La lezione di Beslan
È di vent’anni fa la strage per mano dell’estremismo islamico ceceno in una scuola russa (con la morte di 334 ostaggi); una tragica pagina di storia che continua a interrogarci
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È di vent’anni fa la strage per mano dell’estremismo islamico ceceno in una scuola russa (con la morte di 334 ostaggi); una tragica pagina di storia che continua a interrogarci
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È di vent’anni fa la strage per mano dell’estremismo islamico ceceno in una scuola russa (con la morte di 334 ostaggi); una tragica pagina di storia che continua a interrogarci
Vent’anni fa, il 1. settembre 2000, si consumò la tragedia di Beslan. La cronaca è nota. Nel tradizionale giorno dell’inizio delle scuole in tutta la Russia, in una cittadina dell’Ossezia del Nord, un gruppo di 32 terroristi ceceni legati a Shamil Basaev irruppe in una scuola e prese in ostaggio 1.200 persone tra cui 770 bambini.L’azione di Beslan fu l’apogeo di una campagna in crescendo di attentati della guerriglia cecena che durò tutta l’estate e dimostrò il grado di disperazione, ormai senza prospettiva, dei gruppi legati a Basaev.
Nei primi due giorni della crisi, i terroristi chiesero insistentemente di poter trattare direttamente con i politici russi e non con il Fsb, i servizi segreti, rilasciando anche alcuni ostaggi per mostrare la loro disponibilità a negoziare.I ceceni permisero anche all’ex presidente dell’Inguscezia, Ruslan Aushev, di entrare nella scuola. In cambio, 26 ostaggi furono rilasciati come gesto di buona volontà. Tuttavia, le cose si erano già messe nel modo più crudele, visto che già nelle prime ore della crisi i ceceni asserragliati nella scuola avevano ucciso più di una dozzina di uomini, i cui corpi furono gettati fuori dalle finestre delle classi.Tuttavia, venerdì 3 settembre, il terzo giorno della crisi, non c’erano segni di un imminente assalto delle forze governative.
Mentre i guerriglieri permettevano a 4 operatori medici di avvicinarsi alla scuola con un paio di ambulanze, due bombe esplosero all’interno del palazzetto dello sport della scuola, dove erano riuniti gli ostaggi. Erano le 13:05 di quel maledetto giorno assolato. Le esplosioni avevano quasi distrutto il tetto del palazzetto dello sport e parte del muro. In preda al panico alcuni bambini videro l’opportunità di fuggire. I terroristi risposero aprendo il fuoco, il che spinse le forze di sicurezza a prendere d’assalto l’edificio.
Mentre vedevano i bambini fuggire e i terroristi sparare, i reparti speciali, che in quel momento non indossavano neppure il giubbotto antiproiettile, non ebbero altra scelta che prendere d’assalto la scuola. L’operazione di Beslan si trasformò rapidamente in una battaglia per le vie della cittadina e alle sparatorie iniziarono a partecipare anche cittadini comuni, il che e accrebbe la confusione. Gli scontri terminarono verso le 17 di sera anche se fino alle 23 si sentirono qua e là delle esplosioni. Il bilancio finale fu disastroso: 334 ostaggi rimasero uccisi, tra cui 186 bambini.
Andrey Soldatov, uno specialista di servizi segreti russi che vive da molti anni in esilio, sostiene che il Fsb mostrò un certo grado d’impreparazione. “Fin dall’inizio – sostiene il giornalista russo – la crisi degli ostaggi a Beslan era chiaramente di portata nazionale. Ma temendo la responsabilità di un possibile fallimento, i generali del Fsb a Mosca deliberatamente inquadrarono l’evento come una crisi locale… Il primo giorno della crisi, Putin inviò a Beslan il direttore del Fsb Nikolay Patrushev, il quale però lasciò la repubblica il più presto possibile senza mai recarsi direttamente a Beslan”.
Lo stesso Putin riconobbe una mancanza di coordinamento e ammise seppur a denti stretti che c’era stato in quei giorni drammatici un vero e proprio scontro tra l’Fsb locale e federale.
I parenti delle vittime di Beslan chiesero un’indagine indipendente e la punizione dei più alti funzionari della sicurezza. Infine nel settembre 2005, Putin invitò otto membri tra le famiglie delle vittime al Cremlino per un incontro. Un membro dei familiari chiese a Putin se i capi dei servizi di sicurezza dovessero dimettersi e Putin concordò che sarebbe stato un gesto di onestà umana dimettersi: “Se fossi stato al loro posto, l’avrei fatto”, concluse salomonicamente il presidente russo. Nonostante ciò, nessun membro dei servizi segreti fu poi punito e Patrushev ancora oggi è nel “cerchio magico” del Presidente: ricopre l’incarico di segretario del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa.
Molta acqua è passata da allora sotto i ponti della Moscova. La Seconda Guerra Cecena si concluse ufficialmente nel 2009 ma la vittoria per la Russia fu assai amara e costò la vita a decine di migliaia di ceceni e a 15.000 soldati russi. La Cecenia, dal 2006, è governata con il pugno di ferro da Razman Kadyrov che non ha risparmiato “lezioni esemplari” contro chiunque ne possa mettere in discussione il potere basato di fatto sulla legge coranica e sulla repressione più dura per chiunque osi parlare di diritti umani o di autonomia regionale.
In questi vent’anni, Putin ha inondato di quattrini questa piccola repubblica caucasica al fine di mantenere la pace sociale e evitare il risorgere del separatismo. Nel 2022 Kadyrov stesso lo ha confermato ufficialmente: le prebende che la Cecenia (con una popolazione di meno di due milioni di abitanti) ottiene ogni anno dalla Federazione assommano alla fantastica cifra di 3 miliardi di euro. Malgrado ciò la Cecenia non è diventata la “Dubai russa” come aveva promesso Kadyrov e i turisti russi si guardano bene dall’andare in vacanza in quella zona (anche perché è di fatto vietato l’uso di alcol).
Tuttavia, il radicalismo islamico è sempre presente in tutta la regione (Daghestan, Ossezia) e ha trovato altri canali per esprimersi. Durante la guerra in Siria, secondo il portale “DW”, sono stati un migliaio i ceceni che sono andati a combattere nella regione come “foreign fighters” nell’ISIS (altre migliaia di musulmani del Centroasia attraversarono la Russia in quegli anni per andare a combattere nelle fila del Califfato facendo tappa nel Caucaso). Così, mancando in Russia una politica democratica sulla questione delle nazionalità (la formazione di movimenti autonomisti e nazionalistici è perseguita penalmente), il terrorismo islamico è tornato a farsi sentire in Russia prima con l’attentato nella metropolitana di San Pietroburgo nel 2017, che provocò la morte di 14 persone, e poi, più recentemente, con la strage al teatro “Crocus City Hall”, in cui sono rimaste uccise 137 persone inermi.
Per questo tutti, e non solo i russi, devono ricordare Beslan. Quella tragica vicenda rappresenta un monito sia contro ogni cultura del radicalismo politico o religioso sia, spinto fino all’estrema logica dell’assassinio di massa di civili, contro ogni tipo di autoritarismo al di sopra e contro la volontà dei popoli. Un monito che è evidentemente non può riguardare solo Putin: interroga anche l’Occidente.
Nell’immagine: la palestra della scuola n. 1 di Beslan è oggi un luogo di memoria con le foto delle vittime dell’attacco terroristico
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