Lo scorso 5 agosto il Ministero pubblico della Confederazione (MPC)
ha chiuso l’inchiesta penale nei confronti di Glencore International AG e delle sue attività corruttive nella Repubblica democratica del Congo (RDC). Il gigante delle materie prime, basato nel Canton Zugo, è stato condannato ad una multa di due milioni di franchi e ad un risarcimento di 150 milioni di dollari per non avere impedito degli atti corruttivi commessi nello Stato africano da un suo partner commerciale, il controverso uomo d’affari israeliano Dan Gertler. A questo punto sorge un quesito: dove finirà questo denaro? La risposta è semplice: la legge elvetica prevede che le multe vadano ai Cantoni, in questo caso Zugo, mentre i risarcimenti e le confische finiscano invece nelle casse della Confederazione. Considerando il fatto che il budget annuale dell’MPC è di circa 80 milioni di franchi, con il solo risarcimento di Glencore per la vicenda congolese la Svizzera si assicura “gratis” il funzionamento di due anni della sua massima autorità di perseguimento penale. Un buon affare, insomma.
Ma è giusto così?
Glencore è stata condannata per le sue pratiche opache avvenute in Katanga, provincia meridionale della Repubblica democratica del Congo, ricchissima di materie prime, quali cobalto e rame. Qui, grazie a mazzette milionarie versate da Dan Gertler ad un fedelissimo dell’allora presidente Joseph Kabila, Glencore era riuscita a prendere il controllo del gigantesco conglomerato minerario di Mutanda. La ricchezza del sottosuolo non porta alcun vantaggio alla popolazione locale, vittima della della povertà e degli effetti nefasti della corsa al cobalto, materia prima sempre più indispensabile per il funzionamento delle nuove tecnologie dette “verdi”. Ricchezza che, malgrado una diminuzione dei prezzi di questa materia prima negli ultimi due anni, si riversa invece nelle casse del colosso di Baar che, nel 2023, ha realizzato un utile netto di 4,2 miliardi di franchi.
Il caso Glencore non è un unicum. Una dozzina di aziende sono state condannate negli ultimi anni in Svizzera per reati legati alla corruzione internazionale. In primavera il commerciante di materie prime ginevrino Gunvor è stato condannato ad un pagamento complessivo di 86,7 milioni di franchi per una vicenda di tangenti in Ecuador. La stessa società aveva già dovuto pagare alla Svizzera 94 milioni di franchi nel 2019 per dei casi di corruzione avvenuti nella Repubblica del Congo e in Costa d’Avorio. Altri casi hanno riguardato SICPA (in Brasile, Colombia e Venezuela), ABB (Sudafrica), SMB Offshore (Angola, Guinea equatoriale e Nigeria), KBA-Notasys (Brasile, Marocco, Nigeria, Kazakistan), Alstom (Lettonia, Tunisia e Malesia) e altri ancora. Se si sommano multe e risarcimenti si arriva ad un bel tesoretto: undici imprese hanno dovuto versare un totale di quasi 731 milioni di franchi. La maggior parte di questo denaro non è costituito da una multa, la cui pena massima è di 5 milioni di franchi, bensì da risarcimenti e confische. Ossia dal profitto realizzato in maniera illecita: dal furto, insomma.
Logica e senso di equità vorrebbero che le multe e soprattutto i risarcimenti percepiti dalla Svizzera nel contesto di inchieste penali condotte su pratiche illegali nei Paesi poveri potessero andare a vantaggio delle popolazioni di quegli stessi Stati. La legge svizzera, però, non lo permette. Anche perché nella gran parte di questi casi gli Stati interessati non hanno sostenuto il procedimento penale e non hanno fornito assistenza giudiziaria. Nel 2022, il Consigliere nazionale Christian Dandrès (PS, GE) ha chiesto al Consiglio federale di ridistribuire i risarcimenti versati da Gunvor nel 2019 ai Paesi vittime della corruzione, tramite progetti di sviluppo o di lotta alle pratiche corruttive. Il Governo ha risposto che la legge non permette di ripartire questi soldi con Congo e Costa d’Avorio «nemmeno a favore delle popolazioni locali».
Queste popolazioni sono così vittime di una triplice ingiustizia: sono prima privati delle materie prime per mano di dirigenti corrotti da stranieri; in seguito vedono gli utili di questi schemi corruttivi terminare nei conti annuali delle imprese elvetiche; infine, se le pratiche corruttive sono giudicate illecite, il provento del reato va ad ingrassare le casse pubbliche della ricca Svizzera. Giustizia? Nessuna.
Nell’immagine: una miniera della Glencore nella regione del Katanga (RPC)