Harris-Trump, duello sull’economia
Kamala punta sulla promessa di risollevare la classe media con un maggiore interventismo dello Stato. Donald sul rafforzamento del capitalismo libertario e sul malessere, per conquistare voti
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Kamala punta sulla promessa di risollevare la classe media con un maggiore interventismo dello Stato. Donald sul rafforzamento del capitalismo libertario e sul malessere, per conquistare voti
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Kamala punta sulla promessa di risollevare la classe media con un maggiore interventismo dello Stato. Donald sul rafforzamento del capitalismo libertario e sul malessere, per conquistare voti
La Convention democratica di Chicago metterà meglio a fuoco due modelli opposti sul piano economico e sociale in America, quello di Donald Trump che punta su un rafforzamento del capitalismo libertario e sul malessere, per conquistare voti, e quello di Kamala Harris che punta sulla promessa di risollevare la classe media con un maggiore interventismo dello Stato.
Tutto questo in un quadro di fondo che dà l’impressione di essere giunti alla fine di un’epoca. Dopo 40 anni, il modello capitalistico reaganiano, ormai maturo, mostra il fiato. Lo stesso si percepisce per la crescita: siamo entrati nella fase matura del ciclo economico e alcuni, come Paul Krugman, parlano di recessione. Lo stesso vale per la Borsa, dopo anni di aumenti continui, i rally potrebbero aver raggiunto la maturità.
Se poi dal livello macro scendiamo a quello settoriale, siamo anche alla maturità del settore hi tech: le grandi, Microsoft, Amazon, Meta, Alphabet, Apple sono da anni le potenze dominanti dell’economia del Paese. E con la recente sentenza per abuso di posizione dominante contro Google abbiamo visto i primi segnali che potrebbero portare alla fine di un’epoca. Questa sensazione di essere arrivati a un giro di boa produce incertezza che si traduce in malessere fra l’opinione pubblica e in volatilità sui mercati.
È sullo sfondo di queste svolte potenzialmente storiche che gli americani dovranno scegliere due visioni a confronto. Quella di Trump che promette il ritorno a una vecchia America felice. Deregolamentazione, in particolare nel settore petrolifero, lotta all’inflazione, tagli fiscali (ridurre dal 21% al 15% l’aliquota sui profitti aziendali) e da tariffe commerciali dal 20% fino al 60% per le importazioni dalla Cina sono i suoi capisaldi. Peccato che siano inflazionistici e in contraddizione fra loro!
Anche Kamala Harris propone incentivi fiscali, mirati alla classe media e medio bassa (un credito fiscale di 6.000 dollari per un anno dalla nascita di un bambino, 25.000 dollari agevolati per l’acquisto della prima casa, 40 miliardi di dollari per contribuire alla costruzione di tre milioni di nuove case).
Ma la proposta più controversa è di mettere un tetto ai prezzi alimentari al dettaglio affidando alla Federal Trade Commission (Ftc) l’identificazione dei “colpevoli”. Un passo falso, una forma di interventismo per strizzare l’occhio alla sinistra del partito che, per come l’ha presentato, non ha supporto fra gli economisti.
Ed ecco il marchio diffuso di “comunista”. “Kamunism” ha intitolato a tutta pagina il New York Post mostrando la candidata democratica che parla da un podio sotto il simbolo della falce e martello. La cosa, già denunciata da Trump, è diventata virale (Kam-rad — compagna — hanno scritto altri, e cosi via) e ha cancellato in un giorno settimane di lavoro per dimostrare che Kamala Harris non ha le sue radici nell’estrema sinistra dal partito.
Ma lo stesso vale per Trump, le sue proposte ricalcano il vecchio modello reaganiano portando le proposte su livelli che lo stesso Reagan non avrebbe concepito. Soprattutto mostra di preoccuparsi più delle grandi aziende e dell’1% più ricco che della classe media che soffre. Una dicotomia che sta cominciando a palesarsi nonostante la sua abilissima retorica.
Per entrambi ci sono pochi dettagli concreti sulle molte promesse, in molti casi difficilmente attuabili visto che il Congresso avrà comunque l’ultima parola. Resta il fatto che Trump guarda indietro all’America di un tempo, ormai inesistente, paternalistica e oggettivamente poco creativa, mentre Harris promette di portare il Paese in una nuova dimensione più adatta alle sfide del nostro tempo.
Guardare avanti e avere speranza e fiducia per un cambiamento vero sono radicati nel Dna di questa Nazione. Ed è vero che Harris rischia con proposte che le attribuiscono il marchio della “comunista”, ma almeno tiene conto del “giro di boa” strutturale di cui si parlava poco sopra. Un giro di boa che riguarda anche la politica: le democrazie mature sono sotto attacco del totalitarismo. E su questo punto le posizioni dei due, anche per come si manifestano nei discorsi e negli interventi pubblici, sono ancora più chiare.
Nell’immagine: Chicago, 17 agosto: in posa davanti a un murale di Kamala Harris
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