Le guerre e noi
Perché e come ci stiamo “abituando” ai conflitti sanguinosi che ci circondano
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Perché e come ci stiamo “abituando” ai conflitti sanguinosi che ci circondano
• – Redazione
Gerusalemme ha risanato la sua immagine di temibile potenza regionale, mentre Teheran non ha opzioni. E ora gli obiettivi di Netanyahu si sono allargati: lo sradicamento di Hamas non basta più
• – Redazione
L’emergenza è sempre più grave. La croce rossa lancia un appello perché chi è in condizioni di farlo vada a donare il sangue. Centinaia di persone sono ancora accampate per strada
• – Redazione
Perché nella sostanza si tratta di un ossimoro, una contraddizione in termini. La democrazia liberale non ha nulla a che fare con le esternazioni e i principi del tycoon americano
• – Andrea Ghiringhelli
Per un’assicurazione malattia sociale sul modello AVS, con contributi in base al salario o al reddito e con la partecipazione dei datori di lavoro - Di Giuseppe Sergi
• – Redazione
Un messaggio tv di Netanyahu al popolo Iraniano : sarete liberi dal regime teocratico prima di quanto si pensi ; un attacco preventivo israeliano è sempre nei piani del premier guerriero
• – Aldo Sofia
Di Stefano Stefanini, La Stampa Il dado è tratto. L’ingresso delle truppe di terra israeliane nel Libano meridionale, che da ieri sera sembra definitivamente avviato, vuol dire...
• – Redazione
Rita Baroud, studentessa della Striscia racconta la vita questi giorni. “Israele ha consegnato 88 corpi deturpati senza nome al Ministero della Salute. Ottantotto persone, 88 sogni, 88 famiglie in attesa di qualsiasi segno, mentre i corpi restano senza nome, senza volto. Tra di loro potrebbero esserci medici, ingegneri, insegnanti e commercianti”
• – Redazione
Crescono le forze reazionarie in tutta Europa; la risposta democratica spetta anche alla Scuola, come segnala il pedagogista e ricercatore Philippe Meirieu
• – Adolfo Tomasini
Sara Rossi Guidicelli, giornalista e scrittrice bleniese, ricostruisce un’emblematica vicenda che caratterizzò la storia industriale ticinese di fine Novecento
• – Michele Ferrario
Perché e come ci stiamo “abituando” ai conflitti sanguinosi che ci circondano
Con quanta disinvoltura la maggior parte di noi vive questi giorni di minaccia. Ci siamo “abituati” a conflitti sanguinosi. Che continuano a gonfiarsi e a diffondersi. Quali sono le cause di questa escalation infernale? I decisori hanno la loro agenda. Ma l’opinione pubblica, anche lontana dalle prime linee, perché e come entra nella logica della guerra? Gli appelli alla pace sono così rari…
Sofisticati missili a lungo raggio forniti all’Ucraina e in parte guidati da Stati Uniti e Gran Bretagna potrebbero colpire in profondità la Russia. Il Cremlino ringhia e rinforza massicciamente le sue truppe a caro prezzo. Minaccia di reagire attaccando i Paesi occidentali, non necessariamente con armi nucleari. Ma sottomarini e aerei sono pronti e pattugliano ovunque. Possiamo davvero prendere alla leggera un tale aumento di tensione?
In Israele, il governo, che è stato rimpastato e indurito, sta sollevando lo spettro di un’invasione di terra del Libano. È ormai sicuro di mantenere il controllo di Gaza e della Cisgiordania e vuole estendere la guerra, come ha già iniziato a fare, soprattutto verso la Siria. Gli iraniani e i loro “proxy” libanesi e yemeniti stanno reagendo, ma per il momento con una certa moderazione. L’intera regione potrebbe andare in fiamme da un giorno all’altro. Anche senza il consenso formale degli Stati Uniti in campagna elettorale. Dopo gli attacchi tecnologici senza precedenti in Libano, con migliaia di feriti, il peggio deve ancora venire. “Siamo sull’orlo di un vulcano”, dice un amico a Beirut.
Non si tratta di dire chi ha ragione o torto in queste aree di confronto. A ciascuno il suo. Ma proviamo, su un altro piano, a percepire le sorgenti degli umori bellicosi nel nostro Paese. Da sempre, l’homo non sapiens ha mostrato un gusto preciso per la lotta, sia essa individuale o collettiva, su piccola scala o di massa. Il XX secolo lo ha dimostrato a sufficienza. Nel giugno 1914, gli europei non credevano che la guerra fosse imminente. Eppure scoppiò in agosto, causando 9 milioni di vittime. Le esaltate narrazioni nazionali hanno incendiato le menti e poi le vite delle persone. Più recentemente, la prima potenza mondiale ha convinto l’opinione pubblica occidentale – anche se non tutta – della necessità di portare la democrazia in Afghanistan, Iraq, Libia e Siria con mezzi militari. Al costo di centinaia di migliaia di morti. Con i risultati che conosciamo. Il tutto sostenendo di combattere il terrorismo, mentre in realtà stavano contribuendo ad alimentarlo.
Come è stato possibile che tanti di noi, così ingozzati di informazioni, manipolate o meno, siano rimasti invischiati in queste narrazioni offensive? Come abbiamo potuto credere senza battere ciglio alla retorica di Washington e dei suoi alleati, di Mosca, Tel Aviv e Teheran?
Anche se molto controverso, lo storico svizzero Daniele Ganser merita attenzione. Autore di diversi libri sulla guerra e sulla pace, interviene spesso, più sui social network che sui temibili media. Egli vede tre ragioni per gli impulsi bellicosi dell’opinione pubblica. Emotività, moralismo e manicheismo.
Reazione legittima: la gente si indigna per questo e per quello, si agita e la rabbia condivisa sale come una tempesta. E ogni approccio razionale viene messo da parte. Ci ancoriamo al campo del Bene contro quello del Male.
Questo atteggiamento non è forse un modo per “mettere le mani” sulla sua personalità? Un accesso di “virilità”? Molte donne non sono da meno. A giudicare dalla ministra tedesca Baerbock, che è in guerra con il suo cancelliere, o dal quarto di donne che circondano Viola Amherd e la spingono verso un’adesione di fatto alla NATO. L’opinione pubblica? La vita di tutti i giorni non fa ridere, la scena politica locale è spesso deludente e rompiscatole, la vita privata non è necessariamente entusiasmante, quindi perché non un forte pugno sul tavolo di fronte allo spettacolo internazionale?
Di fronte a queste febbrili certezze, il dubbio diventa sospetto. E persino interrogativo. Segni di debolezza o di complicità con qualche cattivo. Interrogarsi sull’origine dei conflitti, sulle responsabilità condivise, scovare gli interessi nascosti? Assolutamente no! Andiamo avanti… Alle armi, cittadini! Un grido che è tanto più facile se lo si grida senza rischiare la pelle. Non è detto che in Ucraina e in Russia si senta forte e chiaro tra gli uomini mandati al fronte e le loro famiglie in ansia.
Potreste obiettare: ma che ne è delle nostre convinzioni? Permettetemi, senza essere troppo pedante, di venire alla distinzione tra morale ed etica. Alla luce dei filosofi stoici. Dall’antico greco Zenone a Spinoza e al romano Marco Aurelio. La morale è un insieme di codici definiti dalla società, dal potere o dalla religione. Si tratta di adottarli senza porsi troppe domande. L’etica, invece, consiste nell’applicare i propri principi fondamentali al comportamento personale e sociale. Senza fare riferimento a un sistema che abbia tutte le risposte. Giorno per giorno, caso per caso, praticando il dubbio e la curiosità.
Così, mentre aspettiamo che la furia bellica si diffonda o meno, ci calmiamo. Leggiamo, ci informiamo, a mente fredda. Preferibilmente lontano dal clamore della propaganda di rete. E guardiamo con occhio critico i voli pindarici dei nostri leader – anche in Svizzera! – che dal palco martellano le loro formule semplicistiche, nascondendo accuratamente gli interessi che possono avere in questa o quella scelta. Netanyahu e Zelensky non cercano forse innanzitutto di rimanere al potere, minacciati in caso di compromesso? Osiamo dire, ancora una volta, che la corsa a capofitto al conflitto, la corsa agli armamenti, il perseguimento di guerre in nome di principi di geometria variabile, sta preparando il peggior futuro possibile.
Nell’immagine: Manifesto di propaganda per il reclutamento di soldati americani, 1917
Sperduti, in carcere e infelici. I collaboratori del dissidente sono divisi tra liti interne e odi generazionali. Svanisce il sogno dell’antiputinismo.
In un teatro politico dell’assurdo i partiti si battono e dibattono a colpi di slogan in un’eterna e sterile campagna elettorale