Di Alan Friedman, La Stampa
Non fatevi ingannare dal chiasso euforico in arrivo da Chicago. Kamala Harris non ha ancora vinto le elezioni.
È vero, giovedì sera, a chiusura di una settimana di allegria ed entusiasmo alla Convention democratica, ha fatto il discorso della sua vita. È vero, Michelle Obama è stata fantastica e suo marito Barack – a prescindere da quello che pensate di come gestì la Primavera araba – oggi continua a essere il migliore oratore d’America. Entrambi gli Obama hanno asfaltato il barone arancione di Mar-a-Lago. Hillary Clinton si è presa la sua eloquente rivincita contro Trump. Joe Biden ha detto che il suo triste addio è piuttosto amaro. E Bill Clinton ha dimostrato di essere tuttora un eccellente idolo delle folle. Tim Walz, il dimesso candidato alla vicepresidenza proveniente dal Minnesota, si è rivelato un normale americano risoluto e, soprattutto, un ex allenatore di una squadra di football delle superiori. Se gli italiani vanno matti per il calcio, gli americani venerano i loro allenatori di football del liceo e del college.
Insomma, sembra tutto meraviglioso e i quattro giorni della Convention democratica nazionale sono stati un enorme successo. Il duo Harris-Walz probabilmente schizzerà ancora in alto nei sondaggi nei prossimi giorni, grazie a quel genere di “scatto” positivo che un evento di questo tipo produce.
Anche se la gente inizia a pensare che Kamala vincerà le elezioni del 5 novembre e che la minaccia Trump stia sfumando, opterei per attenersi ancora alla prudenza. Forse, le parole più intelligenti pronunciate durante la Convention democratica nazionale sono state quelle di Barack Obama quando ha ammonito che «malgrado l’incredibile energia che siamo riusciti a generare nelle ultime settimane, la corsa [alla Casa Bianca, ndr] continua a essere molto serrata in un Paese molto diviso».
Insomma, la corsa è ancora un testa a testa. Le elezioni per la presidenza in America sono decise spesso da uno o due punti percentuali soltanto. O meno. Fino a questo momento,Harris gode di un vantaggio che rientra ancora nel margine statistico di errore, che è di quattro punti percentuali. Nei sei stati in bilico (Georgia, Pennsylvania, Michigan, Wisconsin, Nevada, Arizona) Harris e Trump stanno ancora combattendo. Combattono in stati chiave nei quali votano milioni di persone, ma dove a decidere chi vincerà sono appena centinaia di migliaia di voti, in qualche caso soltanto decine di migliaia.
Si deve anche tenere bene a mente che tutto può succedere. Ieri il complottista e no-vax Robert F. Kennedy Jr. si è ritirato dalla corsa per la presidenza e ha fatto il suo endorsement per Trump. Aiuterà Trump? Un po’. Sarà un fattore decisivo a novembre? Probabilmente no. Il 18 settembre, Trump riceverà la sua sentenza dopo la condanna per 34 casi di frode penale. Potrebbe finire in carcere o dover pagare semplicemente una sanzione. Questo farà la differenza? Difficile.
Kamala potrebbe, alla fine, farcela. Ma attenzione: I candidati alla presidenza escono sempre dalle rispettive Convention con un brusco rialzo nei sondaggi di opinione. La vera domanda da porsi, pertanto, è la seguente: questo trend proseguirà anche a ottobre e porterà Kamala a una vittoria schiacciante? Oppure la profezia di Obama si rivelerà giusta e nonostante tutta l’energia per Kamala, la corsa alla presidenza comunque continuerà a essere un testa a testa fino all’ultimo? Ne parliamo tra un mese.
Traduzione di Anna Bissanti