D
i Margherita Cordellini, il manifesto
«Con il proseguire della guerra si prevede che ogni bambino a Gaza avrà bisogno di assistenza psicologica»: lo si legge in un rapporto del Gaza Community Mental Health Program, non profit nata nel 1990. Sottoposti a continui bombardamenti, estrema insicurezza alimentare e a continui spostamenti forzati, la salute mentale degli abitanti della Striscia sta subendo un deterioramento mai visto prima. I bambini, in particolare, sono fra le categorie che più ne risentono. Lo studio spiega che «i bambini vivono in uno stato di tragedia infinita viste le loro vulnerabilità e incapacità di proteggersi dagli attacchi israeliani da un lato e da quelli sociali dall’altro».
Amal, madre di quattro bambini fra i 7 e i 14 anni, riferisce a Save The Children che la salute mentale dei figli «non è deteriorata, ma è stata completamente annientata». «Con la guerra sono iniziati anche il loro terrore, le loro urla e pianti – prosegue Amal – Ora alcuni dei miei figli non riescono a concentrarsi su compiti basilari. Si dimenticano cose che gli ho appena detto o che sono appena successe. Mia figlia amava disegnare, disegnava momenti conviviali, famiglia, vita. Adesso disegna soldati, sangue e guerra».
Intervistata dal manifesto, la psicologa Valeria Colasanti, che fa parte di sanitari per Gaza, movimento spontaneo di sanitari italiani nato a dicembre 2023 in risposta al massacro della popolazione palestinese, riporta la definizione di salute mentale dell’Oms come «stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o infermità». «Fondamentale è quindi la possibilità di partecipare a pieno alla vita di comunità e di esprimere le proprie potenzialità – ci spiega la psicologa – Ciò non è possibile a Gaza: scuole, università, quartieri sono distrutti, la famiglia e gli amici muoiono sotto le bombe. Si tratta di un attacco alla salute mentale collettiva che porta alla distruzione psicologica completa».
Nel rapporto Intrappolati e Feriti: l’aggravarsi del danno mentale inflitto ai bambini palestinesi di Gaza pubblicato a gennaio, Save The Children (Stc) sottolinea che queste condizioni rappresentano «rischi da manuale di un danno mentale duraturo per i bambini di Gaza».
Medici del Mondo stima che, già prima della crisi umanitaria odierna, 543mila bambini a Gaza avevano bisogno di supporto psicologico. Secondo uno studio del 2011 di Abdel Aziz Thabet e Panos Vostanis, professori di psichiatria infantile rispettivamente all’università palestinese Al-Quds e a quella inglese di Leicester, il 40,6% dei bambini gazawi tra i 7 e i 12 anni accusava sindrome post traumatica da stress (Ptsd) da moderato a severo in seguito alla prima Intifada (1987-1993), in cui i soldati e i coloni israeliani uccisero almeno mille palestinesi.
Colasanti spiega che la Ptsd è la patologia più comune rilevata nei bambini in seguito alle varie offensive contro Gaza. «Uno degli effetti principali della Ptsd nei bambini palestinesi della Striscia, che vengono sottoposti a traumi continui, è la riduzione della capacità di superare trauma. Il sistema che risponde allo stress e agli stimoli paurosi (l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, anche detto asse della paura) è costantemente iperattivo, non più funzionale ma patologico. La Ptsd incide inoltre anche sul sonno e sulla memoria».
Un ulteriore aspetto della Ptsd è la sua possibile trasmissione intergenerazionale. Colasanti riporta che uno studio condotto dal Mount Sinai Hospital di New York sui sopravvissuti all’Olocausto «ha rilevato delle alterazioni genetiche collegabili all’ansia e allo stress. L’ipotesi, che poi andrà verificata, è che le generazioni future gazawi potrebbero avere disturbi dell’umore e dell’ansia ereditati dai traumi a cui i loro genitori sono sottoposti ora».
«I continui conflitti e bombardamenti hanno ulteriori conseguenze psicologiche nella popolazione infantile di Gaza, ad esempio l’arresto evolutivo nei più piccoli e problemi dell’attaccamento che derivano in parte dall’impossibilità dei genitori di sostenere i figli a causa del loro stesso trauma». Oggi sono tanti i bambini privati del supporto familiare: ci sono più di 17mila orfani, stimava l’Unicef a febbraio 2024.
La traumatizzazione dei bambini palestinesi non è quindi confinata fra il 7 ottobre 2023 e oggi: «Dal 1948 la popolazione palestinese è incessantemente esposta a immagini di morte, alla perdita di amici e famigliari – prosegue Colasanti – Gli abitanti non hanno quindi la possibilità di elaborare il trauma e cadono nello stato mentale di ‘impotenza appresa’, che consiste nella realizzazione di non avere alcun controllo sulla propria vita».
Il massacro odierno a cui è sottoposta la popolazione di Gaza è, però, diverso. Stc sottolinea che «tutti i genitori, i tutori e i partner riportano che questa escalation differisce da tutte quelle che la precedono. I partecipanti [allo studio di Stc] hanno attribuito questo all’intensità, la durata e la condotta delle ostilità; al diffuso e sistematico sfollamento forzato, all’impossibilità di accedere ai beni primari necessari per la sopravvivenza e alla decimazione dei servizi pubblici».
Nonostante non esistano studi scientifici condotti sugli effetti piscologici del genocidio sui bambini – perché, come spiega la psicologa, le strutture universitarie della Striscia sono state sistematicamente distrutte nei primi 100 giorni di offensiva – l’indagine di Stc rivela che, rispetto ai conflitti precedenti, «ogni fattore di stress per il benessere psicosociale dei bambini è aumentato esponenzialmente, mentre, in contemporanea, ogni fattore protettivo è stato decimato».
Intervistato da Stc, Maher, un padre, afferma che «la violenza di questa guerra è diversa. Prima non dovevamo lasciare le nostre case, ma ora non abbiamo nessun posto dove andare. Siamo stati sfollati sei volte. Siamo andati in un posto sicuro e poi lo hanno bombardato».
L’infermiera di Medici Senza Frontiere (Msf) Martina Marchiò, che fra aprile e maggio 2024 ha lavorato in diverse strutture sanitarie a Rafah, Deir al Balah e Khan Yunis, ci descrive le circostanze in cui i bambini sono costretti a vivere a Gaza: «Tutti i bambini hanno perso almeno un membro della famiglia e sono continuamente sottoposti a immagini di cadaveri; sono in continuo movimento, alcuni sono stati sfollati 11 o 12 volte. A Gaza al momento non c’è un posto sicuro per nessuno».
Secondo lo studio del 2011 di Thabet e Vostanis, il 59.3% dei bambini che avevano perso la casa per bombardamenti soffrivano di Ptsd severa. Ora, secondo l’agenzia umanitaria dell’Onu (Ocha), il 90% della popolazione di Gaza è stata sfollata almeno una volta dall’inizio delle ostilità. «Tantissimi bambini vivono in tende sovraffollate in condizioni impensabili – racconta Marchiò al manifesto – Devono far fronte al caldo, alla mancanza d’acqua, alla malnutrizione e alla sporcizia».
A partire da ottobre 2023, in media 10 bambini al giorno stanno perdendo una o entrambe le gambe secondo una stima di Stc. «Un’alta percentuale di feriti negli ospedali di Msf sono bambini – riferisce Marchiò – molti di loro sono ora disabili e hanno subito amputazioni a uno o più arti. Essere disabili a Gaza è di una difficoltà inimmaginabile». In un rapporto di febbraio, Acaps – un’organizzazione non governativa che fornisce analisi umanitarie – riferisce che le incessanti offensive aeree e terrestri sottopongono le persone disabili a rischi potenzialmente letali che includono l’impossibilità di scappare, di accedere alle cosiddette ‘zone sicure’ e la separazione dai loro caregivers.
Marchiò parla di «un’infanzia negata»: «I bambini che arrivano in ospedale sono in stato di shock, fanno incubi e non dormono. Una bambina di 9 anni era appena stata medicata per una ferita, quando si è sentita una forte esplosione vicino all’ospedale. Lei è rimasta immobile e non ha reagito per qualche minuto. Ho scoperto poi da una psicologa che i suoi famigliari erano morti un’altra esplosione».
«Un’altra bambina era seduta a terra con dei pattini a rotelle – continua – suo padre le dice che non si può pattinare, le strade non esistono più. Lei rimane seduta là, da sola, a fissare il vuoto». Ali, un membro dello staff di Stc a Gaza, ha riferito a gennaio che i bambini «trascorrono le loro giornate come gli adulti, cercando di sopravvivere. Si svegliano e cercano l’acqua, cercano cibo. È a questo che pensano ora, la loro vita è cambiata. I bambini non sono più bambini. Non giocano più in un parco giochi o fanno sport. Fanno la fila per l’acqua o vendono piccole cose agli angoli delle strade per guadagnare qualche soldo».
«Ho sentito una bambina di 9 anni dire che non le importava più di morire, voleva solo che tutto finisse e raggiungere la sua mamma – testimonia l’infermiera di Msf – A Gaza nessuno parla più di futuro». Uno dei rari momenti di speranza collettivi risale al 5 maggio, il giorno in cui i capi di Hamas hanno firmato il patto di cessate il fuoco permanente supportato dall’Egitto e dal Qatar. «Quel giorno tutti erano per le strade a festeggiare, ma, durante la notte, ci sono stati bombardamenti molto pesanti e il giorno dopo è stata annunciata l’evacuazione. Tutti hanno capito cosa sarebbe successo».
Un’ulteriore componente che influisce sulla salute psicologica dei bambini è la narrazione deumanizzante attorno ai palestinesi. Stc ha chiesto a 32 bambini della Cisgiordania – ritenendo non etico intervistare bambini a Gaza – di commentare le affermazioni fatte da esponenti del governo israeliano, fra cui quelle del ministro della difesa Yoav Gallant che ha parlato di «animali umani». I bambini si sono dimostrati disillusi nei confronti del diritto internazionale, esprimendo la sensazione che «nessuno vuole che esistiamo su questo pianeta».
La psicologa di sanitari per Gaza ci riporta le testimonianze di medici e psicologi sul campo: «I bambini dicono di sentirsi presi di mira anche dal linguaggio dei media, che a volte si riferiscono ai palestinesi con termini denigratori. Questa sensazione di avere tutto il mondo contro va oltre ogni comprensibilità umana».
Colasanti spiega che il trauma provocato dagli oltre 9 mesi di genocidio, impilati sopra a decenni di oppressione e conflitti, è «continuo e collettivo. Il concetto di trauma che utilizziamo comunemente in Europa non è applicabile alla popolazione di Gaza, è troppo limitato; questo è un trauma che dura nel tempo, che riguarda un’intera popolazione e che si trasmette intergenerazionalmente».
Secondo Save The Children è possibile fornire ai bambini supporto psicosociale adeguato solo attraverso un cessate il fuoco permanente e immediato; altrimenti cresce la probabilità che il danno inflitto alla salute mentale dei bambini sia irreparabile e permanente.
Nell’immagine:
La dottoressa Fidaa Al-Qurshali circondata da bambini sfollati a Rafah