La guerra cambia l’idea di libertà
Il conflitto minaccia di stravolgere tutto
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Il conflitto minaccia di stravolgere tutto
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• – Redazione
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Stampa / Pdf
• – Franco Cavani
Poiché la guerra li chiama in causa, cercando la definizione e la giustificazione di una tragedia di cui non s’intravvede la fine, anche i concetti sono al fronte, costretti a muoversi in prima linea. E poiché il conflitto minaccia di stravolgere tutto, partendo dall’abuso della storia per deformare la geografia, rovesciando il diritto e svuotando le regole della coesistenza, anche le idee corrono il rischio di uscire dalla tensione estrema di questa fase sfigurate nel loro compito di dare un nome alle cose, cercandone il significato. Lo slittamento di senso delle parole è uno degli effetti bellici collaterali, e sotto la spinta della propaganda da un lato e della realpolitik dall’altro, si sta realizzando sotto i nostri occhi distratti e indifferenti, come se il fenomeno non riguardasse la capacità del cittadino di decifrare gli avvenimenti nella loro autenticità, e quindi l’autonomia di giudizio dell’individuo, su cui si fondano le sue scelte. Le cause sono molteplici, dalla propaganda nemica della verità, alla realpolitik eterna tentazione dell’Occidente, alla paura del futuro che fa velo alla lettura del presente, al nuovo egoismo sociale che privatizza anche l’istinto di salvezza, piegandolo allo spirito dei tempi. Tanti fattori concorrenti, per una vittima già designata: il concetto di libertà.
Dopo che l’ingovernabilità del mondo sotto la spinta congiunta delle crisi globali ha rotto l’unitarietà del concetto di democrazia, consentendo agli autocrati di separarla dai valori liberali che la realizzano e la garantiscono, la libertà è uno dei pochi ‘universali’ che ancora ci restano, e contro cui è difficile obiettare. Naturalmente abbiamo assistito spesso in varie parti del mondo a comportamenti concreti che negavano nei fatti questo valore comunque affermato in teoria: l’invasione russa dell’Ucraina è un caso di scuola esemplare, addirittura pedagogico, tanto che si potrebbe definire quella guerra come un attacco alla libertà dei cittadini e dello Stato, colpito nella popolazione, nel territorio, nelle città, nella sua autonomia, sovranità e indipendenza, nel momento in cui subisce un attentato al libero esercizio delle sue facoltà.
Ora, il teatro di guerra dove si svolge questa aggressione è circoscritto, ma quella libertà calpestata è appunto universale: cioè esce dai confini del Paese, della lingua, del governo, della storia e ci interpella direttamente perché riguarda anche noi, costringendoci a prendere atto che si tratta di un bene comune. È violata un’idea-principio, uno dei valori che ci definiscono perché fanno parte del nostro sistema di credenze, in cui diciamo di riconoscerci. Se la libertà è la possibilità di vivere e agire senza la costrizione di vincoli esterni, un’invasione armata è la negazione violenta di questa concezione, un sopruso e un arbitrio che minano tutta l’architettura della moderna sovranità, costruita nel rapporto tra lo Stato e il cittadino, nella garanzia delle Costituzioni e del diritto internazionale: un sistema di tutele che ha appunto la libertà alla sua base. Proprio questo carattere generale e fondamentale del libero esercizio della propria autonomia finisce nel mirino in Ucraina, togliendo alla guerra il carattere orientale per renderla semplicemente europea. Lontana nel territorio, prossima nel suo bersaglio. Ecco perché siamo necessariamente coinvolti, anche se ci crediamo spettatori di retrovia.
L’ideale della libertà è indivisibile nella sua estensione e non è dosabile nella quantità, dunque si ribella ad ogni utilizzo tattico secondo le convenienze del momento, non si lascia comprimere a piacere in nome degli opportunismi, emerge come un punto fisso di contraddizione di ogni compromesso. Di fronte al peso morale di tutto ciò, che senso hanno i contorsionismi italiani nell’Europarlamento sul voto per concedere a Kiev l’uso di armi occidentali in territorio russo? È evidente che nella resistenza e nel contrattacco gli ucraini difendono sul territorio le loro case e la loro sovranità, mentre sul piano degli ideali difendono il principio di libertà anche a nome nostro e nel nostro interesse, in quanto si tratta di un valore che sta alla base della civiltà democratica, dunque della stessa ragion d’essere dell’Unione Europea, delle Costituzioni repubblicane, della cultura dell’Occidente. Ne consegue un dovere civile di rispetto di quella promessa che unisce etica e politica, un’obbligazione di tutela, un impegno a non tradire noi stessi in ciò che vogliamo essere quando non costa nulla, e che ci dimentichiamo di essere appena la fedeltà ai principi ha un minimo costo.
È qui che matura la nuovissima distorsione del concetto di libertà. Noi vogliamo in realtà sentirci liberi da ogni vincolo con il resto del mondo (come se fosse possibile nell’era della globalizzazione), sciolti da qualsiasi coinvolgimento nelle vicende altrui che bussano alla nostra porta, sollevati da qualunque forma di responsabilità collettiva, esentati da obblighi che nascano dal riconoscimento di far parte di ciò che chiamiamo società, senza più idee generali che chiamino in causa l’universale rifiutato. Liberi solo in quanto liberati, restituiti esclusivamente a noi stessi, con un’autonomia di scelta egoista e rimpicciolita nella negazione della speranza e di ogni politica: qualcosa da consumare in solitudine, in attesa che qualcuno inventi un nuovo nome per definire questa libertà deformata, privatizzata e stravolta.
Nell’immagine: l’attacco russo a Leopoli in Ucraina, ha ucciso sette persone, tra cui tre bambini, 4 settembre 2024.
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