Dall’Ucraina al Medio Oriente, il crocevia del terrore
Che nesso c’è tra l’offensiva di Kiev in territorio russo e l’attesa rappresaglia iraniana contro Israele?
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Che nesso c’è tra l’offensiva di Kiev in territorio russo e l’attesa rappresaglia iraniana contro Israele?
• – Redazione
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• – Redazione
Che nesso c’è tra l’offensiva di Kiev in territorio russo e l’attesa rappresaglia iraniana contro Israele?
Che nesso c’è tra l’offensiva ucraina in territorio russo, che va avanti ormai da una settimana, e l’attesa rappresaglia iraniana per l’uccisione a Beirut del numero due militare di Hezbollah e del numero uno politico di Hamas a Teheran?
Il primo collegamento è la nebbia informativa che avvolge i due scenari, che rende molto labile il confine tra mancanza di notizie e disinformazione. L’attacco ucraino nell’oblast (che etimologicamente vuol dire prefettura) di Kursk, cominciato il 6 agosto, è stato tenuto segreto fino all’ultimo perfino alle truppe che dovevano eseguirlo.
Il segretario americano alla Difesa Austin non si è finto sorpreso: lo era davvero quando il suo omologo russo Belousov, riattivando un canale che un tempo si chiamava “telefono rosso”, gli ha chiesto informazioni su che cosa stessero facendo gli ucraini. Zelensky non aveva informato gli alleati, americani ed europei, che hanno dato la loro benedizione a cose fatte.
A una settimana dall’inizio la nebbia non si è diradata. Anzi si è infittita. Perché apparentemente il fronte della controffensiva ucraina in territorio russo si sta allargando. Il governatore dell’oblast di Belgorod (che già in passato era stato obiettivo di incursioni ucraine) ha detto che il villaggio di Krasnoyaruzhsky è stato evacuato a causa di «attività dell’esercito ucraino» e che «tra il 50 e il 70 per cento» della popolazione di Shebekino (40 mila abitanti) è andata via per la stessa ragione. Aleksandr Kots, un reporter della Komsomolskaja Pravda, giornale molto ossequiente al Cremlino, ha parlato di altri scontri al confine russo-ucraino nell’area di Belgorod.
Lo stesso Putin ha detto di temere attacchi anche nell’oblast di Bryansk, al confine con la Bielorussia. Mentre il governatore di Kursk, Aleksej Smirnov, ha fatto un quadro drammatico della situazione della popolazione nella sua regione: 121 mila civili evacuati, 28 città cadute in mano ucraina. E ha accusato l’esercito di Kiev di «aver usato armi chimiche».
Questo fervore propagandistico autolesionista da parte delle autorità e della stampa russa di regime — a fronte di un profilo bassissimo da parte ucraina — è un tentativo di ribaltare sull’Ucraina le accuse per le atrocità e le sofferenze inferte alla popolazione civile da quella che Mosca continua a chiamare “operazione militare speciale”, entrata ormai nel suo terzo anno.
È un pretesto per continuare l’aggressione (i russi stanno martellando il Donbass) addossando a Kiev la colpa di non volere trattative, come ha fatto Putin, affermando che l’attacco nella regione di Kursk «mostra perché il regime di Kiev ha rifiutato le offerte di pace di Mosca e dei mediatori».
Infine, è anche un modo per dare nuova linfa alla narrativa putiniana che l’invasione dell’Ucraina in realtà è «uno scontro armato tra la Russia e l’alleanza occidentale», come ha detto il ministro della Difesa russo Belousov, il quale ha aggiunto che «l’Occidente collettivo» vuole «impedire la costruzione di un nuovo ordine mondiale multipolare ed egualitario».
Belousov ha tenuto il discorso inaugurale di Armiya 2024, una fiera di tecnologie militari, alle porte di Mosca, dove anche Putin ha parlato attraverso un videomessaggio. Tra i Paesi espositori c’è anche l’Iran, che tra i Paesi del cosiddetto Asse del male di reaganiana memoria è il principale fornitore di armi alla Russia insieme con la Corea del Nord.
E qui viene in evidenza il secondo nesso tra la guerra in Ucraina e il Medio Oriente, che, come ha scritto il New York Times, è entrato in “una settimana di rischi e opportunità, sospeso tra la prospettiva di un conflitto allargato e gli sforzi diplomatici per prevenirlo”. Per Ferragosto, a Doha o al Cairo, dovrebbero riunirsi i mediatori di Stati Uniti, Egitto e Qatar con le delegazioni di Hamas e Israele per negoziare la tregua e la liberazione degli ostaggi.
Che ruolo può avere Putin per indirizzare il Medio Oriente verso l’una o l’altra strada? Il presidente russo è riuscito a realizzare — come racconta Sergey Radchenko nel suo bellissimo libro sul Cremlino e la Guerra Fredda — il sogno di Stalin nella grande spartizione di sfere di influenza dopo la Seconda guerra mondiale: tirare l’Iran dalla sua parte. Il rapporto di cooperazione politica e militare tra Mosca e Teheran non è mai stato così stretto.
Putin, secondo fonti iraniane, avrebbe raccomandato alla Guida suprema Ali Khamenei moderazione nella risposta alla doppia uccisione dei suoi alleati. Insomma, una ripetizione dello scenario di aprile, dopo il raid israeliano contro il consolato iraniano a Damasco, quando la rappresaglia iraniana fu più dimostrativa che altro.
Proprio ieri fonti governative americane hanno confermato la notizia, anticipata quattro giorni fa dall’agenzia Reuters, che l’Iran sta per inviare centinaia di missili balistici alla Russia, dopo che decine di militari russi sono stato addestrati a Teheran al loro impiego. Le stesse fonti hanno detto che gli Stati Uniti sono “pronti a intervenire”. Il rischio per Putin è, dunque, che una escalation in Medio Oriente faccia saltare, o ritardare, la fornitura di missili iraniani, necessari all’esercito russo soprattutto ora che deve affrontare la controffensiva ucraina sul suo territorio.
È difficile indovinare quale sia l’interesse di Putin: soffiare sul braciere del Medio Oriente per mettere in difficoltà «l’Occidente collettivo»? O spegnerlo per non far deragliare i suoi interessi militari, oltre che geopolitici? La nebbia che avvolge i due scenari non aiuta a rispondere. Ma non impedisce di vedere che le due crisi, che tengono in ansia il mondo, e soprattutto l’Europa, non sono così distanti l’una dall’altra. Anzi, sono molto vicine.
Nell’immagine: Teheran (Iran), 12 agosto
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