Se consideriamo rapporti e tentativi di rilancio (v.
Draghi e il momento dell’Europa) e se leggiamo alcuni commenti (v.
Il futuro dell’Europa al bivio della storia) l’Europa così com’è (intesa soprattutto, ma non solo, come Unione europea) sembra messa male e perdente, schiacciata e superata economicamente e politicamente da Stati Uniti e Cina, condizionata (energia o persino grano) e minacciata e ancora indebolita (Ucraina) dalla Russia.
Economicamente si ragiona e si confronta pressoché esclusivamente in termini di crescita del prodotto interno lordo e di competitività. Si osa andare un poco oltre i soliti parametri economici (rapporto Draghi) aggiungendo che “il nostro continente è specialmente minacciato perché ci siamo fidati e affidati troppo agli altri”. Politicamente “forse” ci si sta rendendo conto che “qualsiasi idea di egemonia di un “grande spazio” sull’altro può portare soltanto all’orrore globale” (Cacciari).
Potrà sembrare riduttivo (ma non lo è per niente): ci sono alcuni fatti o dati emersi dall’attualità che possono o dovrebbero portare anche ad altre considerazioni o conferme (fidati e affidati troppo) su debolezze, sudditanze, condizionamenti, irrazionalità e paradossi economici europei (che sono anche svizzeri).
1) L’Europa (compresa la Svizzera) è la grande banca degli Stati Uniti
Per rilanciare l’Europa (piano Draghi: 170 proposte di riforma delle politiche economiche) occorrono investimenti e quindi nuovo debito pubblico: oltre 800 miliardi di euro all’anno, oltre gli investimenti normali. Soprattutto per una “nuova strategia industriale”, per invertire il declino europeo in termini di ricerca, innovazione (“chiudere il gap, la differenza, di innovazione, apertosi con gli Stati Uniti” e si dovrebbe aggiungere soprattutto con la Cina). E qui è il primo grosso scoglio, con importanti opposizioni.
I paesi dell’area europea (compresa la Svizzera) detengono – secondo i dati dello stesso dipartimento del Tesoro americano – 1.121,5 miliardi di dollari di titoli statunitensi (nel 2011 erano ancora 502). Più della Cina che, con 1.089 miliardi di dollari, ha ovviamente un’arma non da poco se, sapendo rischiare per suo conto, come potrebbe, metterebbe a repentaglio l’economia americana in poco tempo.
L’Unione europea nel suo complesso, passando secondo i suoi dati da 699 (2011) a 1.587 miliardi di dollari, risulta il più grande finanziatore al mondo del debito pubblico Usa, superando Cina e Giappone. Trump, ancora nei suoi discorsi recenti di ricandidatura alla presidenza, minaccia dazi sulle importazioni europee (e cinesi) e chiede più spese militari all’Europa; le quali vanno comunque ancora a beneficio dell’industria militare americana (l’Unione europea acquista il 63 per cento del suo equipaggiamento militare agli americani). È però l’Europa che sostiene in gran parte il debito e quindi la diversa “crescita” del prodotto interno americano. Il tutto concorre anche allo squilibrio del sistema dei cambi, facendo lievitare il valore del dollaro, con cui si esprime il prezzo del petrolio o del gas e di altro ancora.
Le banche svizzere, poi, non possono dimenticare che hanno versato al Tesoro americano per penalità fiscali, decretate in base alle leggi americane, somme (almeno quelle conosciute, per le quattro categorie di banche indicate) che superano i 15 miliardi di dollari.E proprio quando gli Stati Uniti (2022) passavano in testa alla classifica dei paesi con maggiore opacità fiscale, classifiche del G7; opacità due volte più importante di quella Svizzera.
2) L’Europa foraggiatrice del “genio” miliardario e libertario Musk
Elon Musk, imprenditore sudafricano con cittadinanza canadese naturalizzato statunitense, miliardario (patrimonio netto: 241 miliardi di dollari nel 2024, fondatore di Tesla (vetture elettriche), SpaceX (trasporto interplanetario), PayPal, Open AI, ecc.), ritenuto un genio, è riuscito ad acquistare Twitter, volendo “battersi per la libertà di parola”. Grande sostenitore di Trump, che ha voluto intervistare, a suo modo, esaltandolo. Anche su un nostro quotidiano Musk è stato presentato da un noto finanziere come l’uomo geniale e della libertà, che voleva “liberare” Twitter. Argomentando: “Se riuscirà nel suo intento avrà a che fare con 7.500 collaboratori in maggioranza considerati di sinistra e vicini alla cultura oggi imperante e che hanno una produttività pari solo al 35 percento di quella dei loro colleghi di Facebook”.
Per acquistare Twitter (che dall’inizio del 2023 cambiava poi nome in X) è stato concesso a Elon Musk un prestito di 13 miliardi di dollari (sui 44 richiesti per impossessarsi di Twitter). Due importanti banche francesi, BNP Paribas e Société Générale, assieme a cinque altre anglosassoni (Morgan Stanley, Bank of America, Barclays) e due giapponesi (Mufg e Mizuho) vi hanno provveduto.
Le due banche francesi vi hanno contribuito con oltre 2 miliardi di dollari. Un onere eccessivo, fuori misura, con una durata senza precedenti nella storia del cosiddetto LBO (Leverage Buy Out, o, per dirla in termini semplici, acquisizione mediante debito). Con grossi rischi di perdite potenziali crescenti in caso di risalita dei tassi, come in parte è avvenuto. Tanto da preoccupare anche la BCE, la Banca centrale europea per una sovraesposizione ai prestiti ad alto rischio. L’agenzia finanziaria americana Bloomberg riteneva, poco dopo l’operazione, che le perdite per l’assieme delle banche su questo credito fossero già superiori ai 4 miliardi di dollari.
Tutta questa storia, un poco complicata, dimostra semplicemente come l’Europa e alcune sue banche principali sono pronte ad investire e a maggior rischio altrove, fuori Europa, in operazioni perlomeno dubbiose, piuttosto che avere lo stesso ardire e lo stesso rischio sul proprio Continente. Forse sta anche qui quel “ci siamo fidati e ci affidiamo troppo agli altri” (sottinteso: non a noi stessi) di Draghi. Oppure è una sudditanza suicida che cozza con le pretese di sovranismo di molti governi europei perlopiù di destra trionfante.
3) Guerra in Ucraina, fortuna negli Stati Uniti
A mo’ di appendice, dove la propria responsabilità è comunque di altro tipo, l’Europa ha sofferto e pagato per la guerra in Ucraina molto di più degli Stati Uniti. I quali, in realtà, a conti fatti, ne hanno molto guadagnato (come risulta persino da alcuni studi recenti americani) finanziando, obliquamente, le proprie industrie. Sia perché l’industria militare americana (annoverando anche le vendite ad Israele o Taiwan) è girata a pieno regime, sia perché i prezzi del gas, del petrolio, del grano e persino dell’uranio si sono moltiplicati almeno per cinque. Incidendo ovviamente anche sull’inflazione e il potere d’acquisto degli europei.
Gli Stati Uniti hanno così avuto modo di diventare importanti esportatori di gas naturale liquefatto, rendendo economicamente redditizia l’estrazione più costosa dagli scisti bituminosi ed anche quella dei loro pozzi petroliferi. Non è certamente solo “geopolitica” se una delle prime sanzioni decretate dal Congresso americano, su proposta di quattro senatori repubblicani interessati, è stata quella di bloccare il gasdotto Nord Stream che collegava Russia e Germania (poi sabotato misteriosamente da… ucraini). E in quella decisione si diceva testualmente: “gli europei devono sostituire il gas russo con il gas della libertà” (frase poi ripresa dallo stesso Trump in un suo discorso). Quel blocco metteva in ginocchio soprattutto la Germania (e infatti ne era avversa o sospettosa la cancelliera Merkel) e pochi hanno rilevato che colpiva in modo fatale anche una ditta svizzero-olandese che si occupava di quel gasdotto di 1.200 chilometri.
Nell’immagine: Mario Draghi superstar