Sull’iniziativa sulla biodiversità, proprio perché respinta, ci si può arrovellare con
le schizofrenie prudenti, con le astuzie democratiche, con le sconfitte vincenti, con l’immaginario certo e inevitabile. D’accordo, è tutto un fiorire di ossimori (parole che esprimono concetti contrari), ma è purtroppo così e non è fantapolitica.
Per il 71 per cento degli Svizzeri le conseguenze della distruzione dell’ambiente naturale sono gravi per la salute, l’economia e le generazioni future.
Non emerge però dalla votazione, con una singolare contrapposizione città (sensibile) e campagna (contraria, anche se più interessata e coinvolta o forse proprio per questo; v.qui Rocco Bianchi).
Le astute tattiche del consigliere federale Rösti hanno funzionato, sia perché antidemocraticamente ha tenuto nascosto per più di un anno il rapporto sulla biodiversità che avrebbe subito dimostrato quanto era grave la situazione, sia perché ha fatto rimuovere dal libretto di votazione la comprovata affermazione scientifica che in Svizzera c’è una crisi della biodiversità (v. critiche documentate di Campax, Movimento di cittadini svizzeri).
926.159 persone si sono dichiarate favorevoli ad una migliore protezione della natura in Svizzera; disgraziatamente il “sì” non è passato, ma il risultato non è da poco, è eloquente e la responsabilità incombe ora sul Consiglio federale e il Parlamento (come ha commentato Pro Natura).
L’intestino felice
Mentre si discuteva in Svizzera su quella iniziativa, appariva un testo interessante che rendeva l’immaginario certo e inevitabile (Christian Bréchot, avec Emmanuel Roux, La revolution des microbiomes. Médecine des hommes, médecine de sols, ed. Odile Jacob, sett.2024). Libro affascinante, accessibile, dove protagonisti sono i batteri e dove si tirano le conseguenze sul nostro modello agricolo dopo le ultime scoperte scientifiche.
Diciamolo subito: microbiomi e microbioti vanno ormai per la maggiore nella ricerca medica e cominciano a emergere nella coscienza collettiva, anche se un po’ meno in quella svizzera. Eppure anche in Svizzera (come in Germania dapprima, poi in tutta Europa, ma principalmente Italia e Francia dove è stato subito tradotto) ha avuto grande successo, tanto da diventarne presto un “bestseller”, il libro della biologa e medico tedesca Giulia Enders “Darm mit Charme” (in italiano: L’intestino felice, i segreti dell’organo meno conosciuto del nostro corpo. Ed. Marsilio) o la storia di miliardi di batteri che interagiscono in permanenza con i corpi organizzati, in particolar modo nel nostro caso di mammiferi, mediante il sistema digestivo. Insomma, per troppo tempo sottovalutati, confusi addirittura con degli elementi patogeni che bisogna eliminare con la scure della sterilizzazione o dell’igiene eccessiva, i batteri ritrovano il primo piano della scena vitale.
Tra lo stomaco e il suolo
I batteri, unica forma di vita per tre miliardi di anni. Costituiscono la prima biomassa terrestre, il loro peso ritenuto più di mille volte superiore a quello di tutti gli “homo sapiens” messi assieme. Senza di essi i cadaveri non si decomporrebbero, la vita non potrebbe rinnovarsi, l’evoluzione naturale non seguirebbe il suo corso. Insomma, potremmo dire che i batteri sono la condizione del passaggio del tempo su un pianeta vivente. L’originalità del libro di Bréchot (che è stato direttore del glorioso Institut Pasteur di Parigi) è di descrivere il rapporto esistente tra il microbioma del suolo e quello del nostro stomaco. Da un punto di vista filosofico-metafisico, c’è solo un microbioma universale, di cui la Terra come gli esseri viventi complessi sono solo dei substrati, dei “passeurs”,dei traghettatori. E in noi e fuori di noi circolano permanentemente questi “animalucci” innumerevoli e variati. Come meglio illustrare questo nostro rapporto con tutto quanto è vivente?
Biologicamente, il microbioma dei suoli influisce direttamente sulla composizione e l’equilibrio del nostro organismo. Terreni esausti dallo sfruttamento profondo e dai mezzi di produzione agricoli (“intrants agricoles”, come concimi industriali o prodotti fitosanitari, pesticidi, tutto ciò che è destinato ad aumentare i rendimenti del suolo) finiscono per generare microbiomi poveri, fattori di numerose malattie (cancro, malattie neurodegenerative ecc.) e responsabili dei progressi inquietanti dell’anti-bioresistenza (e non a caso qui si richiama l’intuizione e espressione sempre più azzeccata di un filosofo tedesco, Feuerbach: “siamo ciò che mangiamo”).
Manca un consigliere federale “conservatore”
È portandoci, in conclusione, a un ragionamento puramente medico che Christian Bréchot si lancia in una difesa dell’agroecologia, della biodiversità, che è “una tecnica per coltivare i terreni preservando la loro fertilità naturale”. Tanto da sostenere il “biorisanamento”, un apporto diretto di batteri che permettano di rigenerare i terreni eliminando le sostanze chimiche, compresi i metalli pesanti che, dall’avvento dell’era industriale, sempre più si depositano sul suolo. Si tratterebbe solo di “correggere gli errori del passato utilizzando la scienza del presente”.
Ciò che Bréchot tralascia di dire – come dimostra appunto la votazione svizzera sulla salvaguardia della biodiversità – è che il soggetto del suolo, dell’uso del terreno, è eminentemente “politico”.
Nel 2017, Michael Gove, allora ministro conservatore dell’Ambiente nel governo britannico, era forse tra i primi politici governanti a rendere attenti sullo “sradicamento della fertilità dal suolo” (“UK is 30-40 years eradication of soil fertility”) e l’urgenza per gli agricoltori di contrastare il declino della biodiversità (“farmers be incentivised to takle decline in biodiversity”), proponendo nessun aiuto o sussidio a quegli agricoltori che non si impegnassero contro quel declino. Perché, aggiungeva “i paesi possono sopravvivere alle guerre e ai colpi di Stato, ma non alla perdita del loro suolo”. Forse ci manca un consigliere federale “conservatore”. Oppure la coscienza collettiva che l’ecologia – se così vogliamo chiamarla – è tutt’altro che punitiva, come si continua economicamente a ritenere e volere.
Nell’immagine: raffigurazione del microbioma intestinale