Di Enrico Franceschini, La Repubblica
Benjamin Netanyahu si ritrova impegnato su un doppio fronte: quello esterno, a Gaza, contro Yahya Sinwar, il leader di Hamas; e quello interno, nello Stato ebraico, contro i sindacati che dichiarano sciopero generale, appoggiati dai partiti di opposizione e dalle famiglie degli ostaggi, per paralizzare il Paese. Paradossalmente, l’obiettivo dei suoi avversari è lo stesso: costringere il premier israeliano ad accettare un cessate il fuoco nella guerra che dura da quasi undici mesi, se non addirittura provocare una crisi politica per forzarlo a dimettersi.
I due fronti possono influenzarsi a vicenda. E un terzo fronte, quello della diplomazia americana, grande mediatrice del negoziato fra Israele e Hamas, può a sua volta influire su quello che accadrà nei prossimi giorni.
Per Sinwar sarebbe già una vittoria arrivare al cessate il fuoco da vivo, in condizioni di essere lui a trattare. Per i sindacati, per l’opposizione, per le famiglie degli ostaggi, il cessate il fuoco rappresenta l’unico modo di ottenere il rilascio dei 101 israeliani ancora prigionieri dei jihadisti nella Striscia palestinese. Domenica 1 settembre sei di essi sono stati ritrovati morti dall’esercito israeliano, scatenando un’ondata di rabbia senza precedenti nei confronti di Netanyahu.
Erano sei dei tanti giovani partecipanti al rave festival nel Sud di Israele catturati da Hamas nell’aggressione del 7 ottobre scorso. Uno di loro, Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, di cittadinanza israeliano-americana, era diventato il simbolo degli ostaggi: i suoi genitori hanno parlato perfino con papa Francesco e alla Convention del partito democratico a Chicago nel tentativo di ottenerne la liberazione.
Hamas afferma che i sei sono morti sotto i bombardamenti di Israele. L’esercito israeliano sostiene che sono stati uccisi con una pallottola alla testa. Ma per una parte rilevante della popolazione israeliana, questa contrapposta versione cambia poco. «Netanyahu li ha abbandonati», dice Ron Huldai, sindaco di Tel Aviv, riassumendo il pensiero di molti.
L’accusa al primo ministro è di non avere raggiunto un accordo sul cessate il fuoco, tra le cui condizioni figura in primo piano il rilascio degli ostaggi. Sebbene anche Hamas sia accusata di avere respinto più volte un accordo, Netanyahu viene percepito in Israele e nella comunità internazionale come un ostacolo altrettanto rigido a un’intesa.
L’impressione della maggioranza degli osservatori è che il premier preferirebbe aspettare l’esito delle presidenziali americane di novembre, convinto che, nel caso di una vittoria di Donald Trump, le pressioni su Israele per fare concessioni ad Hamas diminuirebbero. Per ragioni analoghe, il presidente Biden e la vicepresidente Kamala Harris, candidata alla Casa Bianca nella sfida con Trump, insistono per un cessate il fuoco, sperando che farebbe guadagnare voti al partito democratico nella corsa alla Casa Bianca.
Sempre più criticato dai suoi stessi capi delle forze armate e dei servizi di sicurezza, secondo cui la guerra ha già raggiunto il massimo obiettivo militare possibile, finora Netanyahu ha resistito al cessate il fuoco perché gli alleati di estrema destra minacciano di lasciare la coalizione di governo nel momento in cui lo accettasse.
Fino a qualche giorno fa, il primo ministro era incoraggiato dai sondaggi, che per la prima volta dall’inizio del conflitto lo davano in ascesa. Ma il ritrovamento dei sei ostaggi morti fa esplodere la protesta come non si era ancora visto.
Beninteso, è dall’inizio della guerra che il leader israeliano viene aspramente contestato in patria. Entrato in un governo di unità nazionale per fronteggiare la crisi, in giugno si è dimesso il leader dell’opposizione Benny Gantz. Una settimana fa il ministro della difesa Yoav Gallant ha chiuso un gabinetto di guerra urlando il suo dissenso in faccia al premier.
Lo sciopero generale e le dimostrazioni di piazza potrebbero essere la spinta che fa cedere Netanyahu. «Chi assassina ostaggi», ha affermato lui, «non vuole un cessate il fuoco». Non è necessariamente vero: Hamas sa che ogni ostaggio ritrovato ucciso incendia le emozioni a Gerusalemme. Pace a Gaza o guerra in Israele, ecco il dilemma del primo ministro.
Nell’immagine: in Israele sciopero generale contro il governo