La roulette russa di Putin, lascia la sua armata nel Donbass e difende la patria con le reclute
L’analisi. Lo Zar vuole sfondare in Ucraina ma dopo le enormi perdite degli ultimi 2 anni non ha rimpiazzi: a Kursk punta a logorare gli ucraini
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L’analisi. Lo Zar vuole sfondare in Ucraina ma dopo le enormi perdite degli ultimi 2 anni non ha rimpiazzi: a Kursk punta a logorare gli ucraini
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A presidiare il caposaldo ucraino sui margini del bosco di Pokrovsk sono rimasti solo tre soldati: vengono sommersi di razzi e cannonate, tanto da doversi ritirare di corsa. I russi ormai sono a dieci chilometri da questa città chiave del Donetsk, considerata l’architrave di tutta la linea di difesa, e continuano ad avanzare, travolgendo bastioni che hanno resistito per dieci anni ma oggi sono sguarniti di uomini. Poco più a Sud, a Kurachove, una colonna di 27 tank e blindati tenta di sfondare attraversando la pianura: i parà ucraini li respingono con un tiro incrociato di cannoni e droni. È la terza carica del genere lanciata in due settimane e i generali di Mosca sembrano avere risorse inesauribili da gettare nella mischia, mentre Kiev non ha più riserve: sono tutte impegnate nella grande offensiva in terra russa.
Dal 6 agosto c’è una doppia guerra, con ruoli opposti. Nella regione di Kursk le brigate ucraine vanno avanti con una manovra inarrestabile, alimentata dall’afflusso ininterrotto di forze scelte e veicoli moderni. Sono pronte a far scattare altre trappole, chiudendo in una sacca i reparti nemici a Glushkovo e a Tetkino: i ponti alle loro spalle sono stati distrutti. Nel resto del fronte, lungo quasi novecento chilometri, sono i russi che continuano ad andare all’attacco in maniera massiccia: stanno minacciando le roccaforti del Donbass come Chasiv Yar, New York, Toresk dove si combatte casa per casa.
D’accordo con il presidente Zelensky, il generale Olekasandr Syrky ha fatto una scelta ardita, portando la guerra in Russia e mettendo Putin sotto scatto. L’operazione finora è stata condotta in maniera perfetta dal punto di vista militare. Ha ottenuto il risultato politico di spazzare via l’idea di invincibilità russa agli occhi degli alleati e ha risollevato il morale dell’intera nazione. Resta da capire quanto a lungo Kiev sarà in grado di sostenerla.
La reazione di Putin invece può apparire sorprendente. Il Cremlino considera strategica la conquista dell’intero Donbass e finora non ha spostato un solo fante o un solo tank da questo settore per contrastare l’irruzione contro Kursk. Le uniche unità trasferite dalla prima linea provengono dall’area di Kharkiv, che Mosca vede come un “cuscinetto” per impedire raid. Ai russi resta quindi la convinzione, o l’illusione, che la fiammata ucraina nel loro territorio sia destinata a spegnersi sotto il peso delle perdite e dei contrattacchi: sperano di imbrigliare i battaglioni mobili in una catena di trincee che stanno scavando con la massima fretta, soffocando poi la testa di ponte sotto il fuoco di artiglieria e aviazione. In pratica, vogliono rispondere alla guerra di movimento ucraina con una tattica di logoramento.
Probabilmente i generali non hanno alternative. In dodici giorni non sono riusciti a fare entrare in azione a Kursk una grande unità corazzata o meccanizzata. Possibile che nell’intera Russia, dalla Siberia a San Pietroburgo, non sia rimasta una sola brigata di tank per stroncare l’irruzione nel cuore della patria? La domanda comincia a circolare tra gli analisti, con il sospetto che la lentezza nella reazione dipenda dalla carneficina subita dall’esercito di Putin. Un recente studio statistico di Bbc e Medianova sostiene che siano morti 135 mila soldati, a cui va sommato un numero triplo di feriti. Il segretario alla Difesa americano Austin Llyod ha parlato di 350 mila morti e feriti; l’intelligence britannica di mezzo milione.
Nelle campagne di quest’anno ci sarebbero stati mille morti al giorno. Nonostante questo, con ricchi incentivi economici, i russi stanno arruolando tra 25 mila e 30 mila volontari al mese, rimpiazzando i vuoti nei ranghi. C’è però un problema di addestramento: questo personale non riceve la preparazione per condurre operazioni su larga scala. Inoltre tra 3725 e 10 mila ufficiali hanno perso la vita e la loro formazione richiede anni. Le forze migliori, quelle istruite ed equipaggiate per la guerra di movimento, sono state decimate nella primavera del 2022: paracadutisti, incursori, marines hanno pagato il prezzo più alto. Non solo.
A rotazione sono state mandate al fronte tutte le brigate esistenti: quelle che attualmente non sono in battaglia, cercano di riorganizzarsi con le reclute. Se teniamo presente che la prosecuzione dell’offensiva da Kharkiv al Donbass fino a Zaporizhzhia tiene impegnati 450 mila militari, quasi esclusivamente volontari, ci si rende conto che Mosca non dispone più di grandi unità pronte per sfidare le forze d’élite di Kiev che dilagano a Kursk. Rimangono soltanto i coscritti della leva obbligatoria, quei 300 mila fanti ragazzini che presidiano i confini dalla Scandinavia al Baltico fino alla Cina perché non è permesso il loro impiego in Ucraina: l’ultima risorsa di un impero che ha bruciato la sua armata.
Nell’immagine: soldati ucraini nella regione di Kursk
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