Oprah, Michelle e Hillary: tutte le donne del presidente Harris
Le tre donne: «Presto diremo che una figlia di immigrati ha rotto il tetto di cristallo»
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Le tre donne: «Presto diremo che una figlia di immigrati ha rotto il tetto di cristallo»
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Le tre donne: «Presto diremo che una figlia di immigrati ha rotto il tetto di cristallo»
CHICAGO – Hillary Clinton, Michelle Obama e Oprah Winfrey. Tre donne, due pezzi di storia recente del Partito democratico e un pezzo di storia tout- court dei media, dello spettacolo e della cultura Usa. Da loro è venuto il “boost” più convincente e potente alla candidatura di Harris alla Casa Bianca. Da loro alcuni dei momenti più memorabili della Convention e delle battute più taglienti nei confronti di Donald Trump, per una corsa elettorale nella quale la sensibilità dell’elettorato femminile sarà determinante.
Non solo per il tema dell’aborto, tra i più citati nelle quattro giornate di Chicago, segno che gli strateghi Dem sono sempre più convinti della sua rilevanza elettorale, ma anche per “l’history making moment”, con la possibilità di una prima donna (e black) presidente degli Stati Uniti. Quel «soffitto di cristallo» nel quale, ha rivendicato Clinton, «abbiamo impresso molte crepe». Fu proprio l’ex segretaria di Stato la prima donna a conquistare nel 2016 la nomination di uno dei due partiti maggiori.
«Sull’altro lato di quel soffitto di cristallo c’è Kamala Harris, che alza la mano e giura come nostro 47esimo presidente degli Stati Uniti», ha detto la Clinton esaltando la folla dello United Center. Una rivendicazione orgogliosa del proprio ruolo di apri pista, ma anche una spinta sincera per Harris, senza alcun rimpianto o rancore per non essere stata lei la prima donna nello Studio Ovale. E poi Michelle Obama, che è riuscita a oscurare (ancora una volta, direbbero i maligni) perfino il marito Barack, principale star della seconda giornata della Convention. Il popolo Dem ha seguito in autentica venerazione l’intervento col quale ha demolito Trump, a sostegno di Harris. «My girl», l’aveva chiamata Michelle nella telefonata nella quale lei e l’ex presidente le annunciavano il loro endorsement.
«Trump ha fatto tutto quanto era in suo potere per fare in modo che la gente avesse paura di noi due», ha ricordato Michelle, mettendo in guardia Harris. Poi, una delle stoccate più potenti: «La sua visione limitata e ristretta del mondo lo faceva sentire minacciato dall’esistenza di due persone che lavoravano duramente, altamente istruite e di successo e che per caso erano nere. Chi glielo spiega che il lavoro al quale ambisce è proprio un lavoro da neri?».
Il riferimento era a una delle battute più infelici del tycoon, quella degli immigrati che tolgono agli afroamericani i «lavori da neri», appunto. Soffitto di cristallo e questione razziale. Poteva bastare, visto che un sondaggio Economist/YouGov, chiuso al termine della seconda giornata della Convention assegna a Harris un vantaggio di 13 punti tra l’elettorato femminile. Ma per vincere la Casa Bianca serve di più. Ecco allora la carta a sorpresa di Oprah Winfrey, la «donna più influente al mondo» (copyright di Time), per convincere gli «indipendenti e indecisi» – a loro il suo appello particolare – ad uscire dal limbo e a fare la Storia.
«Presto, molto presto, insegneremo ai nostri figli come la figlia di una madre indiana e di un padre giamaicano, due immigrati idealisti e pieni di energia, due immigrati, come questa ragazza sia riuscita a diventare il 47° presidente degli Stati Uniti. Questo è il meglio dell’America», ha detto Winfrey a una platea entusiasta
Repubblicani hanno accusato il colpo. Il suo endorsement, secondo le stime dell’epoca, fu uno degli asset decisivi per la vittoria di Obama nel 2008. È per questo che la campagna Trump ha postato sui social media una lettera di Winfrey del 2000 nella quale affermava che il tycoon sarebbe stato un «buon presidente». Altri tempi, e del resto all’epoca Trump era anche amico dei Clinton. Ma le convention non servono solo a lanciare il candidato di turno, ma anche a presentare una nuova generazione di leader.
E a Chicago sono emersi quattro nomi su tutti, stavolta al maschile: il governatore della Pennsylvania Josh Shapiro; il segretario ai Trasporti Pete Buttigieg; il governatore del Maryland Wes Moore; e il leader dei democratici alla Camera, Hakeem Jeffries, prossimo speaker se a novembre i Dem, sull’onda dell’eventuale vittoria di Harris, riusciranno a ribaltare i rapporti di forza al Congresso.
Una generazione di 40-50enni in pista per traghettare il partito fuori dall’era dei Biden, Pelosi e Schumer (il leader del Senato), ormai giunta al tramonto, in caso di conquista della Casa Bianca. O per ricostruirlo, nel caso Harris non riesca a sfondare definitivamente il soffitto di cristallo.
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