L’età della paura
Lo sgomento spinge verso destra, induce alla ricerca di un protettore, qualcuno che ponga riparo, alzi un argine. Il risultato è che la forma democratica degli Stati appare compromessa
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Lo sgomento spinge verso destra, induce alla ricerca di un protettore, qualcuno che ponga riparo, alzi un argine. Il risultato è che la forma democratica degli Stati appare compromessa
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Lo sgomento spinge verso destra, induce alla ricerca di un protettore, qualcuno che ponga riparo, alzi un argine. Il risultato è che la forma democratica degli Stati appare compromessa
Stiamo vivendo un’epoca rivoluzionaria senza precedenti nella storia umana. Numerosi profondi, potenti cambiamenti nel nostro modo di vivere si sono sommati insieme, in parte casualmente, in parte dettati da precisi interessi, generando stupore, meraviglia, paura. Il passaggio dalla civiltà della carta alla civiltà digitale, che investe tra l’altro la stampa cioè un medium che viene per l’appunto stampato. Cambiamenti climatici i cui effetti sono sotto gli occhi di chiunque voglia vederli. Usciamo da un’estate con punte di calore elevatissime, maggiori di quelle dell’estate precedente e così via retrocedendo nel tempo. Poderose migrazioni di popoli non più motivate, come si ripeteva fino a pochi anni fa, soltanto dalla fuga da regimi tirannici, ma anche dai disagi in zone del pianeta diventate, o sul punto di diventare, inabitabili per calore e siccità.
Mutamenti drammatici negli equilibri mondiali che avevano retto bene o male dalla fine dell’ultima guerra mondiale, 1945, fino ai nostri giorni. Nuovi attori sono entrati in gioco (in primis la Cina) cambiando struttura, alleanze, pesi degli interessi globali; un’ampia pubblicistica ne ha delineato cause e possibili conseguenze. Tutto questo non poteva non avere effetti sulla politica, al contrario ne sta producendo di così evidenti che solo le inquietudini di un affannoso presente impediscono talvolta di vederli con la chiarezza che meritano.
Di fronte a cambiamenti di tale portata le persone che non hanno particolare vocazione o interesse allo studio di ciò che accade reagiscono con imprecisato sgomento, timore per il futuro proprio e dei figli. Lo sgomento, la paura, spingono (per semplificare) verso destra, inducono alla ricerca di un protettore, qualcuno che ponga riparo, alzi un argine, rimetta le cose al loro posto. È sempre stato così, tanto più lo è oggi di fronte ad una rivoluzione che sta scuotendo l’intero pianeta.
Il risultato è che la forma democratica degli Stati appare compromessa. I Parlamenti — massimo organo di partecipazione responsabile — appaiono in parte svuotati. Entità e poteri sovranazionali, società private con immensi capitali, si sostituiscono spesso alla loro azione con la velocità e la forza del denaro.
I riti della democrazia sono lenti, spesso macchinosi, conciliano interessi diversi alla ricerca del miglior equilibrio possibile, richiedono tempo, il coraggio del compromesso; la forza e la velocità del denaro vanno per le spicce, a non pochi questo piace, ne ricavano un’idea di efficienza e di stabilità mentre ignorano l’aculeo velenoso che nasconde. Questo aculeo applicato alla vecchia formula democratica ha un nome sfacciatamente coniato dal semi dittatore ungherese Viktor Orbán: democrazia illiberale.
Non si è denunciata con sufficiente vigore la proclamazione di un tale ossimoro all’interno di una barcollante Unione Europea. Democrazia illiberale non ha senso. Una democrazia o è liberale o non è. Al contrario, quella formula è stata presa a modello anche fuori dell’Ungheria, di fatto perfino negli Stati Uniti, la più grande democrazia occidentale, dove al tentativo di occupare con la violenza il Parlamento non si è reagito con la profondità, lo sdegno, che una simile ingiuria meritava.
Come spiegare altrimenti la rinascita vigorosa, impensabile fino a poco tempo fa, di movimenti e partiti europei di dichiarata impronta neofascista e neonazista? Solo la paura di un presente così carico di incognite può spiegare l’affacciarsi sulla scena pubblica degli eredi, dei nostalgici, di epoche oltraggiose che parevano sconfitte per sempre da una visione serena, vasta, aperta al futuro e alla pace. Mi hanno colpito, nel bell’intervento di Ezio Mauro [ripreso anche da Naufraghi/e, ndr], queste parole: “La paura del futuro fa velo alla lettura del presente, al nuovo egoismo sociale che privatizza anche l’istinto di salvezza”.
La conseguenza terribile di questa paura, di cui non tutti si rendono conto, è che discutere la forma democratica, vuol dire in definitiva mettere in gioco l’idea stessa di libertà.
La libertà decade quando l’abitudine a viverla rende evanescente lo spettro della sua mancanza. In quel momento molti, senza nemmeno rendersene bene conto, sono pronti a barattare la libertà con la sicurezza, la rassicurante lentezza della democrazia con la sbrigativa velocità dei regimi autoritari.
Nel terribile secolo XX che ci siamo lasciati alle spalle non ci sono soltanto gli orrori di due guerre civili europee, di tre regimi tirannici, della Shoah, c’è anche una seconda parte nella quale nella vecchia Europa si sono costruite società nelle quali i due ideali di libertà e giustizia (Liberté Égalité, secondo la dizione del 1789) hanno raggiunto un equilibrio per molti aspetti ammirevole.
Le ultime generazioni non hanno idea della fatica e del sangue che sono stati necessari per un simile miracolo. Anche per questo quel miracolo appare oggi in parte svuotato, il cammino dell’Europa messo a repentaglio. Un regime tirannico o anche solo un regime illiberale vive del pugno di ferro di chi lo regge, una democrazia vive solo se è sorretta dalla convinta adesione dei suoi cittadini. Ottant’anni di pace (entro i confini Ue) hanno attutito fin quasi a spegnerla questa consapevolezza. Le rivoluzioni cui accennavo all’inizio hanno completato l’opera.
A voler concludere questo tentativo di analisi con qualche parola sull’Italia, direi che stiamo assistendo alla vicenda di un capo del governo la cui formazione e quel tanto di cultura politica che possiede affondano in un buio passato mentre, per paradosso, si trova proiettata in un possibile avvenire illiberale sorretta dall’uomo più ricco del mondo (Elon Musk) che non concede bacetti come il presidente Biden ma assai più concrete garanzie d’aiuto.
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