Ma Iran e Usa possono evitare l’escalation
I venti di guerra sul Libano dopo la strage dei bambini drusi
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I venti di guerra sul Libano dopo la strage dei bambini drusi
• – Redazione
Già prima della crisi umanitaria odierna si stima che più di 543,000 bambini della Striscia avessero bisogno di assistenza piscologica. Ora ci si aspetta che tutti la necessitino. Secondo la psicologa Valeria Colasanti si tratta di un trauma «collettivo, continuo e intergenerazionale»
• – Redazione
L'approvazione dell’ennesima tassazione punitiva per le fasce sociali più fragili ha dato inizio a una serie di manifestazioni contro la corruzione e la povertà. E i giovani che ne sono protagonisti potrebbero essere d’ispirazione anche per tutti noi
• – Roberta Bernasconi
Di Domenico Quirico, La Stampa Val la pena mentre il vortice mediorientale, che è carne e sangue, ancor più si ingarbuglia e si è a un passo dal nuovo fronte libanese di guerra,...
• – Redazione
Dai testi mostrati al New York Times emerge che J.D. non solo era un oppositore del tycoon (definito “Hitler”), ma anche che aveva posizioni sui trattamenti ormonali molto diverse dalle attuali
• – Redazione
Si possono ancora affermare pubblicamente i principi di libertà, uguaglianza e solidarietà, magari attualizzandoli e rendendoli più concreti? E cosa si fa se a qualcuno non piacciono?
• – Redazione
Il fondatore di Repubblica svelò che Fininvest doveva alle banche 4 mila miliardi di lire. Il cavaliere negò. I consulenti dei pm: sensibile riduzione dell’esposizione dopo la discesa in campo
• – Redazione
L'aviazione israeliana uccide quattro miliziani sciiti, poi ordigni sulla città drusa di Majd al-Shams: colpito un campo da calcio, undici ragazzini uccisi. Il gruppo libanese nega il suo coinvolgiment
• – Redazione
Colpito l’istituto Khadija a Deir al-Balah, ospitava 4mila sfollati. Israele: era un centro di Hamas. Ma, di nuovo, non fornisce prove. In Cisgiordania feriti due bambini a Ramallah, ucciso un 17enne da un drone nel campo profughi di Balata
• – Redazione
A cosa serve aumentare la spesa militare, come si vuole fare in Svizzera? Se non ci si basa su una seria analisi dei rischi geopolitici serve solo a mantenere in piedi il complesso militare-finanziario. Lo diceva già Machiavelli
• – Boas Erez
I venti di guerra sul Libano dopo la strage dei bambini drusi
In Medio Oriente torna lo spettro del conflitto regionale. I venti di guerra spirano da più quadranti. Li alimentano l’angoscia e la rabbia della strage di ragazzi drusi sul campetto di calcio nel Golan. Il negoziato per il cessate il fuoco a Gaza, che vedeva a Roma Mossad, Cia, servizi egiziani e diplomazia qatarina, prosegue ma non conclude – con zero sollievo di due milioni di gazeani in disperata situazione umanitaria. Benjamin Netanyahu, rientrato in fretta e furia dagli Usa, si dice pronto alla «guerra totale» contro Hezbollah. Da Ankara, Recep Tayyip Erdogan lancia la vaga minaccia di «intervenire in Israele» per far cessare le vessazioni contro i palestinesi. In un contesto già surriscaldato le tensioni si innalzano.
Il Medio Oriente è una polveriera da cui pendono molte micce. Se anche nessuno la vuol far esplodere – «catastrofe inimmaginabile» secondo le Nazioni Unite, che una volta tanto esprimono anche l’opinione dell’uomo di strada – basta che se ne accenda una per far deflagrare il resto. Adesso il rischio principale viene dal Libano, o meglio da Hezbollah in Libano. Israele è compresso fra due fronti esterni. La frontiera libanese, a Nord, è in allarme permanente, soggetta a continui scambi fra razzi e missili di Hezbollah e risposte israeliane, dall’indomani del massacro perpetrato da Hamas nei kibbutzim israeliani, a Sud. Ma nessuno vuole che la guerra fra Israele e Hamas si estenda oltre Gaza. Fino all’eccidio di ragazzini sul campo di calcio di Majdal Shams, il duello di Israele con Hezbollah era sotto la soglia del diretto conflitto. La continua guerriglia ha però fatto evacuare circa 60. 000 abitanti israeliani dei villaggi a ridosso del confine; sul versante libanese si contano altrettanti sfollati, se non di più. È un duro prezzo, per Israele come per i libanesi che subiscono la presenza di Hezbollah. In realtà la guerra più che non allargatasi al Nord, vi è contenuta.
Non è la temuta guerra regionale per due principali motivi. L’Iran, regista, sostenitore e finanziatore, di Hezbollah, degli Houthi in Yemen e di altri gruppi sciiti operanti in Iraq e in Siria, non vuole lo scontro con Israele – e con gli Stati Uniti che appoggerebbero Gerusalemme. Vanno bene le punzecchiature per procura. Oltre quelle l’Iran si ferma, come quando ha massicciamente inviato droni e missili contro Israele, ha subìto senza batter ciglio la misurata risposta israeliana, e voltato pagina. Il secondo freno all’allargamento del conflitto è stato messo dalle diplomazie internazionali, dell’Egitto, del Golfo e soprattutto da quella americana – dall’Europa qualche buona parola ma poco più; divisa internamente, l’Ue si limita a «invitare tutte le parti alla moderazione». Anche in queste ore sono gli americani che trattengono la risposta israeliana al razzo che ha colpito Majdal Shams. La «grande paura» di Beirut descritta ieri su queste colonne è ben presente a Washington. La Casa Bianca ha avvertito Israele che la situazione «precipiterebbe fuori controllo» in caso venissero colpiti obiettivi Hezbollah nella capitale libanese.
Il Partito di Dio si è arrampicato sugli specchi dopo il missile sul campo di calcio, negandone la paternità senza convinzione e contro l’evidenza dei resti dell’ordigno, di fabbricazione iraniana in loro dotazione. La spiegazione più credibile è un errore. Il taciturno governo libanese si è armato di coraggio per condannare gli attacchi contro civili – rarissima indiretta critica a Hezbollah e messaggio a Israele affinché si astenga dal farli contro il Libano. Teheran, che oggi inaugura un nuovo Presidente che dice di voler il dialogo con l’Occidente, tace. Nella ferrea logica mediorientale – dente per dente – Hezbollah, che sia per errore o per altro non importa, ha varcato una linea rossa. Deve pagarne il prezzo altrimenti lo rifarà. Se la rappresaglia israeliana sarà misurata, e se Hezbollah incassa – due grossi «se» – la partita si chiude tornando allo stato di guerriglia. Il nodo comunque non sarebbe sciolto, solo rinviato. Israele non può accettare lo sfollamento permanente dai villaggi del confine.
L’epicentro della crisi torna così a Gaza. L’uscita di Erdogan va presa con molto beneficio d’inventario. Ha fatto il parallelo con la Libia, dove la Turchia è effettivamente intervenuta, e con il Nagorno-Karabakh dove ha sempre negato di essere intervenuta… Fa venire a mente le truppe in Ucraina di Emmanuel Macron: avviso senza seguiti ma che segnala preoccupazione. Suona come una messa in mora di Netanyahu sul cessate il fuoco a Gaza perché la situazione umanitaria dei palestinesi è intollerabile. Il primo ministro israeliano ne ha sicuramente ricevute di simili a Washington da Joe Biden e da Kamala Harris. Ma da Donald Trump? Se l’ex-Presidente gli avesse detto «aspettami», non fare un piacere a quest’amministrazione democratica? Per la tregua a Gaza, Bibi non chiede di meglio che aspettare.
Il ritratto. A volte contraddittoria, i trumpiani la bollano come opportunista mentre per i suoi è realista: solo se sarà eletta rivelerà al mondo la sua vera natura
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