Ne parlano tutti. Ne parlano ormai apertamente gli ucraini, con il comandante delle forze armate Oleksandr Syrsky che fa rapporto quotidiano a Volodymyr Zelensky. Ne parlano i giornalisti europei, che entrano nelle città russe «liberate» insieme ai soldati di Kyiv. Ne parlano nelle chat e nelle cucine i russi, come segnalano perfino i sondaggi dei centri demoscopici ufficiali come «Obschestvennoe Mnenie», che registra una impennata dello «scontento o rabbia verso il potere», dal 18% al 25% in una settimana. Ne parla Aleksey Klemeshev, sindaco di Lgov, cittadina russa a 60 chilometri dal confine con l’Ucraina, che invita i suoi cittadini a fuggire e a «non tornare fino a che la situazione non si sarà stabiluizzata». Ne parlano ormai perfino nei talk show della televisione russa, dove ieri sera l’inviato del quotidiano «Kommersant» Maksim Yusin ha parlato di «territori perduti», invitando gli spettatori a «prepararsi al peggio» e proponendo al governo di evacuare gli abitanti di «tutta la zona frontaliera», il famigerato «prigranichye», un termine coniato per indicare quell’area ancora tutta da quantificare del Sud Ovest russo a rischio di passare agli ucraini.
L’unico che non ne parla è Vladimir Putin, che dopo una riunione in teleconferenza con i suoi sottoposti sulla «situazione frontaliera» è sparito dalla scena. L’abitudine del leader russo di assentarsi in momenti di difficoltà è ben nota fin dai tempi dell’affondamento del sottomarino «Kursk», nel 2000, un anniversario che cade proprio in questi giorni. Putin non ha mai pronunciato in pubblico il nome del suo feroce critico Alexey Navalny, ed era sparito un anno fa durante l’ammutinamento dei mercenari di Evgeny Prigozhin. Nel 2022 aveva perfino cancellato il suo discorso annuale al parlamento. Dopo un quarto di secolo, i cremlinologi hanno imparato: Putin esterna, volentieri e frequentemente, quando sa (o pensa di sapere) cosa fare e crede di poter vincere.
Una tattica che, per un uomo che ha fatto del controllo totale dei media uno degli strumenti del suo governo, può rivelarsi anche ragionevole: tanto non ci sarà nessuno che lo criticherà per il suo silenzio, in compenso non rischia frasi avventate o promesse che dovrebbe poi rimangiarsi (al massimo lo fa fare ai suoi sottoposti). Il problema, ora che la Russia sta subendo la prima invasione straniera in 55 anni (dallo sconfinamento cinese sull’isola Daman), è che non è solo Putin a tacere. Insieme a lui sono insolitamente silenti i suoi più agguerriti collaboratori: Dmitry Medvedev che amava minacciare l’atomica sull’Europa, la capa della propaganda Margarita Simonyan, il ministro degli Esteri Sergey Lavrov. La dichiarazione di Nikolay Patrushev su una «operazione pianificata con la partecipazione della Nato e dei servizi occidentali» sembra più un tentativo di un falco declassato di tornare alla ribalta. Come nelle ore del golpe di Prigozhin, i più accesi sostenitori del regime – da quelli al vertice agli attivisti di provincia che iscrivono i figli nei gruppi militaristi – preferiscono rintanarsi. Ma se nel giugno 2023 lo facevano nel timore della vittoria della Wagner, stavolta sembrano seguire la regola d’oro degli autoritarismi: non contraddire il capo. E siccome non si sa cosa vorrà dire il capo, meglio tacere.
I più prudenti, come il regista Karen Shakhnazarov, si sono portati avanti dichiarando in tv che «dobbiamo riconoscere di poter perdere la guerra», avvertendo che «non si tratta di disfattismo o panico». I più inflessibili, come il deputato reazionario Vitaly Milonov, propongono di salvare dalla «zona frontaliera» soltanto donne, vecchi e bambini, lasciando i maschi a «difendere la loro terra». Posizioni opposte espresse da personaggi secondari del teatro putiniano, che possono venire smentiti senza danni. Ma c’è un altro segno che Putin sta fuggendo da una realtà che non gli piace: nonostante la marcia dell’Ucraina nella «zona frontaliera» prosegua, per il momento non si osserva uno spostamento di forze di Mosca dal Donbas verso Kursk. Tutte le «linee rosse» minacciate dal Cremlino in caso di «escalation» sono state bruciate, ma l’impressione è che il comando continui a considerare come priorità occupare territori ucraini invece che difendere i propri. Resta da capire se si tratta di un rischio strategico consapevole, o se Putin semplicemente sta sottovalutando il pericolo. Nel secondo caso, il vecchio schema di rompere il silenzio per far scattare il solito adagio russo dello «zar buono ingannato dai boiardi» tra qualche giorno potrebbe non bastare più.
Nell’immagine: Putin silente ( da documento fotografico reale leggermente ritoccato in Photoshop)