Ian Bremmer: “Per i dem c’è la possibilità di vedere la vittoria”
L’uscita di scena di Biden dà uno scossone positivo al partito, galvanizza la base, rimette in moto l’entusiasmo e l’attivismo
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L’uscita di scena di Biden dà uno scossone positivo al partito, galvanizza la base, rimette in moto l’entusiasmo e l’attivismo
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• – Redazione
L’uscita di scena di Biden dà uno scossone positivo al partito, galvanizza la base, rimette in moto l’entusiasmo e l’attivismo
«Ammiro la scelta di Joe Biden. Ha messo l’interesse del paese e del suo partito davanti alle sue ambizioni personali e alla sua storia politica. Una scelta tormentata e difficile, che è stato comunque capace di prendere e questo gli va riconosciuto. Ce lo aspettavamo tutti, o meglio, ce lo auguravamo. Ma, certo, il ritiro dalla corsa di un presidente in carica è comunque un passo epocale e non scontato». Ian Bremmer è l’analista esperto di rischi globali, fondatore di Eurasia Group, fra i più influenti think tank di Washington.
Joe Biden ha infine ceduto alle pressioni e agli appelli arrivati da più parti…
«Ha appena messo nelle mani dei democratici una concreta possibilità di vittoria. La sua uscita di scena dà uno scossone positivo al partito, che fra l’altro dimostra una duttilità interna inaspettata. Così facendo galvanizza la base, rimette in moto l’entusiasmo e l’attivismo porta a porta, tanto necessario in una competizione contesa come questa. Altrettanto importante, ora anche i candidati minori che corrono per diversi seggi al Congresso hanno maggiori speranze di farcela».
Quanto peserà il suo endorsement a Kamala Harris? Dobbiamo già considerarla il candidato ufficiale dei democratici o sul suo nome ci saranno obiezioni all’interno del partito?
«L’endorsement ad Harris era scontato: hanno lavorato insieme, ed è un evidente segno di continuità e di difesa della sua legacy. A questo punto lei è decisamente la favorita, anche perché all’interno del partito pure quei big che tanto hanno premuto per l’uscita di scena di Biden, la sostengono. Ciò detto, anche per dare un segnale di democrazia e dialettica interna, probabilmente qualcuno la sfiderà e ci sarà una qualche forma di mini-primaria. Non tale da metterne in discussione la leadership, anzi, capace semmai di rafforzarne la candidatura, legittimandola ancora di più».
Donald Trump se lo aspettava?
«Decisamente sì, da settimane la sua campagna attacca Kamala Harris che prima aveva ignorato. È ancora sicuro di vincere e a oggi i sondaggi gli danno ragione. Ma il cambio di candidato è comunque per lui una cattiva notizia, sebbene allo stato delle cose, resta il favorito. Adesso sono i democratici ad avere l’attenzione di elettori e media: gli hanno sfilato i titoloni sulle prime pagine dei giornali, proprio quando lui era all’apice della visibilità. Una bella botta mediatica».
E ora come reagirà?
«Com’è suo stile, attaccando a tutto tondo. E anche i suoi faranno di tutto. Lo speaker del partito repubblicano Mike Johnson lo ha già annunciato, daranno battaglia legale, contestando il cambio di candidato in corsa. Non possono far molto, il regolamento interno al partito democratico permette ai delegati di cambiare cavallo in base a una regola di coscienza che prevede, fra l’altro, la possibile malattia di un candidato. Ma certo presumibilmente questo li spingerà a parlare nuovamente di elezioni rubate».
Chi – o che cosa – ha dato la spinta decisiva a Joe Biden? Fino a ieri sembrava non disposto a mollare…
«Da una parte coloro di cui si legge sui giornali: l’ex Speaker della Camera Nancy Pelosi, ancora molto influente e poi il leader della maggioranza al Senato Chuck Schumer, quello della minoranza alla Camera Hakeem Jeffries e gli altri big del partito. Senza il loro sostegno, non avrebbe mai potuto vincere: ieri persino il moderato Joe Manchin gli ha voltato le spalle. Ma anche amici, persone di cui si fida. E a dargli la spinta finale sono stati i sondaggi più recenti. Perfino delle ultime ore, erano decisamente negativi e Biden è sempre stato molto sensibile all’opinione della gente».
Kamala Harris può farcela?
«Mettiamola così: voleva fortemente la nomination fin da quando corse le primarie del 2020. E poi, in quanto vicepresidente, è conosciuta a livello nazionale – un vantaggio rispetto a qualunque altro aspirante candidato, che non avrebbe altrettanta riconoscibilità – e internazionale. Sabato ha tenuto un fundraising durante il quale ha raccolto 2 milioni di dollari, il doppio dell’obiettivo previsto di uno: quindi piace ai donatori. E ha il sostegno delle donne: se lo è guadagnato girando il Paese parlando della battaglia per il diritto d’aborto. Ora che Biden passerà come salvatore del partito, aver lavorato con lui sarà una ulteriore medaglia sul suo petto».
Chi potrebbe scegliere come numero due?
«Sospetto che al sua fianco vedremo un uomo bianco, moderato, forte negli Stati considerati a rischio. Insomma, una figura capace di opporsi a J.D. Vance. Azzarderei i nomi del governatore della Pennsylvania Josh Shapiro, vincitore in uno Stato chiave che porta ben diciannove voti elettorali, il numero più alto fra gli Stati a rischio. Oppure il senatore dell’Arizona Mark Kelly, ex astronauta molto noto, la cui moglie, l’ex deputata Gabby Giffords, subì un grave attentato durante un comizio elettorale ed ora è una delle più importanti attiviste anti-armi d’America».
Nell’immagine: Ian Bremmer
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