Il vero suffragio universale
di Ezio Mauro, La Repubblica Come dall’alambicco di un aspirante stregone, dall’azzardo di Emmanuel Macron risorge a sorpresa lo spirito della Republique che sembrava esaurito e...
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Come dall’alambicco di un aspirante stregone, dall’azzardo di Emmanuel Macron risorge a sorpresa lo spirito della Republique che sembrava esaurito e la Francia ribalta se stessa, rovesciando il voto delle elezioni europee, la gerarchia del primo turno, i sondaggi e le previsioni. L’arrembaggio della destra estrema al governo è fallito e il Rassemblement National di Le Pen e Bardella pronosticato trionfatore precipita al terzo posto, dietro il nuovo fronte delle sinistre che è il vincitore a sorpresa, e dopo l’alleanza che si riconosce nell’Eliseo, in seconda posizione. Il governo resta difficile, il parlamento rimane “impiccato”.
Ma il risultato è clamoroso, frutto di una vera e propria mobilitazione nazionale dei cittadini che ha portato a una partecipazione al voto vicina al 70 per cento, coinvolgendo le generazioni più giovani. Ancora una volta al momento di consegnare la Repubblica al nazional-sovranismo lepeniano e alla sua eredità post fascista mai dismessa, la Francia si è fermata, ha invertito la rotta, e ha salvato molto più di sé stessa: perché nel voto erano in gioco i valori liberal-democratici, vale a dire la cultura politica dell’Europa e dell’Occidente, oggi sfidata dai populismi e dai nuovi autoritarismi che insieme propongono lo scenario pericoloso di una democrazia illiberale.
Dunque Macron con la decisione a sorpresa di sciogliere l’Assemblea Nazionale ha fermato la destra radicale e ha rilanciato la sinistra, sicuramente al di là delle sue intenzioni. Un salto nel buio, più adatto a un machiavellico Mitterrand che a un tecnocrate moderato. Ma che doveva fare il presidente? A precipizio nei sondaggi non poteva restare fermo ad assistere alla marcia di conquista di Le Pen. Svuotato di forza propria, ha puntato sulla forza altrui, chiamando i partiti contrari a sbarrarle la strada che da Matignon porta dritta all’Eliseo: convinto (sbagliando) di impersonare il superamento di categorie che considera scadute come la destra e la sinistra, si è trovato di fronte la prima a un passo dal potere, e ha rianimato la seconda resuscitandola. Ora dovrà sciogliere le sue contraddizioni, nella fatica di un sistema bloccato, e dovrà soprattutto decidersi a distinguere tra destra e sinistra, spiegando al Paese da dove vengono i veri pericoli per la Repubblica. Proprio la difficoltà di coalizzare qualsiasi maggioranza può restituire libertà di manovra al presidente, con tutte le incognite del caso. Il premier Attal si dimette stamane, nessun partito ha la maggioranza assoluta, qualsiasi intesa oggi sembra in salita: ma il centro di gravità del sistema per forza di cose si sposta dall’Eliseo al parlamento.
Sei minuti dopo le prime proiezioni, il Fronte ha rivendicato la vittoria, e soprattutto ha richiesto immediatamente la guida del prossimo governo. Con tutti i leader sul palco, la folla in piazza, Glucksmann al suo fianco, Jean Luc Mélenchon ha parlato all’Eliseo, ricordando che dopo questo risultato che quasi tutti credevano impossibile il Primo ministro si deve dimettere e “il Presidente ha il potere e il dovere di chiamare al governo il Nuovo Fronte Popolare che è pronto e rispetterà il mandato ricevuto dal voto”. Mélenchon è stato molto duro con Macron: “la volontà popolare deve essere rispettata, non c’è spazio per nessun sotterfugio, negoziato, compromesso. La sconfitta del Presidente è confermata, deve chinare il capo e accettare il risultato”. Il Fronte, assicura Mélenchon, metterà insieme i diversi partiti e costruirà un programma a partire dai punti qualificanti, il blocco dei prezzi, l’aumento del salario minimo, il blocco della riforma delle pensioni.
Sotto choc per la sorpresa elettorale la destra ha dato la colpa della sconfitta a “un’alleanza innaturale, che ha privato i francesi della possibilità di trasformare in governo la politica che avevano scelto alle elezioni europee e al primo turno”. Bardella ha denunciato la nascita di una sorta di “partito unico” guidato dall’Eliseo, rispetto al quale il Rassemblement è l’unica alternativa. “Lavoreremo per non farci strappare la sovranità”, ha aggiunto Bardella. “La vittoria è solo rimandata”, ha promesso Le Pen. Ma questo rimbalzo continuo tra la crescita elettorale e l’impotenza a coalizzare sta consumando la leader della destra, costretta ogni volta a contrapporre all’infinito popolo e parlamento, elettori e sistema: per non dover ammettere che non ha ancora trovato il convertitore del consenso in politica. Questo limite alimenta il vittimismo populista, ma nello stesso tempo rischia di essere eterno, certificando la minorità della destra.
Al momento decisivo, un’altra Francia prende il sopravvento, il Paese antifascista della libertà e dei diritti. La novità è che la sinistra, appena si è rianimata, è stata scelta come la forza a cui affidare questa storia e la sua tutela. L’alleanza è troppo recente e troppo necessitata per capire se sarà in grado di reggere alla prova di costruzione di una maggioranza governativa, anche perché al suo interno è ben visibile il vecchio demone del duello tra massimalisti e riformisti: con Glucksmann che sembra tenere in mano il filo sottile di una ricostruzione socialista e democratica faticosa e difficile ma forse possibile, dopo la diaspora, e Mélenchon che scambia l’antisemitismo per convenienza, mentre invece è dannazione per tutti, e per la sinistra è colpa.
Intanto la destra radicale è stata fermata, in quello che è stato un vero “suffragio universale” non solo nel senso della platea, ma negli effetti sparsi sul destino dell’intero continente. Invece di sciogliere il grumo dell’eredità fascista con una piena adesione alla democrazia occidentale, Le Pen ha pensato che proprio quell’eredità fungesse da richiamo anti-sistema per tutti i delusi, i ribelli, gli arrabbiati, gli esclusi.
Ma la Francia non ha perdonato il peccato originale, e questa lezione vale anche per Giorgia Meloni, con tutte le differenze. Lo stop alla destra che non accetta di “bemollizzarsi” è decisivo, purché si intenda che non è un punto d’arrivo, ma di partenza. Agli appelli devono seguire i fatti, gli elettori hanno risposto, ora tocca alla politica recuperare un consenso basato sulla fiducia e non sulla paura. Il voto di ieri da domani bisogna meritarselo
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