Di Stefano Palombarini, il manifesto
Alla fine è arrivato il nome: Michel Barnier, conservatore vecchio stampo, dell’ala destra della destra gollista, è il nuovo primo ministr. Barnier è primo ministro perché l’estrema destra ha dato il suo beneplacito; gli altri nomi fatti da Macron, infatti, sono stati bocciati uno dopo l’altro dalla leader del Rassemblement National.
Il governo Barnier è quindi, direttamente, un governo Macron-Le Pen. Tuttavia, i due leader rappresentano due blocchi sociali distinti. Quella a cui assistiamo ora non è una fusione dei due blocchi, ma un’alleanza di circostanza che nasce dal fatto che, all’interno del paradigma neoliberale, si sono ridisegnati i rapporti di forza.
Il blocco sociale che ha sostenuto Macron in questi anni, che io e il mio collega Bruno Amable abbiamo chiamato «blocco borghese» (L’illusion du bloc bourgeois, 2017), e il blocco di estrema destra che ha sostenuto Le Pen, hanno in comune il fatto di essersi costituiti all’interno dell’universo neoliberale e dei suoi parametri. Cioè, dentro all’orizzonte ideologico per il quale la crescita viene dall’innovazione privata, per il quale la negoziazione collettiva è qualcosa di negativo, per il quale bisogna tutelare dei margini di profitto sufficienti per le imprese, pensate non come terreno di conflitto ma in quanto agenti individuali.
IL BLOCCO BORGHESE che nel 2017 ha portato Macron al potere legava a queste riforme neoliberali delle promesse di progresso, delle chimere di ascensione sociale meritocratica, in modo non dissimile da ciò che fecero a loro tempo Tony Blair o il primissimo Matteo Renzi. Questo blocco borghese funziona, da un punto di vista politico-elettorale, se queste promesse di ascensione sociale vengono credute da una parte delle classi medie, oltre che dalle classi privilegiate che ne costituiscono lo zoccolo duro.
L’ESTREMA DESTRA francese si costruisce in modo diverso, ma pur sempre all’interno di questo paradigma neoliberale generale. Vi è l’idea, in questo blocco, che le riforme neoliberali siano inevitabili, ma vi è anche una percezione più acuta dei rischi di declassamento ch’esse comportano.
Un rischio al quale sono particolarmente sensibili le classi medie-inferiori, quelle che si trovano un gradino sopra alla povertà; quelle che chiedono una forma di protezione compatibile con l’idea che, in ogni caso, non c’è alternativa all’orizzonte neoliberale. Una «protezione» che, nel blocco di estrema destra, si costruisce contro gli immigrati, contro l’insicurezza, contro le minacce alla «identità» ma anche contro chi sta sotto: per questo il Rn rimette in causa quelle misure di welfare che ancora esistono in Francia.
Ora, quello che è successo negli ultimi anni in Francia è che le promesse del blocco borghese non si sono – che sorpresa! – realizzate. La flessibilizzazione del lavoro, i tagli alle tasse alle grandi aziende, la soppressione di ‘lacci e lacciuoli’ non hanno visto i meritanti ricompensati né l’aumento della mobilità sociale. Le ricette macroniste non hanno funzionato, se non in infima parte. Al contrario, una gran parte delle classi medie sente ormai questo insieme di riforme come una minaccia, si stacca dal blocco borghese e va verso il blocco dell’estrema destra. Cambia qualcosa, ma resta nel medesimo universo neoliberale, nel quadro della stessa ideologia.
COSÌ, RISPETTO alle elezioni del 2022 nelle quali i tre blocchi – i due sopra descritti e quello delle sinistre – erano sostanzialmente equivalenti, ora il blocco borghese si è grandemente indebolito, mentre quello di estrema destra si è rinforzato. Il governo Barnier, quindi, non rappresenta tanto una convergenza deliberata, quanto un riequilibrio interno all’universo neoliberista, dentro al quale la bilancia si è ora chiaramente spostata tutta a destra.
Le Pen e Macron hanno un avversario comune, che è l’unico a essere fuori dall’universo neoliberista: il blocco di sinistra che si è formato in Francia attorno all’idea di una rottura rispetto alle riforme e alla visione del mondo neoliberale. È dunque naturale che quest’ultimo sia un avversario tanto per la compagine borghese che per l’estrema destra.
DI FRONTE a quest’avversario comune, e preso atto dello sbilanciamento ormai sfavorevole dei rapporti di forza, ancor prima di Macron, una parte delle classi dirigenti francesi ha puntato le proprie fiches su Le Pen. Se il blocco borghese non è più in grado di contrastare la sinistra, sarà quello di estrema destra a farlo: certo, magari non è quello che tali classi preferiscono in assoluto, ma è l’unico che può, oggi, svolgere questa funzione per loro essenziale.
Macron, in fondo, non ha fatto altro che prendere atto del riassetto di questi rapporti di forza: nasce così il governo fatto contro la sinistra. D’altronde, questa è sempre stata il vero avversario dell’attuale inquilino dell’Eliseo: è la sinistra che vorrebbe abrogare la riforma delle pensioni, che in termini di fiscalità farebbe l’opposto di quanto fatto da lui – non certo Le Pen, che ha passato mesi interi a promettere che avrebbe proseguito le politiche di Macron.
Per contrastare un governo di sinistra, la sponda era Le Pen e Macron l’ha utilizzata pienamente. Questo non significa che il blocco borghese e il blocco di estrema destra siano ormai fusi assieme; semplicemente, illustra lo stato di debolezza del blocco sociale che ha portato Macron al potere, da un lato, e lo speculare potenziamento di quello che sostiene Marine Le Pen dall’altro. Oggi, in Francia, è lei, a capo di un blocco sempre più forte, che detta la linea al nuovo governo.
Nell’immagine: Parigi, un momento del corteo di protesta contro il governo Barnier