Donald Trump, una fetta d’America si sente assediata. E lui le dà una voce
E il tycoon incassa anche l’appoggio di Robert Kennedy Junior, il candidato No vax che si è ritirato dalla corsa
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E il tycoon incassa anche l’appoggio di Robert Kennedy Junior, il candidato No vax che si è ritirato dalla corsa
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• – Redazione
E il tycoon incassa anche l’appoggio di Robert Kennedy Junior, il candidato No vax che si è ritirato dalla corsa
Donald Trump fa pace con Brian Kemp, segno che non si sente al sicuro. Per l’ex presidente, candidato per la terza volta alla Casa Bianca, la filosofia di vita, coniata dal mentore, l’avvocato Roy Cohn, è «sempre terra bruciata, attaccare, mai scusarsi, tribunale, affari, donne». A Kemp, governatore repubblicano della Georgia, Trump riservava epiteti del tipo “Brian il piccoletto, traditore, figuro, infido… tira a campare”, solo perché non avallava i brogli elettorali trumpiani dopo la sconfitta contro Joe Biden, nel 2020. Geoff Duncan, allora vicegovernatore di Kemp, ha parlato a Chicago alla Convention Democratica di Kamala Harris, raccontando «le minacce di morte» ricevute da miliziani di destra per non aver corroborato il tentativo eversivo.
A sorpresa, Trump tende la mano al nemico Kemp: “È una buon tipo… avremo un bel rapporto da ora innanzi», non per una bizzarra conversione francescana, ma perché i manager della campagna, la veterana Susie Wiles e il duro Chris LaCivita, gli squadernano i dati, Harris avanti nel voto nazionale, 47,2% contro 43,5, e in rimonta negli Stati decisivi, con un miglior indice di gradimento: il 47,5% degli americani detesta la candidata democratica, ma il 45,1 la apprezza, mentre il leader repubblicano ha dalla sua il favore del 42,8% dei votanti, bocciato dal 53,5%.
Wiles e LaCivita riconoscono che i Democratici riceveranno più voti dei Repubblicani il 5 di novembre, ma fidano di recuperare abbastanza dei 538 punti che il Collegio Elettorale assegna, maggioranza a 270 punti, per vincere in minoranza. Basta che la Harris non si allontani troppo oltre il 3% di vantaggio, al riparo da ogni contropiede. Trump, a denti stretti, si rappacifica con Kemp e spera che la farsesca campagna elettorale dell’indipendente Robert Kennedy, jr., figlio del senatore-eroe Bob Kennedy caduto per un attentato nel 1968, ora ridotto a clown no vax e no green pass, ridicolizzato per la saga del povero orsetto morto abbandonato a Central Park a New York, si chiuda, e che il 5% dei consensi che Kennedy avrebbe in mano, secondo qualche fonte, si riversi, in cambio di un’ambasciata o di un ministero magari, nella cassaforte trumpiana.
Una poltrona sogna anche Elon Musk, imprenditore che dalla piattaforma social X coordina la disinformazione pro-Trump e, come segnala preoccupato il saggista Jon Lee Anderson, ne allarga la rete in America Latina, Europa, fino alle rivolte razziali in Gran Bretagna, alla Siria e alla Russia.
Wiles e LaCivita consigliano dunque a Trump di contrastare Kamala Harris mobilitando conservatori e moderati, ma altri spin doctor, guidati da Corey Lewandowski, obiettano: «Donald resti Donald!», spiegando che il successo elettorale del 2016 venne perché furia iconoclasta, insulti, sessismo e razzismo in filigrana smossero milioni di elettori, mentre un Trump politicamente corretto sarebbe disastroso. Chi prevarrà? Olivia Troye e Stephanie Grisham, dirigenti trumpiane disgustate dai tumulti a Capitol Hill, Epifania 2021, non hanno dubbi: «Trump sarà Trump, è la sua natura, gli ha dato successo, non la cambierà».
Mentre Kamala Harris tesseva la suadente narrativa di un’America solare e ottimista, furioso, Trump ha chiamato gli alleati tv di Fox News, precipitandosi in diretta nei programmi, per oltre dieci minuti. Rauco, focoso, non ha risposto alle domande degli imbarazzati conduttori Bret Baier e Martha MacCallum, «Signor presidente ci permetta di interromperla…», e ignorandoli è andato avanti nel monologo: «Perché non invitano Hunter (il figlio di Biden, accusato di truffa); Tim Walz (candidato democratico alla vicepresidenza) era appena un viceallenatore, non allenatore del football; tacciono su Cina e criminalità, tutto inutile, neri e ispanici voteranno per me», alternando dichiarazioni e post sui social media. Ai finanziatori questo piace, il finanziere Keith Rabois e suo marito Jacob Helberg raccoglieranno il 12 settembre fondi nella comunità ebraica a New York per il candidato vicepresidente repubblicano J.D. Vance, biglietto di ingresso 100.000 dollari, posti popolari, 250.000 le poltrone di lusso.
La scelta degli americani, chiusa Chicago, è nitida: un manifesto ottimista di leadership mondiale con gli alleati e una nazione capace di progredire, con Harris; una fortezza accerchiata da nemici, interni ed esterni, da sopraffare barricati fra le mura di dazi, ostili a Nato e Europa, con Trump. I Repubblicani hanno ancora, assicurano gli analisti dati Nate Cohn e Nate Silver, una più che ragionevole chance di successo perché, spiega il professor Richard Fording dell’Università di Alabama, «una fascia di cittadini segue la politica con attenzione, le Convention, i giornali, la tv, i dibattiti, ma una percentuale altrettanto numerosa non è attratta dalla coreografia della campagna, è colpita da elementi causali, oleografici, che nel 2008 favorirono Obama, nel 2016 Trump». Questi elettori che David Schleicher, giurista a Yale University, definisce “a bassa intensità di coinvolgimento”, decideranno la Casa Bianca 2024. Non si struggeranno su focus group, dossier, think tank, decideranno d’istinto, se sentirsi a casa nella comunità di Kamala o nel fortino di Donald.
Nell’immagine: Robert Kennedy Junior
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