Di Francesca Sforza, La Stampa
L’ultima volta che si era andati a votare, nel 2019, le cose non erano andate in modo molto diverso da ieri: allora l’AfD era risultata in Sassonia il primo partito, seguita dalla Cdu, e in Turingia il secondo, dopo la Cdu. Socialdemocratici e verdi non erano riusciti a superare la soglia dell’8 per cento, confermandosi i due partiti meno in grado di intercettare gli umori di quei Länder. Anche in quell’occasione Olaf Scholz, che aveva la guida dell’Spd, fu costretto a cospargersi il capo di cenere, promettendo che avrebbe cambiato strategia per rafforzare la presenza del partito nei territori dell’Est, ma a distanza di anni nulla è cambiato. Con la differenza che nel frattempo è diventato cancelliere, l’Europa si è spostata a destra e la Russia ha invaso l’Ucraina, tutti fattori che hanno reso il risultato di ieri tragicamente peggiore, per il cancelliere, per l’Europa e per l’Ucraina.
Saranno le analisi di voto e i messaggi che arriveranno dal Bundestag a determinare il futuro dell’attuale maggioranza di governo, ma i riflessi si faranno sentire anche nell’Unione Europea, dove solo una campagna elettorale più lunga e dibattuta del solito è riuscita a minimizzare la presenza del vero elefante nella stanza, ovvero una Germania fragile, disorientata, disconnessa sia dalla Francia sia dai dossier, portati avanti sul solco di posizioni tradizionali, con stanchezza, senza inventiva, senza rigore.
Negli ultimi mesi prima del voto europeo non si sono registrate iniziative tedesche, ma solo tentennamenti: sulla decisione dell’invio di armi a Kyiv, sulle politiche di transizione ecologica e di digitalizzazione, persino sulla questione del debito; chi ricorda una posizione di rilievo assunta dal ministro tedesco dell’economia (e quanti sono a ricordare, in generale, le gesta di Lindner rispetto ai suoi predecessori)?
Dopo il voto la situazione è persino peggiorata: il crollo di consensi della maggioranza di governo, che in Francia ha spinto Macron a rimettere in discussione gli equilibri dell’Assemblea Nazionale, in Germania non ha portato né a nuove elezioni, né a una sfiducia costruttiva (prevista sulla base del sistema tedesco) né a un rimpasto di governo. Se alla Turingia e alla Sassonia, il prossimo 22 settembre, si unirà il Brandeburgo (un Land tradizionalmente socialdemocratico) sarà difficile per Scholz continuare l’accanimento terapeutico per sopravvivere in Cancelleria. Nel frattempo, a essere colpito è il cuore stesso dell’integrazione europea: con una Francia ancora in cerca di governo e una Germania con la maggioranza a pezzi, come faranno a strutturarsi quegli accordi che storicamente hanno portato i maggiori progressi nelle politiche europee? Che Ursula von del Leyen possa, nel suo ruolo di presidente della Commissione Ue, costituire qualcosa di più di un bastione di resistenza contro le spinte della destra e la fragilità del suo stesso governo, è difficile da immaginare.
A segnare un punto è stato invece Vladimir Putin, che vede rafforzarsi la sua quinta colonna nell’ex Germania Est. Sia l’estrema destra sia l’estrema sinistra tedesche infatti hanno in comune il convincimento che la Nato abbia una responsabilità nella guerra in Ucraina, che l’invio di armi a Kyiv costituisca una minaccia alla sicurezza globale e che una soluzione pacifica sarebbe stata possibile se solo l’Occidente avesse fatto sul serio con la diplomazia. Tutte argomentazioni alimentate dalla propaganda putiniana e che non a caso hanno contrassegnato nelle ultime settimane una pioggia di messaggi circolati sulle maggiori piattaforme social. Secondo una ricerca diffusa da Index On Censorship, almeno il 10,7 per cento dei tweet su Alternative für Deutschland provenivano dalla stessa rete di disinformazione – Trollrensics – che aveva già infestato le reti durante le elezioni al Parlamento europeo e in Francia con propaganda filorussa, narrazioni no-vax e anti- Lgbtq+.
Anche se la maggior parte dei tedeschi dell’Est non si fa illusioni su Putin, decenni di propaganda anti-occidentale hanno scavato un solco e confuso le idee, creando una serie di falsi miti all’insegna del “si stava meglio quando si stava peggio”, non decostruiti con sufficiente forza proprio dalla socialdemocrazia tedesca (non parliamo dei Verdi, vissuti come degli alieni, e in quanto tale espulsi dai consessi regionali). I legami dell’AfD con Mosca sono non solo documentati, ma di lunga data: prima delle elezioni europee di giugno, le autorità tedesche avevano denunciato una massiccia operazione di influenza russa che coinvolgeva uno dei candidati principali dell’AfD, ma il partito è comunque arrivato secondo. Björn Höcke, il leader dell’AfD in Turingia che molti considerano il padre spirituale del partito, ha dichiarato che se mai dovesse diventare cancelliere tedesco, il suo primo viaggio sarebbe a Mosca. Ma la stampa satirica gli ha consigliato di risparmiare i soldi del volo: in quel caso sarebbe Putin a venire a trovarlo per primo.
Nell’immagine: l ‘ultradestra tedesca vola, Afd primo partito in Turingia