Del “cerchio di fuoco” creato negli anni da Teheran attorno all’ “entità sionista” viene dunque spento (ma per quanto?) il segmento più prezioso e ritenuto più resistente: l’Hezbollah libanese, ormai con la sua leadership decapitata, i suoi quadri intermedi colpiti dalla cyber-war, la sua comunità rabbiosamente o dolorosamente disorientata, i suoi nemici nazionali (cristiani, ma anche musulmani sunniti, come in altri paesi arabi) in festa per l’uccisione di Nasrallah. E, con Hamas in disperata resistenza nella tragica mattanza di palestinesi a Gaza, non possono certo bastare gli altri anelli del “Fronte della resistenza” sciita o pro-sciita, dall’Irak alla Siria allo Yemen, a surrogare l’attuale disfatta del “Partito di Dio” libanese.
Iran, perciò, più che sulla difensiva. Teocrazia di Teheran ancora più esposta a un colpo di maglio decisivo dell’esercito israeliano Tsahal, dopo il sanguinoso “capolavoro” militare israeliano degli scorsi giorni, riscatto clamoroso del clamoroso tragico fallimento del sette ottobre dello scorso anno. Così, Teheran ammonisce, ma non si muove. Sa che una mossa sbagliata, un passo falso, una presunzione di troppo nel tentativo di replicare all’ “entità sionista” rischiano di esporla a ciò che a Netanyahu (ormai in testa nei sondaggi, che lo riabilitano internamente) sta più a cuore: un attacco “preventivo” contro il regime degli ayatollah, che avrebbe come principale obiettivo la distruzione dei siti in cui l’Iran cerca di creare un suo dispositivo nucleare.
La debolezza militare di Teheran (oltre a quella di un’intelligence inefficiente e infiltrata da spie pro-israeliane), certificata dalle sue attuali esitazioni e dall’inoffensivo benché massiccio attacco missilistico sul territorio israeliano dello scorso aprile (grazie al sistema americano “Dome” e all’aiutino di un paio di paesi arabi, Giordania ed Egitto), oggi, con la disarticolazione della ‘mezza luna sciita”, è del tutto evidente. Addirittura plateale. La capitale della “rivoluzione islamica” non può assolutamente competere, da sola, con la strapotenza del suo principale nemico. E non può certo essere l’alleanza con la Russia di Putin e la Cina di XI a sovvertire questa realtà.
Bisogna poi guardare anche alla situazione e all’organizzazione interna per spiegarlo e capirlo. Sul piano militare, l’esercito regolare iraniano è stato velocemente relegato nelle retrovie dopo l’arrivo al potere di Khomeini, perdendo dunque il ruolo preminente avuto negli anni dello scià. Con gli ayatollah al potere, prevalente è invece l’organizzazione para-militare dei “Pasdaran”: efficaci, come hanno dimostrato gli eventi dell’ultimo decennio, più nel sostegno ai diversi alleati della regione (soprattutto quando inviò a duro prezzo migliaia di “volontari” nella difesa della dittatura siriana) che non nello sviluppo di una moderna difesa nazionale. Altrimenti non poteva essere.
Sospettosi e gelosi della propria presa sul paese, i “religiosi” non si sarebbero fidati della lealtà di un esercito di tipo classico, con le sue alte gerarchie tentate da una certa autonomia. Anzi, di più: eventualmente in grado di organizzare un colpo di stato, approfittando anche degli umori della popolazione. Aspetto cruciale: non che al regime manchi una parte di sostegno popolare, soprattutto quello rurale, beneficiario di aiuti statali indispensabili per nutrirsi e utili politicamente al clero; ma un’altra fetta consistente del paese (delle grandi città, del mondo giovanile, delle minoranze etniche) è decisamente, e anche apertamente – nonostante la feroce repressione – contraria alla dittatura religiosa, come chiaramente emerso dall’ampio e coraggioso movimento di rivolta seguito all’assassinio in carcere della giovane Mahsa Amini, per “aver portato in modo inappropriato il velo”. Certo, un assalto diretto israeliano potrebbe anche compattare la società iraniana, ma non è detto che nell’eventuale dopo-guerra il regime non ne paghi il conto.
Infine, la grande sostanziale cautela operativa dettata in queste ore da Kamenei ( la potente guida spirituale, rifugiatosi in una località super-segreta, esattamente come un “Nasrallah qualsiasi”), è dettata dal contesto regionale. Non possono non tener conto, a Teheran, del silenzio dei regimi arabi sunniti sull’eliminazione del capo Hezbollah. Evidente tacita soddisfazione di chi ritiene, quantomeno ai vertici dei governi arabi, che lo sciismo iraniano sia un nemico più insidioso di Israele. Al quale si affida volentieri “il lavoro sporco”, per risolvere una volta per tutte a favore della componente sunnita (a guida saudita) lo scontro con la minoranza sciita nell’area medio-orientale. Ma si sa. Le sabbie mobili del Medio Oriente sono sempre fonte di grande incertezza. E di relative incognite. Soprattutto una: fin dove può portare l’euforia guerriera di Netanyahu?
Nell’immagine: La Guida Suprema iraniana, l’ayatollah Khamenei, si è trasferito in un luogo sicuro, in condizioni di maggiore sicurezza.