L’uomo comune di Kamala contro Trump
Di Ezio Mauro, La Repubblica Nei momenti cruciali della battaglia politica, un leader non ha certo il potere miracolistico di trasformare una tempesta in bonaccia perché il vento...
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Di Ezio Mauro, La Repubblica Nei momenti cruciali della battaglia politica, un leader non ha certo il potere miracolistico di trasformare una tempesta in bonaccia perché il vento...
• – Redazione
Il miliardario sarebbe stato l’unico a dire di no a Putin e a essere comunque protetto dal Cremlino
• – Redazione
La libertà d’espressione è un diritto sancito dalla Costituzione, anche per chi ha scontato la propria pena. Lo dovrebbe sapere anche il consigliere agli Stati Marco Chiesa - Di Immacolata Iglio Rezzonico
• – Redazione
Un gustosissimo saggio si sofferma sui piccoli cimiteri e su quanto riservano al viandante che vi accede: microcosmi in cui sedimentano storia, storie, riti e comportamenti
• – Michele Ferrario
Nel villaggio di Jit ci sono ancora le auto bruciate nell’assalto dei coloni e i segni dei proiettili che hanno ucciso Rashid, uscito a difendere casa sua. Ormai è la norma, tanto che gli stessi servizi israeliani parlano di “terrore”
• – Redazione
Il recente inasprimento della flat tax italiana per i “paperoni” stranieri” è ben poca cosa in confronto all’iniziativa pendente in Svizzera sulla tassazione delle eredità milionarie.
• – Redazione
La Confederazione, assieme ai paladini del meno Stato, attacca il sistema pensionistico: non finanziare la tredicesima AVS, diminuire i contributi del Governo, favorire gli assicuratori privati e maltrattare le donne, regalare milioni al 10% più ricco del paese
• – Fabio Dozio
La Svizzera trae vantaggio dalle attività illegali delle sue aziende all’estero. Se una società viene giudicata colpevole dalla Procura federale la totalità della multa e dei risarcimenti finisce infatti nelle casse di Elvezia. A discapito dei Paesi poveri, doppiamente penalizzati dalla corruzione
• – Federico Franchini
I quattro giorni di Kermesse i sondaggi in crescita hanno alimentato l’entusiasmo per i Dem. Il Paese resta diviso e a decidere potrebbero essere poche decine di migliaia di voti negli swing states
• – Redazione
E il tycoon incassa anche l’appoggio di Robert Kennedy Junior, il candidato No vax che si è ritirato dalla corsa
• – Redazione
Nei momenti cruciali della battaglia politica, un leader non ha certo il potere miracolistico di trasformare una tempesta in bonaccia perché il vento e il mare gli obbediscono, come accade nel Vangelo: tuttavia può cambiare l’atmosfera del Paese, deviando non solo il flusso d’opinione dei cittadini, ma suscitando il loro sentimento di identificazione, di partecipazione e di mobilitazione, quella spinta a riconoscersi in una proposta politica e soprattutto a sentirsi riconosciuti e rappresentati, quindi a fare la loro parte il giorno del voto invece di disertare le urne. È precisamente questo che è accaduto nell’ultimo mese, e per due volte. Due ondate emotive si sono susseguite e contrapposte negli Stati Uniti rimodellando la corsa per la Casa Bianca, ormai all’ultimo miglio: ma ancora una volta ciò che avviene in America parla a tutti con l’evidenza didascalica di un caso di scuola, in cui sembra di scorgere nitidamente destra e sinistra mentre agiscono, mostrando la loro forza in natura, come raramente accade.
Il primo momento è naturalmente il comizio di Donald Trump alla fiera agricola di Butler, dov’è andato in scena l’incubo perenne della storia americana, l’attentato contro il leader. Prima il colpo di fucile che sfiora per un centimetro il delitto politico, inquadrato nel mirino di un progetto di morte. Quindi il sangue in diretta tivù, rinnovando la tragedia politica primordiale che insegue l’America come una maledizione eterna. E intanto, a sovrastare tutto, quell’immagine di Trump ferito che ha la forza di alzare il pugno davanti alla bandiera mentre trasforma immediatamente l’attentato in un dramma sacro, convocando Dio “che ha impedito l’impensabile” e i suoi supporter che hanno assistito al miracolo a seguirlo insieme nella missione presidenziale: “Non mi arrendo e non mi arrenderò mai”. Qui è avvenuta una vera e propria trasfigurazione, con il leader politico che versa il suo sangue mentre è in lotta per la guida del Paese, esce da una prova mortale benedetto dal cielo nel corpo e nello spirito pronti alla battaglia, consapevole di essere ormai entrato nell’unica dimensione che ancora mancava al populismo: quella dell’eroismo, in cui il campione è vittima invincibile, bersaglio fisso del Male perché strumento designato del Bene.
Era evidente che Joe Biden non poteva raggiungere l’avversario in questa dimensione pagana. Proprio gli elementi di forza del presidente in carica, l’esperienza, la competenza, la conoscenza, il senso del limite e la reponsabilità impallidivano da garanzie democratiche a virtù burocratiche, davanti al diapason incandescente della prova suprema, dove tutto è titanico, ogni esperienza è inedita, qualunque partita è dilatata a battaglia, qualsiasi suggestione diventa possibile. Il populismo della destra radicale radunava attorno a Trump tutti i suoi elementi caratteristici: i nemici, l’odio, la divisione verticale del Paese, la minaccia del Male, la tensione perenne, la vittoria come missione salvifica, oltre la politica e — come si è già visto — oltre la Costituzione, per entrare in una metafisica reazionaria d’occasione che sostituisce il concetto politico di cambiamento con l’incitamento contro-politico alla ribellione, al servizio del sovranismo.
Per contrastare questa energia, occorreva uno choc emotivo, con tutti i rischi che questo comporta. Tuttavia il rischio di un ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump era più grande non solo per il partito democratico ma per l’intero sistema, potremmo dire per la tenuta delle istituzioni e della democrazia americana. E infatti è il sistema che si è mosso, e con lui l’establishment, insieme con una domanda sociale di protezione e di garanzia di fronte ai pericoli neo-autoritari: come se una parte dei cittadini chiedesse alla politica di mettere in campo uno strumento in grado di battere il trumpismo e impedire che si ripeta l’incredibile, con l’assalto eversivo al Campidoglio ispirato dalla Casa Bianca. A questo punto il clima è cambiato radicalmente, per l’azione congiunta di tre elementi: il dramma di Biden, spinto dal suo stesso mondo a farsi da parte e cedere il passo, tentato di resistere e convinto infine a cedere alla logica delle cose, prim’attore controvoglia in una replica democratica della decapitazione del sovrano; l’irruzione sulla scena di Kamala Harris, come deus ex machina che unisce l’effetto sorpresa e l’esperienza di vicepresidente, compattando tutto il partito e consacrandosi leader naturale e riconosciuta, saltando il meccanismo delle primarie; la percezione dell’eccezionalità di una svolta dettata dal pericolo dell’estremismo trumpiano, che impone al sistema di fare un salto di qualità per difendere istituzioni, regole, diritti e libertà.
Per una congiuntura della storia, Kamala si propone oggi come il soggetto che lancia l’allarme e sa come affrontarlo, la spia del problema americano e la sua soluzione. Per questo ha cambiato l’atmosfera del Paese, sintonizzando tutto il suo mondo su questa nuova tonalità, a partire dalla sua stessa presenza politica e addirittura dalla sua identità. Se vincerà, com’è noto, sarà la prima donna presidente degli Stati Uniti, un risultato storico: e tuttavia non è su questa soglia di genere (per quanto rilevante) che Harris intende giocare la sua partita, ma sulla soglia della democrazia da difendere, più ampia, decisiva, onnicomprensiva e addirittura drammatica. In questo senso più che all’invito di Hillary Clinton a completare la sua avventura per sfondare il soffitto di cristallo che ha tenuto finora le donne fuori dallo studio ovale, Kamala sembra rispondere all’incitamento di Michelle Obama a battersi senza risparmio contro Trump e tutte le armi che metterà in campo, bugie comprese.
Ma la benedizione dei padri nobili del partito, da Bill Clinton a Barack Obama, sembra un rito del passato, prossimo alla scadenza. Harris è stata scelta perché è una combattente, e intende fondare la sua stagione nella battaglia, qui e ora, non nel lascito ereditario. Autonomia, dunque, consapevolezza della portata della sfida, e il tentativo di ricrearsi una classe sociale di riferimento, puntando sulla perenne spina dorsale degli Stati Uniti, la middle class. Con queste scelte Kamala evoca un nuovo protagonista politico da contrapporre al forgotten man, il tagliato fuori di Trump, col suo risentimento ribelle: è l’ “everyman”, l’americano medio, che nonostante le delusioni continua testardamente a sentirsi cittadino, consapevole dei suoi diritti e dei suoi doveri e dello spazio di libertà di ognuno. È con lui che Kamala gioca la sua sfida. Nella convinzione, dopo una stagione di subalternità ai populismi di ogni pretesa e di vario colore, che gli animi non si accendono soltanto con il fuoco velenoso dell’antipolitica, perché forse è arrivato il tempo in cui si può tornare a credere e a sperare nella passione per la democrazia e per la libertà.
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