“Perché i carri armati russi non invaderanno la Svizzera”
Una necessaria "contronarrazione" sulle prospettive geostrategiche della Svizzera, mentre nel silenzio le destre e le cerchie militari vogliono solo rafforzare l'esercito
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Una necessaria "contronarrazione" sulle prospettive geostrategiche della Svizzera, mentre nel silenzio le destre e le cerchie militari vogliono solo rafforzare l'esercito
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Una necessaria "contronarrazione" sulle prospettive geostrategiche della Svizzera, mentre nel silenzio le destre e le cerchie militari vogliono solo rafforzare l'esercito
“Perché i carri armati russi non invaderanno la Svizzera” è il titolo di un libro pubblicato recentemente da Favre. L’autore è il consigliere nazionale (PS) Pierre-Alain Fridez, medico di Fontenay (Giura), membro del Comitato della politica di sicurezza del Consiglio Nazionale (CPS-N) dal 2011. Questo organo è composto da rappresentanti politici, esperti e militari, scelti per allinearsi al dogma dominante. Ha appena lasciato la Commissione in opposizione alle posizioni della consigliera federale Viola Amherd. Il suo libro offre uno sguardo ampio e documentato sulle minacce che incombono sulla Svizzera, che sono reali e non immaginarie.
Figura politica insolita, il deputato si occupa da anni di questioni geostrategiche. Ha partecipato a numerose missioni all’estero, in particolare in Russia, Ucraina e Turchia, per il Consiglio d’Europa e altri organismi internazionali. Nel 2022 ha pubblicato (ed. Favre) un libro ancora attuale: Le choix du F-35. Erreur grossière ou scandale d’Etat, con prefazione di Micheline Calmy-Rey. Lungi dall’essere antimilitarista, è tuttavia preoccupato per la direzione che sta prendendo il dibattito sulla difesa in Svizzera.
Secondo la Commissione la Svizzera deve spendere di più per l’esercito, reclutare più soldati, acquistare più aerei, veicoli blindati e attrezzature militari. E soprattutto, per difendersi, deve avvicinarsi il più possibile alla NATO e all’UE e cooperare come se ne fosse un membro. Attraverso una serie di accordi, alcuni dei quali tenuti segreti. Abbandono di fatto della neutralità.
Scrive Pierre-Alain Fridez: “Proclamare la neutralità non è sufficiente. Gli altri devono considerarla tale. Gran parte del mondo ritiene ormai che abbiamo scelto il campo atlantista. Soprattutto dopo l’acquisto dell’aereo americano F-35 e dopo la conferenza di Bürgenstock, alla quale la Russia non è stata invitata e che ha seguito l’agenda dell’Ucraina. Il nostro comportamento diplomatico di fronte alla guerra tra Israele e i palestinesi rafforza questa sensazione. Pensate ai tagli all’UNRWA in un momento di indicibile tragedia umana… Stiamo voltando le spalle a sessant’anni di diplomazia. Stiamo rinnegando i principi di una politica internazionale che mirava a costruire ponti tra i belligeranti, che cercava di portare la pace.”. Detto questo, Fridez non sostiene l’iniziativa per la neutralità dell’UDC. “Sono favorevole a mantenere i nostri valori, ad ascoltare e ad aprirci al mondo. Non sono favorevole a una neutralità egoisticamente ripiegata su se stessa”.
Allora perché non è rimasto nel comitato per far sentire la sua voce? “All’inizio, negli anni ’90, con il crollo dell’URSS, non si vedeva più l’utilità dell’esercito, che ora è stato ridimensionato. L’aggressione della Russia all’Ucraina ha cambiato tutto. È stata una manna dal cielo per i militari. Da quel momento in poi i militari hanno influenzato fortemente la Consigliera federale Amherd, che è arrivata senza conoscere molto di questi temi. È succeduta a Guy Parmelin che, come un buon agricoltore, ha mantenuto i piedi per terra da questo punto di vista. Da allora le cose sono andate di male in peggio. Nel luglio 2023, la composizione della commissione speciale era dominata dai militari, dagli ambienti economici e dai partiti che sostengono per principio tutto ciò che dice l’esercito. Abbiamo avuto poche riunioni, nove mezze giornate l’anno scorso. Gli esperti selezionati hanno tenuto lunghe presentazioni. C’era poco spazio per la discussione. Diversi membri hanno espresso la loro insoddisfazione. Da parte mia, non potevo più sostenere le conclusioni di questa cerchia di persone”.
Resta il fatto che lo scoppio della guerra in Europa ha suscitato una vera paura nell’opinione pubblica… “Ci sono ancora minacce. Sicurezza informatica, terrorismo, nuove armi. Abbiamo anche visto durante il conflitto che l’aviazione e i veicoli blindati, che si possono colpire facilmente, non hanno giocato un ruolo di primo piano. Droni e missili sono più temibili. Potrebbero essere utilizzati da Paesi e gruppi diversi dalla Russia. Ma noto che quando si tratta di difesa terra-aria, la Svizzera non ha nulla. Le ordinazioni di materiale bellico richiedono anni per essere evase”.
Quindi ci sono motivi per avere paura. “Ma non di un’invasione russa. Anche questo esercito sta mostrando le sue debolezze. I Paesi membri della NATO rappresentano una forza politica, economica e militare che farà sì che Vladimir Putin ci pensi due volte prima di affrontarlo”. E se Trump tornasse al potere? “Per diverse ragioni ‘abbandonare’ gli europei al loro destino sembra chiaramente impossibile”.
Quindi, come dice il sottotitolo del libro, “la battaglia del Reno non si farà”? Fridez ha diversi argomenti. La demografia, perché il tasso di natalità in Russia è crollato, e l’emigrazione dei giovani non aiuta. Le enormi distanze da percorrere: almeno 2.000 chilometri per raggiungere la Svizzera. L’esercito russo è indebolito, dopo due anni di guerra in cui ha mostrato i suoi limiti e soprattutto ha dimostrato di non essere invincibile. L’operazione ucraina in territorio russo nei pressi di Kursk, che non ha né capo né coda, parla da sé. Anche se l’avventuriero Zelensky sta avendo difficoltà nel Donbass. Deterrenza nucleare? In realtà, non impedisce all’Occidente di armare l’Ucraina. Nessuno vuole un suicidio generale.
Tornando alla questione della paura, viene sfruttata? “Dai militari che vogliono sempre di più, dall’industria degli armamenti, senza dubbio”. È qui che dobbiamo scavare più a fondo e pensare alle nostre motivazioni più profonde. Le emozioni esacerbate mettono in secondo piano un approccio razionale ai fatti. Come sempre accade. Ricordiamo che già il filosofo Thomas Hobbes (1588-1679) discuteva dell’uso della paura da parte di chi detiene il potere.
Nel frattempo è confortante sapere che Pierre-Alain Fridez è tutt’altro che l’unico a porsi queste domande. Anche se non vengono quasi mai sollevate in Parlamento, che si occupa di questi temi come di nascosto. Ma adesso tutte le voci devono alzarsi forti e chiare.
Traduzione e adattamento a cura della redazione
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