Di Daniele Mariani, tvsvizzera.it
Il Consiglio federale ha commissionato una perizia legale per esaminare il ruolo che la Svizzera ha avuto nel trattamento della comunità jenischCollegamento esterno, stando a quanto ha riportato domenica la NZZ am SonntagCollegamento esterno. Il rapporto dovrà esaminare, tra le altre cose, se le istituzioni coinvolte e il Governo abbiano commesso un genocidio o crimini contro l’umanità nei confronti di questa comunità nomade.
La perizia è stata affidata al professore di diritto internazionale dell’Università di Zurigo Oliver Diggelmann e al suo team, che dovranno consegnare le loro conclusioni in autunno. Una presa di posizione del Consiglio federale è attesa entro la fine dell’anno.
Collocamenti coatti
La storia recente del popolo jenisch in Svizzera è stata costellata da innumerevoli discriminazioni. Al centro delle critiche vi è il programma assistenziale Bambini della strada portato avanti tra il 1926 e il 1973 dalla fondazione Pro Juventute, ampiamente finanziata della autorità federali e cantonali.
Il programma si prefiggeva di rieducare i bambini e le bambine nomadi. Come? Sottraendoli alle loro famiglie e ospitandoli in istituti o presso genitori affidatari. ” Molti bambini della strada ed anche i loro genitori vennero inoltre internati in riformatori e penitenziari oppure in cliniche psichiatriche”, ricorda un articoloCollegamento esterno dell’Archivio federale svizzero.
La vicenda è recentemente balzata di nuovo agli onori della cronaca grazie al film Lubo del regista italiano Giorgio Diritti, presentato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia.
Circa 2’000 vittime
Si stima che nel corso dei cinque decenni durante il quale è stato attivo il programma circa 600 bambine e bambini siano stati sottratti alle loro famiglie d’origine. Altri lo furono dalle chiese o dalle autorità cantonali e comunali. Complessivamente le vittime di questi provvedimenti furono circa 2’000. “Molte di loro – sottolinea Pro JuventuteCollegamento esterno prendendo le distanze da quanto fatto all’epoca – hanno subito violenze e sono state sfruttate come manodopera a basso costo”.
Fu solo nel 1973, in seguito alla pubblicazione l’anno precedente di un articoloCollegamento esterno della rivista Beobachter che destò scalpore tra l’opinione pubblica, che il programma venne interrotto.
A cinquant’anni di distanza le ferite sono ancora profonde tra la comunità jenisch e tra quelle persone rimaste vittime di questi affidamenti coatti.
Dare un nome all’ingiustizia
Le scuse presentate dal 1986 dall’allora presidente della Confederazione Alphons Egli e il varo nel 2017 della Legge federale sulle misure coercitive a scopo assistenziale e i collocamenti extrafamiliari prima del 1981Collegamento esterno, che prevede un risarcimento fino a 25’000 franchi alle vittime di questi provvedimenti, non sono però sufficienti, secondo la comunità jenisch.
“Si tratta di giustizia; di dare un nome chiaro ai torti subiti” poiché non è mai stato detto “come dovevano essere giudicati gli atti per i quali [le autorità] si erano scusate”, sottolinea alla NZZ am Sonntag Daniel Huber, presidente della Radgenossenschaft der LandstrasseCollegamento esterno, l’organizzazione che difende gli interessi delle comunità jenisch e sinti.
La richiesta emana dalle stesse vittime, aggiunge Huber. “Immaginatevi una persona di 85 anni direttamente colpita che viene da voi e vi dice: ‘Sto morendo e non ho ancora sentito delle scuse concreto per ciò che ci è stato fatto’”.
Un fascio di indizi importante
Digelmann e il suo team dovranno ora determinare se quanto accaduto contravviene in particolare l’articolo 264 del Codice penaleCollegamento esterno, secondo cui ci si rende colpevoli di genocidio non solo se si uccidono persone nell’intento di distruggere “un gruppo nazionale, razziale, religioso, etnico, sociale o politico in quanto tale”, ma anche se si trasferiscono “con la forza fanciulli del gruppo a un altro gruppo” o se si sottopongono i suoi membri “a condizioni di vita atte a provocare la distruzione totale o parziale del gruppo”.
Nella lettera apertaCollegamento esterno indirizzata a inizio anno alla responsabile del Dipartimento federale dell’interno Elisabeth Baume-Schneider, la Radgenossenschaft der Landstrasse non ha dubbi: quanto avvenuto tra il 1926 e il 1973 è stato un “genocidio culturale”. Una conclusione a cui è giunta anche la professoressa di diritto penale Nadja Capus. “Ci sono forti prove che Pro Juventute, con il sostegno delle autorità federali, cantonali e comunali, abbia agito con l’intenzione di distruggere gli jenisch come gruppo”, afferma Capus, interpellata dalla NZZ am Sonntag.
Il fascio di indizi contenuto nell’ampia documentazione lasciata da Pro Juventute sembra a prima vista essere importante. Nel 1927, riporta ancora il giornale domenicale, il presidente del consiglio di fondazione dell’organizzazione, Heinrich Häberlin, scriveva che la comunità jenisch rappresentava “una macchia oscura nel nostro Paese, così orgoglioso del suo ordine culturale”. Una macchia – quella del “vagabondaggio” – che bisognava cercare di rompere, “facendo a pezzi la comunità familiare, per quanto posso sembrare difficile”, sosteneva dal canto suo l’ideatore del programma “Bambini della strada” Alfred SiegfriedCollegamento esterno.
Nell’immagine: Un campo della comunità jenisch verso il 1930