Di Stefano Mauro, il manifesto
La guerra in Sudan, sebbene meno mediatizzata rispetto a quelle in Ucraina e Palestina, sta diventando secondo l’Onu «una delle crisi umanitarie più gravi al mondo», a sedici mesi dall’inizio dei violenti combattimenti tra l’esercito sudanese (Fas) guidato dal generale Abdel Fattah Al-Burhan e le Forze di Supporto Rapido (Rsf) del generale Hamdane Dagalo (detto Hemedti).
Sul versante della mediazione, le azioni intraprese si scontrano con l’indifferenza dei due schieramenti. L’ultimo tentativo risale ai colloqui di metà agosto a Ginevra – sponsorizzati da Usa, Arabia Saudita e Svizzera – che hanno portato alla «garanzia di un accesso umanitario» attraverso due arterie chiave: a ovest dal valico di Adré verso il Darfur e dalla città di al-Dabbah verso il nord e l’ovest del paese.
Domenica, dopo la richiesta del presidente Biden di riprendere i negoziati, sia al-Burhan che Hamdane Dagalo si sono detti disponibili. A prescindere dalle parole dei due leader, però, sul campo si continua a combattere, con i civili che pagano il prezzo più alto. La settimana scorsa i combattimenti si sono intensificati a Khartoum, nel Darfur, nel Kordofan e nello stato di al-Jazirah (Sudan centrale) dove diversi villaggi sono stati attaccati e saccheggiati dalle Rsf, con nuove accuse di violenze indiscriminate nella regione di Abu Gouta.
Altrettanto grave resta la situazione nella città di el-Fasher, diventata ormai l’epicentro del conflitto. Con oltre 2 milioni di abitanti – di cui 900mila profughi – è l’unica capitale dei cinque stati del Darfur a non essere nelle mani dei paramilitari di Hemedti. Sabato, durante una sessione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu sul Sudan, il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, si è detto «allarmato dalle notizie di un attacco su larga scala alla città da parte dei paramilitari delle Rsf». Dallo scorso venerdì le Rsf bombardano la parte orientale della città con i droni e hanno tentato una nuova avanzata di terra. Dopo che, lo scorso giovedì, il portavoce delle Fas, Nabil Abdallah, aveva detto di aver «ottenuto una vittoria decisiva», costringendo i paramilitari a ritirarsi e ad abbandonare «decine di veicoli e centinaia di miliziani caduti».
Dichiarazioni discordanti con l’ ultimo report del Laboratorio Umanitario dell’Università di Yale, che descrive una «situazione apocalittica a el-Fasher», dove da venerdì le Rsf sono riuscite a sfondare la prima linea difensiva dell’esercito sudanese e che ora si combatte «corpo a corpo all’interno della città».
Un primo bilancio – sottostimato – indicherebbe «almeno 20 vittime tra i civili e 200 feriti», con l’unico ospedale funzionante ormai al collasso, la mancanza di medicinali e scontri anche nel vicino campo profughi di Zamzam, con oltre 400mila sfollati alla fame. «Nonostante gli impegni assunti a Ginevra, le Rsf impediscono l’accesso agli aiuti umanitari, è una situazione straziante per i civili», ha detto all’Afp Mohamed Nagi, caporedattore del Sudan Tribune.
Un allarme viene lanciato anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) riguardo all’epidemia di colera che in meno di un mese vede 12mila casi accertati e 400 vittime, in un contesto aggravato dalle recente inondazioni che hanno causato altri 300 morti.
Nell’immagine: un edificio distrutto dai bombardamenti a Omdurman