Di Giorgio Barba Navaretti, La Repubblica
Noi, l’Europa, loro, gli Stati Uniti e la Cina. E’ la trama geopolitica del rapporto sulla competitività di Mario Draghi. Ossia, cosa dobbiamo fare per tornare ad innovare e crescere come gli Stati Uniti? E cosa per proteggerci dalla Cina e dal suo modello non leale di competitività “sponsorizzata” dallo Stato?
E’ un mondo molto diverso da quello che sarebbe stato descritto solo cinque anni fa, epoca pre-covid, per quanto anche in quel tempo crescita e capacità di innovazione latitassero in Europa. Allora le sfide delle due grandi transizioni, verde e digitale erano zoppicanti ma, nonostante Trump, in qualche modo comuni, tra paesi le cui economie erano sempre più integrate. “In un mondo di geopolitica stabile, non c’era ragione di essere preoccupati della crescente dipendenza da paesi che pensavamo sarebbero rimasti nostri amici”, scrive Draghi. Ora, in un tempo di geopolitica instabile, le sfide rimangono le stesse, ma la strategia cambia. Bisogna innovare non solo per crescere ma anche per proteggersi. La sfida per la competitività è dunque “esistenziale”. Inevitabile per difendere e rilanciare il nostro benessere e il nostro modello di società prospera ed inclusiva.
Delle azioni proposte dal rapporto, dagli investimenti alle infinite dettagliate misure, ne abbiamo bisogno comunque. In vent’anni la differenza tra PIL Usa e Pil Europeo è passata dal 15% al 30%. 72% di questo distacco è spiegato dalla perdita di produttività. L’Europa non innova abbastanza, ha una struttura industriale statica, le imprese innovative emigrano, ha mercati frammentati e soffoca le ambizioni di crescita delle imprese con regole eccessive e diverse tra paesi.
Ma, secondo il rapporto, il nostro continente è specialmente minacciato perché ci siamo fidati e affidati troppo agli altri. Le esportazioni non trovano più mercati aperti e in crescita come prima. Le nostre catene di produzione disperse nel mondo, basta un razzo degli Houti per bloccarle e privarci di componenti essenziali. E i nostri sistemi di difesa frammentati e inefficienti, tanto c’è l’ombrello americano, non sono in grado di difenderci. Per questo la geopolitica pone per noi sfide esistenziali.
Ora, sostiene il rapporto e tornando ai mercati, il multilateralismo è defunto e dunquel’Europa deve essere pro-attiva e dotarsi di una propria politica commerciale. Per settori dove siamo troppo indietro tecnologicamente barriere basse e continuiamo a importare, vedi i pannelli solari. Per quelli dove vogliamo sviluppare nuove tecnologie o riportare a casa la produzione di componenti fondamentali, un po’ di protezione sulla base del vecchio modello dell’industria infante (aspettiamo che cresca e impari per farla andare nel mondo). Per quelli dove le tecnologie sono all’estero ma si potrebbe comunque produrre in Europa, favorire investimenti dall’estero. E infine fare accordi commerciali con tutti coloro con cui vogliamo collaborare per l’innovazione o che hanno materie prime per noi essenziali.
Tutto bene, ma bisogna essere in due per ballare il tango. Come risponderanno gli altri paesi alle nostre scelte unilaterali? La Cina continuerà a darci i pannelli solari se blocchiamo le sue esportazioni di automobili elettriche? E gli altri? Il problema è che quando si iniziano ad alzare barriere e si lanciano programmi di sviluppo industriale con forti interventi pubblici comunque il terreno di gioco non sarà più pareggiato per nessuno e ci sarà sempre qualcuno in vena di ritorsione. Il mondo è ancora troppo integrato e i legami tecnologici e commerciali sono inevitabili.
Le transizioni digitale e verde richiedono per forza investimenti pubblici colossali che distorcono i mercati. Ma creano anche beni comuni, come aria pulita, che fanno bene a tutti. Potremmo forse allora, nella dinamica del noi e loro, provare comunque ad identificarli ed essere pro-attivi nel cercare accordi di cooperazione tra paesi?
Il rapporto Draghi è un esercizio fondamentale per preservare e ricostruire il bene comune europeo della prosperità, della crescita e dell’inclusione sociale. Ma per mettere in atto questo piano, qualunque sia la geopolitica, non si può dimenticare il bene comune globale, almeno dove e con chi è possibile.
La ricetta di Draghi: “L’Europa deve investire più di due piani Marshall o sarà una lenta agonia”
Di Filippo Santelli, La Repubblica
I capisaldi del report alla Commissione: debito comune, produttività ed eliminare i veti dei singoli Stati. Per chiudere il gap con Usa e Cina 800 miliardi in più l’anno su difesa, industria e transizione green. Ma sugli eurobond von der Leyen frena: “Prima i progetti comuni, poi le risorse”
L’Europa ha di fronte una «sfida esistenziale», dice Mario Draghi. Se non inverte il divario di competitività che si è spalancato con le superpotenze Stati Uniti e Cina, è condannata a «una lenta agonia», fin quando sarà costretta a sacrificare «il suo benessere, il suo ambiente o la sua sicurezza».
Parte da questa allarmante premessa l’atteso rapporto sul futuro della competitività europea di Mario Draghi, presentato ieri a Bruxelles insieme al committente, cioè Ursula von der Leyen appena riconfermata al vertice della Commissione. In un tomone di 327 pagine, l’uomo che da presidente Bce salvò l’euro con il bazooka monetario dettaglia una «nuova strategia industriale» per invertire il declino: 170 proposte di riforma delle politiche economiche e di difesa, ma anche debito comune – perché servono la bellezza di 800 miliardi l’anno extra di investimenti, oltre due Piani Marshall -, e meccanismi decisionali più veloci. Uno scatto di integrazione che in mezzo alla marea sovranista è destinato a incontrare resistenze in molte capitali. Ma senza il quale il bazooka industriale sparerebbe a salve.
Una cura di innovazione
Le proposte si possono sintetizzare in tre imperativi di merito. Il primo, purtroppo poco presente nel dibattito, è “chiudere il gap di innovazione” che si è aperto con gli Stati Uniti.
Tra le raccomandazioni, Draghi propone di rafforzare – raddoppiandone il budget – il Consiglio europeo dell’innovazione per renderlo simile all’Arpa, l’agenzia Usa che supporta le tecnologie strategiche; di creare di un regime legale semplificato per le startup valido in tutta la Ue; di rafforzare la rete di supercomputer per l’Intelligenza artificiale; di favorire il consolidamento nel settore delle telecomunicazioni, anche rivedendo le regole sulla concorrenza.
Ambiente e industria insieme
Molto più discusso e divisivo è il secondo imperativo, creare “un piano congiunto per la decarbonizzazione e la competitività”: tocca il cuore della crisi che sta vivendo l’industria europea e prova a conciliare obiettivi percepiti in conflitto.
Secondo Draghi è necessario abbassare i prezzi dell’energia, altissimi in Europa, per esempio attraverso acquisti comuni di gas liquefatto o slegando i prezzi delle rinnovabili da quelli del metano. Qualcosa si è provato a fare, senza risultati.
Il rapporto dice che la decarbonizzazione va accelerata, per esempio con procedure di approvazione degli impianti più rapide, ma anche – tema caro alle imprese – che deve essere “tecnologicamente neutra”, citando il nucleare a fianco di rinnovabili, idrogeno e biocombustibili, e suggerendo di spingere sui reattori di nuova generazione.
Per quanto riguarda l’industria verde, alle prese con la concorrenza sussidiata della Cina, si raccomanda di sostenere i settori dove l’Europa può essere leader – come le batterie – e quelli strategici, anche con “quote obbligatorie di produzione locale”. Tra le proposte un piano specifico per l’automotive – esempio più evidente del corto circuito tra obiettivi climatici e assenza di politiche industriali in cui si è infilata Bruxelles – che favorisca la nascita di una filiera europea della mobilità elettrica.
Più sicurezza
Molto atteso, nel terzo anno di guerra in Ucraina, era il capitolo sulla sicurezza. Con aziende troppo piccole nel settore, e in assenza di una politica di difesa comune, Draghi suggerisce almeno di aggregare le commesse tra gruppi di Stati e di integrare la produzione dei mezzi di difesa in una logica transfrontaliera. Servono molti più investimenti, in particolare in ricerca e sviluppo, che potrebbero essere in parte supportati dalla Bei, modificandone lo statuto. Ma il documento declina la sicurezza anche come “riduzione delle dipendenze” economiche, raccomandando maggiore estrazione di materie prime critiche e accordi con i Paesi fornitori. Serve una “politica economica estera” comune.
Il nodo delle risorse
Tutto questo richiede risorse enormi, il primo grande nodo del rapporto se davvero, come ha detto ieri Von der Leyen, «ispirerà il mio lavoro» e verrà in qualche misura integrato nel programma della Commissione. Gli 800 miliardi valgono 4,7 punti di Pil, l’equivalente di oltre due Piani Marshall, per arrivare a un livello che non si vede dagli anni ‘70.
Una parte la possono giocare i privati, per questo vanno completate l’unione dei capitali e l’unione bancaria, grandi incompiute. Ma è necessaria una forte componente di investimenti pubblici e per questo Draghi raccomanda che l’Europa «si muova verso la regolare emissione di asset comuni privi di rischio», cioè gli eurobond già utilizzati per finanziare il Recovery, ponendo fine al “liberi tutti” degli aiuti di Stato che favorisce solo chi può spendere. Le resistenze dei Paesi frugali sono note, non a caso Von der Leyen, che domani presenterà la nuova Commissione, svicola dicendo che «prima vengono i progetti comuni, poi i fondi». Il rapporto suggerisce una via intermedia, comunque complessa: ritardare il rimborso del debito raccolto per il Pnrr e utilizzarlo per altre priorità strategiche.
Come (non) funziona l’Unione
Alcune proposte di Draghi sono in linea con il programma di Von der Leyen per il secondo mandato, per esempio il varo di un grande piano per l’industria verde che affianchi gli obiettivi climatici. Altre vanno ben oltre ciò che le divergenze tra governi e gli equilibrismi di Ursula sembrano rendere possibile. È evidente nella parte del rapporto che delinea – come condizione necessaria – una riforma del funzionamento dell’Unione. Meno burocrazia, con la nomina di un vice presidente dedicato alla semplificazione, e decisioni più veloci. Per superare i veti Draghi propone di “estendere a più materie le votazioni soggette a maggioranza qualificata”, anziché all’unanimità. O di portare avanti alcuni dossier a gruppi di Paesi, la “cooperazione rafforzata”. Addirittura, ultima spiaggia, di procedere con accordi tra governi, fuori dai trattati. Tutto il necessario, pur di smuovere l’Europa
Nell’immagine: L’ex presidente della Bce Mario Draghi e la presidentessa della Commissione Ue Ursula von der Leyen alla presentazione del rapporto sul futuro della competitività europee