Coazione a ripetere
Le ragioni irragionevoli dell’ennesimo scontro armato fra Israele e Palestina
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Le ragioni irragionevoli dell’ennesimo scontro armato fra Israele e Palestina
La violenza come surrogazione della politica. Un primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, che cerca di sopravvivere politicamente alle inchieste giudiziarie che lo chiamano in causa, giocando l’unica carta a sua disposizione: la sicurezza minacciata di Israele. Un movimento armato palestinese che ha fallito la prova di governo e che cerca una nuova legittimazione cavalcando la rabbia e la sofferenza, cercando nella resistenza all’”occupante sionista” il recupero della sua centralità. Hamas vince politicamente anche quando perde (ma neanche tanto) militarmente. Una popolazione in gabbia, ostaggio di due nemici che si sorreggono l’un l’altro, perché, da fronti opposti, conoscono e praticano lo stesso linguaggio: quello della forza.
Il sangue versato a Gaza racconta una storia che non nasce ieri ma che si dipana nel corso di decenni e che ha nella Striscia uno dei suoi più tragici luoghi di attuazione. E’ la storia di quattro guerre, di bombardamenti, razzi, invocazione al diritto di difesa (Israele) e alla resistenza armata contro l’”entità sionista” (Hamas). E’ la storia di punizioni collettive, di quindici anni di assedio. Ma è anche la storia di un movimento islamico che, fallita l’esperienza di governo, cerca nuova legittimazione scagliando contro l’occupante con la Stella di Davide la rabbia e la sofferenza di una popolazione ridotta allo stremo. La guerra del 2014 andò avanti per 67 giorni, furono uccisi più di 2 mila palestinesi e 73 israeliani, soprattutto soldati. Al termine del conflitto, Hamas si dichiarò vincitore mentre Israele si ritirò con la convinzione di avere fatto danni sufficienti da garantirsi qualche anno di tranquillità. La storia si ripete.
Da quando Netanyahu è salito al potere nel 2009, ha firmato “un patto non scritto con Hamas”, rimarca Haim Ramon, ex vice primo ministro e ministro della Giustizia, già laburista, poi di Kadima. L’accordo è stato progettato per contrastare l’Autorità nazionale palestinese (Anp) e il suo screditato leader, Mahmud Abbas (Abu Mazen), perpetuando la spaccatura tra Hamas a Gaza e Anp in Cisgiordania, e per mantenere il congelamento diplomatico, basato sull’affermazione che nessuno rappresenta tutti i palestinesi.
Netanyahu ha mantenuto questa posizione durante l’offensiva aerea del novembre 2012 e la guerra di Gaza del 2014, durante la quale ad Hamas è stato offerto un cessate il fuoco non meno di dieci volte. Inoltre, dal 2012, Netanyahu ha lasciato che il Qatar trasferisse un miliardo di dollari a Gaza, di cui almeno la metà è andata a Hamas, compresa la sua ala militare. Per Netanyahu, c’è una ragione per tenere i cittadini di Israele ostaggio di Hamas: impedire che l’Anp torni a governare Gaza. Questo farà sì che il “disastroso” processo diplomatico non riprenda. Nel suo libro Contro il vento, Haim Ramon fornisce prove sostanziali che sostengono la sua affermazione su questo patto non scritto tra Netanyahu e Hamas. Le motivazioni di Netanyahu sono legate al suo impegno per l’idea della Terra d’Israele (Erez Israel) indivisa e al suo sforzo per prevenire la creazione di uno Stato palestinese. Il Jerusalem Post ha riportato il 12 marzo 2019 che Netanyahu, parlando al gruppo del Likud alla Knesset, ha detto che “chi è contro uno Stato palestinese dovrebbe essere a favore del trasferimento di fondi a Gaza, perché mantenere una separazione tra l’Anp in Cisgiordania e Hamas a Gaza aiuta a prevenire la creazione di uno Stato palestinese.”
In un’intervista al sito Ynet (5 maggio 2019), uno stretto collaboratore del primo ministro, il generale Gershon Hacohen, ha detto che “la verità deve essere affermata: la strategia di Netanyahu è quella di impedire un’opzione a due Stati, quindi Hamas è il suo partner più stretto. Apertamente, Hamas è il nemico. Segretamente, è un alleato”.[…] È abbondantemente chiaro che il conflitto israelo-palestinese non è in cima alle priorità di Biden. Ma gli Stati Uniti sono così coinvolti nella sicurezza di Israele che disconnettersi non è possibile. E’ probabile che le prossime elezioni palestinesi, quando mai fossero fissate, solleveranno questioni serie. Una dozzina di mine legislative, dalle sanzioni ad Hamas al Taylor Force Act, già minacciano le intenzioni dichiarate del presidente americano Joe Biden di ripristinare i legami con l’Autorità nazionale palestinese, riaprire l’ufficio di Washington della delegazione dell’Olp, riprendere gli aiuti urgentemente necessari e rinnovare gli sforzi statunitensi per la pacificazione. Ma se le elezioni palestinesi prima o poi si terranno, la lista di Hamas potrebbe ottenere almeno il secondo più grande blocco di seggi nel Consiglio legislativo.
Se Hamas è incluso in qualsiasi ramo del nuovo governo palestinese, le norme statunitensi che lo designano come organizzazione “terroristica” potrebbero forzare il taglio di alcuni o tutti gli aiuti destinati ai palestinesi (350 milioni di dollari all’anno all’Unrwa, 200 milioni di dollari per gli aiuti economici e umanitari). A meno che non si usino deroghe presidenziali per superare provvisoriamente le leggi statunitensi vigenti. Conclude Bahbah: “I circa quindici anni di governo inefficace e autoritario di Abbas faranno senza dubbio precipitare la disintegrazione di Fatah dopo il voto, quando che sia. Come molti altri palestinesi, sono stanco di essere guidato e rappresentato da un dittatore. Siamo un popolo intelligente, sminuito nella sua statura da cosiddetti leader autoproclamati, ignoranti, egoisti e non eletti. E ci sono troppi idioti ambiziosi che sperano di succedere ad Abbas. Al geriatrico Abbas non dovrebbe essere permesso di candidarsi alla presidenza. I palestinesi hanno bisogno di una leadership giovane, energica e creativa non segnata dalle accuse di corruzione dell’era Abbas, dalla mancanza di trasparenza e dalla distruzione dei valori democratici e delle istituzioni palestinesi.
Ancora peggio, Abbas ha agito come esecutore della sicurezza di Israele nelle aree controllate dall’Autorità e ha completamente fallito nel far avanzare il processo di pace o l’indipendenza palestinese di una virgola. I palestinesi di tutte le fazioni politiche non dovrebbero permettere ad Abbas di candidarsi alla presidenza dell’Autorità o a qualsiasi altra cosa. Il suo atto finale dovrebbe essere quello di dimettersi volontariamente. E se rifiuta di farlo, i palestinesi dovrebbero deporlo, anche contro la sua volontà e quella dei suoi surrogati.
Ho ritirato fuori dal mio archivio personale una parte di un lungo articolo che scrissi per Limes nel 2021, dopo l’ennesima estate di sangue vissuta a Gaza. Cambiate i nomi (invece di Netanyahu, Lapid, invece di Hamas, la Jihad islamica) ma la sostanza resta la stessa. Una sanguinosa coazione a ripetere.
Nell’immagine: uno dei bombardamenti israeliani su Gaza di questi giorni
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