto ai palestinesi di andare e cercare rifugio».
Sarebbero, secondo un altro reporter sul posto, Hani Mahmoud, almeno tre gli ordigni che hanno centrato la scuola: «Il fatto che stia vedendo molti civili arrivare in ambulanza, coperti di sangue o a pezzi, uccisi, è un indice che l’esercito israeliano non sta rallentando gli attacchi sulla Striscia di Gaza. Avviene soprattutto al centro, dove la grande maggioranza delle famiglie sfollate è stata spinta, da Khan Younis e Rafah».
Le bombe usate, aggiunge, sono imprevedibili e pieni di schegge e pezzi di metallo. È un pezzo di metallo che Mustafa al Rafati, un sopravvissuto, dice di aver visto nella gamba di un bambino che ha soccorso nella scuola. L’altra gamba non c’era più.
IN UNA NOTA l’esercito israeliano ha ammesso di aver colpito l’edificio affermando che ospitava «un centro di comando e controllo» di Hamas e faceva da magazzino a «grandi quantità di armi». Se la “giustificazione” è ormai nota (viene usata per raid su strutture civili da ben prima del 7 ottobre) come nota è la mancanza di prove fornite da Tel Aviv, dovrebbe essere noto anche che per il diritto internazionale una scuola o un ospedale non sono mai target legittimi.
Le immagini girate ieri dentro l’istituto Khadija parlano da sole: sangue a terra, cumuli di macerie, pezzi di corpi, sopravvissuti in lacrime. Hamas, da parte sua, ha condannato l’attacco negando di operare lì e l’Autorità nazionale palestinese ha accusato gli Stati uniti di complicità: Washington, ha detto il portavoce della presidenza Nabil Abu Rudeineh, «è pienamente responsabile del massacro dell’occupazione…Netanyahu ha ricevuto luce verde dall’amministrazione a Washington per continuare l’aggressione contro Gaza».
Un riferimento al viaggio appena compiuto dal premier israeliano Netanyahu negli Stati uniti, accolto al Congresso tra gli applausi (ma anche da oltre 80 defezioni tra i democratici) e alla Casa bianca, un lungo tour avvenuto mentre a Gaza si superavano le 39.200 vittime accertate dal 7 ottobre, a cui si aggiungono almeno 10mila dispersi, numero probabilmente al ribasso. Un bilancio che non tiene conto dei morti per fame e malattie. Come un bambino, deceduto ieri all’ospedale al-Aqsa per malnutrizione e disidratazione.
Quello di Deir al-Balah non è stato il solo target. Altri 36 palestinesi sono stati uccisi ieri a Gaza tra cui due a Bani Suheila, uno nel vecchio cimitero di Khan Younis e altri 15 nella stessa città. È qui che nell’ultima settimana si è intensificata l’offensiva israeliana, con un bilancio a oggi di 170 uccisi.
E non si ferma: ieri l’esercito israeliano ha spinto fuori dai quartieri meridionali altre famiglie per – dice – «operare con piena forza» i combattenti palestinesi, contro cui gli scontri sono montati venerdì. L’ampia operazione peggiora le condizioni del sistema sanitario, già devastato: secondo il ministero della salute, l’European Hospital è ora fermo.
L’ALTRO BRACCIO dell’offensiva contro i Territori occupati prosegue in Cisgiordania. Ieri un pesante raid israeliano condotto con i droni ha preso di mira il campo profughi di Balata a Nablus, uccidendo un palestinese. Secondo l’esercito israeliano si tratta di un ricercato, che è stato protetto dal fuoco sparato da altri combattenti all’ingresso del campo; secondo il ministero della salute dell’Autorità palestinese, si tratta di un 17enne, Louay Muhammad Misha. Ventotto i feriti, tra cui un paramedico; nove sono gravi.
Due bambini sono stati feriti dal fuoco israeliano durante un’incursione nel villaggio di al-Mazraa al-Gharbiya, vicino Ramallah. Solo ieri, sono stati arrestati almeno 40 palestinesi in Cisgiordania, tra loro bambini ed ex prigionieri.
Nell’immagine: La scuola Khadija di Deir al Balah colpita ieri