Educare in tempi oscuri
Crescono le forze reazionarie in tutta Europa; la risposta democratica spetta anche alla Scuola, come segnala il pedagogista e ricercatore Philippe Meirieu
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Crescono le forze reazionarie in tutta Europa; la risposta democratica spetta anche alla Scuola, come segnala il pedagogista e ricercatore Philippe Meirieu
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Sara Rossi Guidicelli, giornalista e scrittrice bleniese, ricostruisce un’emblematica vicenda che caratterizzò la storia industriale ticinese di fine Novecento
• – Michele Ferrario
I sondaggi lo riportano in testa, ma cosa ne farà dei suoi attuali succesi sul piano militare e dell'intelligence?
• – Aldo Sofia
Noi europei occidentali vi assistiamo, forti di crederci al riparo delle catastrofi globali
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Il “cordone sanitario” nei confronti dell’ultradestra diventa una necessità inderogabile
• – Redazione
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• – Franco Cavani
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• – Aldo Sofia
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• – Redazione
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• – Redazione
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• – Redazione
Crescono le forze reazionarie in tutta Europa; la risposta democratica spetta anche alla Scuola, come segnala il pedagogista e ricercatore Philippe Meirieu
Che sia una destra estrema o anche solo un centro-destra agguerrito, si tratta di un’onda che ha invaso quasi tutto l’Occidente e che ha preoccupanti ricadute sui sistemi scolastici, con una certa enfasi verso i piani di studio, le impostazioni pedagogiche e le regole di valutazione. Ci si può guardare in casa, per cominciare. HarmoS è un concordato che definisce a livello svizzero le discipline che rientrano nella formazione di base e che devono essere affrontate da ogni bambino nel corso della propria scolarità obbligatoria. Queste sono le lingue (lingua di scolarizzazione, seconda lingua nazionale e un’altra lingua straniera), matematica e scienze naturali, scienze umane e sociali, educazione musicale, educazione visiva, educazione alle arti plastiche e educazione fisica. Si badi bene, l’elenco segue l’importanza data a ogni disciplina e trascina nella propria scia la dotazione di ore di insegnamento e il peso della valutazione, che è piuttosto selettiva.
Parrebbe insomma che, tanto o poco, un gran numero di paesi europei insegua quelle “eccellenze” internazionali date da piani di valutazione come PISA, l’indagine internazionale coordinata dall’OCSE, che valuta le competenze degli studenti di 15 anni in lettura, matematica e scienze. L’obiettivo di PISA è misurare, a scadenza triennale, quanto gli studenti, prossimi alla fine dell’obbligo scolastico, siano in grado di applicare le loro conoscenze e abilità in situazioni reali, sollecitando un confronto tra i sistemi educativi dei vari paesi partecipanti, ma senza minimamente considerare le strategie messe in moto per raggiungere i loro risultati, cioè come funzionano i sistemi scolastici dei diversi paesi.
Ha affermato lo scrittore Paolo Di Paolo: “Dove i genitori non credono nei figli, ci crede la scuola. Dove la società attempata non crede nei giovani, ci crede la scuola. Dove i genitori e la società attempata non credono nella scuola, la scuola è tenuta a credere in sé stessa. Dove la società attempata e le sue sacche reazionarie non credono più o non hanno mai creduto nella democrazia, la scuola continua a crederci. Deve crederci. (La Repubblica, 11 settembre 2024).
Lo sanno tutti che certi test scolastici si possono superare dopo una bella “secchiata” la notte prima degli esami, magari in bella compagnia, una notte che sarà rievocata quando, da grandi, si faranno le rimpatriate. Da lì a ricordare di cosa si trattava ce ne corre: si commemorano lo stress, il prof accigliato che ci scrutava, gli stratagemmi per inventare i bigini più inespugnabili, in una recita conosciuta da tutte le parti in gioco. E poi? Cosa è rimasto di tutta quella sceneggiata? Purtroppo è quel che succede con regolarità, in tanti gradi scolastici. La palese incoerenza, semmai, risiede nel contenuto di ogni test. Perché un conto è – poniamo – la padronanza mnemonica delle caselline, un altro la capacità di assumere ruoli attivi e responsabili nella società e di realizzare sempre più le istanze di giustizia e di libertà: che è una delle finalità della scuola. Direi: più importante delle caselline, e pure di uno qualsiasi dei principi della termodinamica. Ma chi si occupa di valutare gli obiettivi più alti della scuola?
È soprattutto in questo contesto di competizione e selezione, sempre più tracotante e dispotica, che si colloca l’ultima fatica di Philippe Meirieu, “Éducation: rallumons les Lumières!”, che potremmo tradurre con “risvegliamo l’Illuminismo”, rianimiamolo, ristabiliamolo, resuscitiamolo. Applichiamone i principi fondamentali. L’autore ricorda che il secolo dei Lumi fu un’epoca di passione per l’educazione, dove si affermò la scienza contro l’oscurantismo e si lottò per liberare i bambini da ogni forma di dominio, compresa quella della Chiesa, che si vantava di proteggere i bambini dalla tentazione e dal peccato inculcando loro un catechismo basato sulla paura dell’inferno. Gli intellettuali illuministi, raccogliendo il sapere globale nelle loro enciclopedie, aspiravano invece a formare individui capaci di pensare autonomamente e scegliere liberamente il proprio destino, una visione di emancipazione che rimane fondamentale anche oggi.
D’accordo, il mondo, fin qua, non è andato esattamente in quella direzione. Forse anche perché la Costituzione della République comincia con La Francia, è una repubblica indivisibile, laica, democratica e sociale, mentre quella svizzera decolla In nome di Dio Onnipotente: come è noto almeno agli umanisti, le parole hanno un senso.
La traduzione delle citazioni dall’originale è dell’autore dell’articolo
Nell’immagine: La lettura di Diderot, particolare di un’incisione di Louis Monziès basata su un dipinto di Ernest Meissonier. L'”Encyclopédie ou dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers” ha richiesto più di 20 anni per essere completata. Questo progetto collettivo guidato dal filosofo Denis Diderot e dal matematico Jean Le Rond d’Alembert fu il frutto di una lotta dal primo all’ultimo volume, dal 1751 al 1772, per portare termine una delle opere più importanti dell’Illuminismo
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