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E infine fu solo ruspa
• 30 Maggio 2021 – Aldo Sofia
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Ruspa doveva essere, e infine l’invocata ruspa fu. La ruspa salvinianamente intesa. Categorica, risolutiva, che deve intervenire lasciando solo macerie. Così, l’ex Macello lungo il Cassarate – diventato il simbolo di una prova di forza per molti aspetti assurda, e naturalmente asimmetrica, fra municipio ed autogestiti – è venuto giù. Di notte, scena surreale, qualche lingua di incendio, tutt’attorno un dispositivo esagerato di mezzi e uomini in divisa nera anti-sommossa, che Lugano ricorderà a lungo. Rinforzi massicci fatti arrivare anche da due cantoni romandi. Eran già qui per dare una mano al servizio d’ordine del Giro d’Italia sconfinato in Ticino, è stata l’inverosimile e ‘opportuna’ barzelletta suggerita  per qualche ora a quelli che stavano al di qua del cordone impenetrabile. E’ bastato uno scambio di battute con due agenti di lingua francese per rendersi conto che i rinforzi nemmeno sapevano della carovana del Giro che attraversava il confine, e per cui sarebbero eventualmente bastati pochi agenti in più e qualche bandierina per dirigere il traffico.

No, è chiaro che la decisione era stata pianificata da tempo. Programmata, preparata, predisposta. Altro che quel ‘non interverremo – diceva magnanimo il sindaco Borradori nel primo pomeriggio – anche se non hanno ottenuto l’autorizzazione’ di manifestare partendo da Piazza della Riforma. A lato del Burger King. Un filo di musica, gente tranquilla, qualche famigliola, i soliti discorsi anti-capitalismo, qualche beffarda provocazione, del tipo l’accordo si può raggiungere  soltanto “dopo la chiusura delle banche della città”. E tuttavia, fra quelle parole intenzionalmente  beffarde e senza senso i molinari , gli ‘irragionevoli’, avevano infilato anche il sostantivo ‘dialogo’. Non poco, viste le premesse. Clima di festa più che di protesta.

Fino all’imbrunire. Fin quando qualcuno lassù, alla testa del pacifico corteo, ha pensato di raddoppiare: un’occupazione, a rischio, non basta. Meglio una seconda, in via Siemen, bersaglio l’ex Istituto Vanoni. Occupazione , s’è comunque capito, provvisoria, per qualche ora, giusto per tirare fino a fine notte con un rave da organizzare dentro e soprattutto fuori dal palazzo avvolto nell’enorme plastica da cantiere che impacchetta la vetusta e (dirà il sindaco) fin troppo trascurata struttura, frecciatina alla fondazione proprietaria. È stato comunque un errore, sospirerà a cose fatte una parte degli auto-gestiti e dei sostenitori. Ed errore effettivamente stato.  Anche perché – in una tempistica strana e sospetta – in una quindicina minuti il Vanoni e quelli che ci sono entrati o sostavano fuori si ritrovano rinchiusi in un accerchiamento di polizia troppo sostanzioso per essere, ancora una volta, improvvisato.

C’é chi parla di una trappola in cui si sono infilati da soli i manifestanti: loro sono quasi tutti lì, mentre escavatrici e pale ferree già si avvicinano all’ex Molino, per compiere la loro missione finale. Prima di entrare in azione, basterà evacuare ‘tranquillamente’ un piccolo gruppo di persone, fra decine di agenti e una quindicina di mezzi pronti alla bisogna. Pronti, molto pronti.  Altro che ‘c’è stata un’altra violazione della legge e allora era giusto intervenire’, come sostenuto dalla neo-responsabile municipale della sicurezza. Dopo aver annullato – sembra – decine e decine di giorni liberi ad altrettanti agenti della polizia cittadina? Dopo aver fatto affluire come indispensabile rinforzo altre decine di poliziotti anti-sommossa da due lontani cantoni svizzeri? Suvvia, esclamerebbero i cronisti d’antan. La storiella non regge, l’abbiamo capito tutti.

Dalla zattera dei Naufraghi nelle ultime settimane sono partiti messaggi chiari, sulle responsabilità anche del cantone cofirmatario degli accordi di vent’anni fa; sulle esperienze di altre città svizzere dove – certo dopo non poche tensioni e scontri – i centri autogestiti si sono fatti, e funzionano, addirittura in un caso con un referendum popolare che ha bocciato l’idea di sgombero forzato; sul fatto che nell’esecutivo cittadino la decisione di ordinare lo sgombero sia stato accettato con un solo voto di maggioranza, maggioranza risicata e significativa. No, a Lugano no. Decisione presa, studiata, attuata.

Ma le ruspe lasciano macerie, non soluzioni. Vedremo come reagiranno gli autonomi. E vedremo se l’idea di offrire un’isolata nuova sede su, alla Stampa (notizia che ci hanno confermato ‘in alto’), abbia un senso e un futuro, visto che 19 anni fa gli autonomi accettarono sì di spostarsi, ma proprio perché sarebbero finiti in centro città, non ai suoi margini. Altri tempi, e altri negoziatori, con dentro persino il Nano. Ma mica lo sanno quei quindici ragazzotti che ieri sera giravano e provocavano i “molinari comunisti” attorno al ponte sul Cassarate, e a studiata distanza. Manipolo di aspiranti manganellatori. Della peggior specie.






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