Di Nathalie Tocci, La Stampa
L’escalation in Medio Oriente è sfociata in una guerra regionale. Con l’invasione israeliana del Libano e l’attacco missilistico iraniano su Israele, il Medio Oriente è in guerra totale.
Dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso e un anno di pantano nella guerra a Gaza – in cui Israele ha causato 42 mila morti palestinesi ma Hamas è ancora in piedi – le sorti dello Stato ebraico sembrano ribaltate. Dall’uccisione del leader politico di Hamas Ismail Haniyeh a Teheran a quella dello storico leader di Hezbollah Hassan Nasrallah a Beirut, precedute dal clamoroso attacco dei cercapersona e dei walkie-talkie e dalla campagna di bombardamenti in Libano, ma anche in Yemen e Siria, Israele pare aver risanato la sua immagine di temibile potenza mediorientale, dotata di incredibili capacità militari, tecnologiche e di intelligence, nonché dell’incondizionato supporto militare e politico degli Stati Uniti.
I segnali vanno tutti in questo senso, ma, soprattutto, il governo israeliano, sempre più convinto della propria forza, ha calato il poco di maschera rimasta. Basta anche solo far finta di ascoltare i timidi consigli di Washington, o di credere che la prudenza sia un bene per la sicurezza del Paese. Bando agli indugi: che guerra totale sia. E con l’espansione della guerra in Libano, ma anche con gli attacchi israeliani in Siria e Yemen, gli obiettivi di guerra israeliani sì sono allargati: non più «solo» lo sradicamento di Hamas, ma anche la sconfitta di Hezbollah, e quello che il primo ministro Benjamin Netanyahu ha definito il «cambio dell’equilibrio» di potere in Medio Oriente, fino ad arrivare, chissà, a un cambio di regime a Teheran. Per farlo, l’escalation israeliana potrebbe rivelarsi una trappola esistenziale per l’Iran.
Sul terreno, l’impennata degli obiettivi di guerra di Israele si sta difatti traducendo in un’invasione del Sud del Libano. La portata rimane incerta. Da una parte, il governo israeliano ha definito l’invasione limitata e localizzata, e ad oggi non pare abbia mobilitato un numero di truppe simile a quelle dispiegate nell’ultimo anno di guerra a Gaza. Dall’altra, l’esercito ha dato ordine di evacuazione a circa trenta villaggi nel sud del Libano, dicendo ai civili libanesi di ritirarsi oltre il fiume Awali, ossia ben trenta chilometri a Nord del fiume Litani, quello citato nella risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza che sancì il cessate il fuoco dopo la guerra tra Israele e Hezbollah del 2006. In sintesi, ci sono altrettanti segnali che puntano verso un’invasione israeliana su larga scala.
Ma la variabile più critica è quella iraniana. Sin dall’uccisione di Haniyeh a luglio, Teheran minacciava vendetta. Le minacce si sono intensificate di pari passo alla drammatica escalation militare israeliana, sino ad arrivare all’attacco missilistico iraniano contro Israele. Nell’ultimo anno, Teheran ha ripetutamente dichiarato di non volere una guerra regionale; ma ora che la guerra è scoppiata, qualcosa è cambiato.
Eppure, come già scritto su queste pagine, l’Iran non ha buone opzioni nell’immediato. Sarebbe stato quindi più saggio per Teheran non fare nulla, mentre Israele fa il passo più lungo della gamba e rischia di impantanarsi (di nuovo) in Libano. Come ogni marzialista sa, di fronte alle capacità preponderanti dell’avversario, è inutile contrapporre forza a forza. Basta attendere e usare la forza altrui a proprio vantaggio, facendo leva sugli errori dell’altro.
Fino ad ora, Teheran ha saputo sfruttare fin troppo bene gli errori degli Stati Uniti e di Israele, dalla scellerata guerra americana in Iraq nel 2003 a quella di Israele a Gaza. Forse stavolta, invece, nella trappola l’Iran è caduta davvero.