Il muro anti sovranisti salva il debole Scholz
Di Francesca Sforza, La Stampa Sicuramente migliore delle altre, questa domenica, per il cancelliere tedesco Olaf Scholz: se anche in Brandeburgo, Land storicamente...
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Di Francesca Sforza, La Stampa Sicuramente migliore delle altre, questa domenica, per il cancelliere tedesco Olaf Scholz: se anche in Brandeburgo, Land storicamente...
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Sicuramente migliore delle altre, questa domenica, per il cancelliere tedesco Olaf Scholz: se anche in Brandeburgo, Land storicamente socialdemocratico, l’estrema destra fosse arrivata al primo posto, avrebbe dovuto dimettersi o comunque attraversare una fase politica di estrema cupezza. E invece no, per poco, ma ce l’ha fatta: l’Spd si è confermata la formazione politica più votata (la destra la tallona al secondo posto, però, con pochi punti percentuali in meno) e il cancelliere è salvo.
A un secondo sguardo, tuttavia, non c’è da sentirsi così al sicuro, e il rischio che il sospiro di sollievo si strozzi in gola mandando tutto di traverso non è poi tanto remoto. Vediamo perché: il vero vincitore di questa tornata elettorale è il governatore del Brandeburgo Dietmar Woidke, uno che da undici anni lavora – a suo dire – «sessanta, settanta, talvolta ottanta ore a settimana per questo territorio», e che non ha avuto paura di rivolgersi direttamente ai suoi elettori – «Se l’Spd non arriva prima me ne vado» – e indirettamente a Olaf Scholz, facendogli arrivare il messaggio che il suo sostegno, in campagna elettorale, non solo non era gradito, ma avrebbe potuto danneggiarlo.
È lui che ha vinto, dunque, malgrado il suo territorio si stia obiettivamente spostando a destra (il 29 e rotti per cento ha votato Afd) e malgrado il cancelliere non sia stato di alcun aiuto. Non solo, ma con quella chiamata alle armi sul modello Macron – «o me o la destra» – ha sì portato a caso un risultato personale positivo, ma ha anche polarizzato lo scontro politico al punto da sottrarre elettori ai Verdi e persino alla Cdu (che è andata malissimo, mai così male).
La partecipazione al voto è stata molto superiore alla volta scorsa, arrivando a toccare quota 70 per cento, e si sa che quando c’è mobilitazione è perché si percepisce una certa urgenza (l’astensionismo è da democrazia matura, ripetono da anni gli analisti elettorali); ai seggi si sono presentati molti elettori di mezza età, molte donne, addirittura diversi rappresentanti della comunità sorba in abiti tradizionali (pare abbiano paura delle pulizie etniche minacciate dai neonazisti di Afd). L’obiettivo, in definitiva, era quello di bloccare l’avanzata (esattamente come in Francia), ma restano aperti una serie di interrogativi: perché un modello decisamente di successo come il Brandeburgo, che negli anni è riuscito a diversificare la propria economia, a generare un tessuto sociale piuttosto solidale, con indicatori decisamente positivi rispetto ad altri Laender della ex Germania Orientale vede crescere così tanto l’estrema destra? E come mai la polarizzazione ha preso il sopravvento sulla varietà dell’offerta elettorale, riducendo inevitabilmente la dialettica parlamentare e finendo per schiacciare persino un grande partito popolare come la Cdu?
Diciamo che dal Brandeburgo – che resta una realtà regionale, ancorché di un grande Paese europeo – arrivano dei segnali che possono essere utilmente applicati a scenari politici più ampi. Il primo è l’importanza di interagire con il territorio: Woidke aveva dalla sua esperienza, risultati, sostegno popolare trasversale, e una buona dose di carisma politico personale. Il secondo è l’evidenza di una destra che macina sempre gli stessi argomenti – no all’immigrazione, no all’integrazione, no agli ambientalisti – ma che di fatto, non avendo accesso ad alcuna forma di governo, non ha modo di dimostrare di saper trasformare il consenso facile in capacità di governare. E così, inevitabilmente, finisce per diventare il ricettacolo di uno scontento sempre crescente, a cui è sempre più difficile opporre un argine (le probabilità di sbagliare da parte di chi governa sono molto superiori a quelle di chi sta all’opposizione). Il problema è che oltre a essere scontenti sono neonazisti, e questo rende molto più difficile affrontare il dibattito di un loro qualsivoglia coinvolgimento politico. Chissà se sarà sufficiente, per i grandi partiti popolari tedeschi, continuare a tenere i piedi ben piantati sul territorio, come l’Spd in Brandeburgo, o spostarsi a destra, come sta cercando di fare la Cdu di Friedrich Merz.
Nell’immagine: il cancelliere Olaf Scholz
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