Khelif e le altre contro l’armata delle tenebre
Imane Khelif è medaglia d’oro
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Imane Khelif è medaglia d’oro
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• – Redazione
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• – Redazione
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• – Redazione
Dunque la pugile Imane Khelif, una delle Storie (con la lettera maiuscola) di queste Olimpiadi, è medaglia d’oro. E oggi lo sono anche le ragazze italiane della pallavolo, con Paola Egonu e le altre. Così Vannacci sarà sistemato per benino.
Con lui tutta un’armata delle tenebre che va da Musk a Trump alla sora Pina, ma Vannacci di più: la minaccia di togliersi i pantaloni in diretta durante un talk show per provare la sua indubbia mascolinità, proprio come ai tempi della visita militare e dei vecchi film con Edvige Fenech, svetta nell’incredibile repertorio di gag e genialate retoriche ascoltate in questi giorni.
Magra consolazione la vittoria nelle nostre piccole Olimpiadi tra presunti esperti in testosterone, cromosomi e fenotipi. Di certo non esperti di lealtà sportiva dal momento che la vicenda della pugile algerina fino alla fine è stata inquinata da titoli che ci tenevano a sottolinearne l’”intersex” e, come se niente fosse, ancora il sesso maschile. Ne abbiamo letti ovunque, su ogni social ma anche su Repubblica (intervista all’allenatore Falcinelli) e sul Corriere che dava spazio a un medico della federazione di pugilato Iba. Solo i titoli, dal momento che i testi avevano un tono del tutto opposto. Brutto segno.
Uno dei primi casi social di queste Olimpiadi era stata l’intervista tv nella quale la nuotatrice Benedetta Pilati, 19 anni, gioiva tra le lacrime per il suo quarto posto. Ma come? Possibile? Adesso le ragazze della pallavolo che affrontano in finale gli Usa hanno due risultati buoni, l’oro e l’argento, perché come ci ha spiegato una volta di più il loro allenatore Julio Velasco bisogna «godere di quel che si ha» nello sport. Magari nella vita è più complicato. Ritrovare dopo tanti anni in ottima forma e con le parole giuste uno dei pensatori di sinistra più lucidi di questo paese fa sempre piacere.
Meglio vincere o meglio partecipare? Se ogni quattro anni le Olimpiadi ce lo fanno chiedere, nel nome del vecchio (e parecchio compromesso) De Coubertin, è buona cosa. Meglio partecipare, meglio vincere. Si può essere contenti per aver partecipato, felici per aver vinto contro se stessi, per aver superato un limite qualunque, fatto qualcosa, senza nemici né troppe bandiere. È banale aggiungere che il racconto nazionalistico degli sport, tifoso fino all’urlo e al grottesco tv ha fatto il suo tempo? C’è talmente tanta di quella bellezza di cui godere, persino sexy, se non alla Olimpiadi dove?
Delle gare a Berlino nel 1936, passate alle storia per la vittoria del nero Jesse Owens di fronte a Hitler in persona, l’originale vittoria dei Buoni, si racconta che la vincitrice dei 100 metri femminili Helen Stephens, americana, fu accusata di essere un uomo. Prima di gareggiare dovette passare il controllo del Cio. Dopo la gara si trovò di fronte ancora Hitler, che salutò con una stretta di mano, subendo la corte esplicita (e manesca) del dittatore. Lesbica non ancora dichiarata (avrebbe vissuto con una compagna per tutta la vita) Stephens si sfilò con destrezza. A proposito, secondo alcuni Hitler incrociò anche Owens dopo la gara, lontano da sguardi indiscreti. Forse a modo suo si complimentò. Di certo fu il presidente americano Roosevelt a non stringere mai la mano al ragazzo dell’Alabama.
Nell’immagine: Imane Khelif bacia la medaglia d’oro
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