Perché i leader non sanno mediare
Il 24 febbraio e il 7 ottobre hanno aperto una nuova era, dominata da un linguaggio apocalittico medievale. Ci culliamo nell’illusione che nessuno userà mai l’atomica e gli ideologi della carneficina prendono campo
Filtra per rubrica
Filtra per autore/trice
Il 24 febbraio e il 7 ottobre hanno aperto una nuova era, dominata da un linguaggio apocalittico medievale. Ci culliamo nell’illusione che nessuno userà mai l’atomica e gli ideologi della carneficina prendono campo
• – Redazione
Di cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah da parte di Tel Aviv non se ne parla neppure. «Andremo avanti fino il vittoria», dice Netanyahu
• – Redazione
Una proposta in cui si vuole tutto e di più, ma non si dimentichi che secondo l'ultima rilevazione internazionale (PISA) la scuola ticinese vanta ottimi risultati
• – Aurelio Sargenti
A 30 anni dalla scomparsa, il ricordo di Yeshayahu Leibowitz (influente filosofo, scienziato ed ebreo osservante ): coniò l’espressione “Judeo-nazi”, alludendo alla disumanizzazione della società israeliana a causa dell’occupazione dei territori palestinesi
• – Sarah Parenzo
Un meccanismo collaudato, per nascondere le difficoltà alza il tiro. Ma ha armi spuntate: è appena fallito il test del suo missile più potente
• – Redazione
Dai film di Jocelyn Saab alle nuove generazioni, la «prima persona» di una memoria collettiva. Beirut è un laboratorio in cui prendono corpo i conflitti del nostro tempo
• – Redazione
Due tra i più importanti politologi si confrontano sulle sfide di un Occidente in crisi di identità. Che deve riscoprire la lotta contro le diseguaglianze
• – Redazione
Contemporaneamente al dibattito sull’iniziativa relativa alla biodiversità, ecco un libro di Christian Bréchot chiarificatore: "gli Stati possono sopravvivere a guerre e colpi di Stato, ma non alla perdita del loro suolo”
• – Silvano Toppi
Si militarizza la sicurezza dei centri federali affidandola a società private con agenti senza formazione, e si continua a costruire strutture troppo grandi con un affollamento eccessivo che creano più tensioni
• – Aldo Sofia
Israele attacca ancora dal confine fino a Beirut: ucciso Qubaisi, comandante di Hezbollah. Le autostrade prese d’assalto da chi scappa a Nord, incubo grande invasione come nel 1982
• – Redazione
Il 24 febbraio e il 7 ottobre hanno aperto una nuova era, dominata da un linguaggio apocalittico medievale. Ci culliamo nell’illusione che nessuno userà mai l’atomica e gli ideologi della carneficina prendono campo
Esiste ancora la diplomazia? I missi dominici del negoziato sono avviati al triste fato della disoccupazione dopo esser stati, per secoli, omaggiati professionisti del cavar al momento giusto le castagne dal fuoco a politici malaccorti e incendiapopoli sconsiderati? Dovranno rassegnarsi al ruolo di consulenti delle buone maniere per potenti e prepotenti capi dei servizi segreti, personaggi cupi a cui dovrebbe dedicarsi con sollecitudine la Giustizia internazionale, se esistesse? Hanno messo in saccoccia, i Signori del gioco sporco, anche la delega a maneggiare diplomaticamente i frutti marci della storia in conciliaboli ovviamente segreti di cui sarebbe affascinante immaginare rituali e atmosfere.
Misericordia! È un crepuscolo di talenti, forse una notte. Ma non è quella della fine della diplomazia una domanda allarmista, provocatoria, disfattista? Purtroppo bisogna constatare che nel mondo del dopo 24 febbraio russo (e del 7 ottobre di Hamas) dilaga e domina un generale linguaggio apocalittico che si utilizzava forse al tempo di Bonifacio VIII e che sembrava, nel Terzo Millennio, a dir poco anacronistico. Insomma: è vero o non è vero che a Est e a Ovest, a Sud e a Nord, tra tiranni e democratici a diciotto carati è moneta corrente un patriottismo che consiste, più che nell’amare la parte propria, nell’odiare visceralmente quella altrui? Maledizioni, fatwe, anche laicissime, programmi di estirpazione totale del nemico, giuscobutismi del «o noi o loro» son passati dal vocabolario dei forsennati religiosi a quello di astuti e aggressivi tribuni laici. Ormai tutti giudicano la guerra un delitto soltanto se la si perde. Un fisico di qualche anno fa (prima Guerra fredda) ricordò per corroborare la sua ingenua ma lodevole idea di smantellare gli arsenali nucleari che le bombe atomiche esistenti corrispondevano a quattro tonnellate di tritolo per ogni abitante della terra. Si scopre con angoscia che di fronte alle reiterate minacce di Putin di passare alla irrimediabile fase bellica dei neutroni, i rassicuranti «responsabili» della alleanza occidentale fidano soltanto nel fatto che l’ometto del Cremlino le ripeta da due anni ma non l’abbia mai messe in atto… oplà! pare che a Ramstein si decida la strategia sulla base di queste sciocchezze.
Certo: per parlare delle guerre bisognerebbe parlare degli uomini, mostrarli capaci di sofferenza, come si rompono, sanguinano, gemono. Ma la diplomazia è un metodo per impedirlo.
Ebbene guardatevi attorno: linguaggio e valori della diplomazia, passati al bagno avvelenato del nuovo scontro che gli sciagurati dipingono tra il Bene e il Male, hanno cessato di essere vivi e operanti e come sottoposti a un bagno nella lava sono rimasti lì, idoli mummificati. Proprio per questo li si invoca sapendo che non forniranno responsi o miracoli, servono a un’altra lava, questa tutt’altra che rappresa, quella della retorica della vittoria certa.
I registi delle guerre di oggi, da Putin a Zelensky, da Netanyahu a Sinwar sono convinti che la carneficina aprirà loro le porte della vittoria, mentre in realtà non fa altro che rendere reale l’inferno di coloro che la popolano e la subiscono nel loro nome. La tragica novità delle guerre di oggi è che sono la conseguenza di un regime intellettuale all’ombra del quale si producono decine di migliaia di morti e non sembrano destinate a una fine, parola che la diplomazia dovrebbe appunto definire nei suoi contenuti e rendere possibile. Nel momento in cui scompare il ricorso al negoziato interpretato solo come strumento tecnico di una futura resa senza condizioni, di una pace cartaginese, un’altra ideologia si costituisce che fomenta sempre nuove catastrofi. Si butta nel proprio calderone ontologico tutto quello su cui si può mettere le mani e può servire a vincere: la patria, la religione, l’Occidente, la superiorità morale, il diritto internazionale, la sicurezza, la libertà, l’identità, la storia, la libera concorrenza… Dateci un pretesto qualsiasi per spargere ancora sangue! Il dilagare metastatico dei conflitti quando il nemico è un appestato o un pericolo di morte è solo la variazione di un identico tema.
Esempi. Zelensky ha intitolato, con citazione orwelliana, il piano di pace con cui ha ottenuto alcuni speranzosi titoletti sui giornali e che ha fatto intravedere al provvisorio Zeus di Washington, «il piano della vittoria»! Seguito coerente della conferenza della pace a Ginevra da lui imbastita senza il nemico con cui si sarebbe dovuto discuterla. La Casa bianca ha già lasciato filtrare la notazione di non esser soddisfatta.
La proposta franco-americana di una tregua umanitaria di ventun giorni a Gaza è stata liquidata da Netanyahau senza neppure il bon-ton di una risposta diretta: si va avanti bombardando fino alla vittoria.
Blinken ha stabilito un nuovo record chilometrico della diplomazia americana, lasciando indietro le «navette» di Kissinger, ma senza aver ottenuto nulla. La possibilità che il suo attivismo motorio non sia stato altro che un astuto gesticolare per lasciar tempo a Israele di completare l’annientamento riparatorio dei nemici che lo assediano, se vera, sarebbe ancor più desolante di quella della impotenza.
Siamo nell’Èra della diplomazia della impotenza.
Nell’immagine: Francisco Goya, stampa da incisione in acquaforte. “I disastri della guerra: con ragione o senza”
Inserzionisti e social globali: un rapporto che condiziona il funzionamento dei media e delle idee che diffondono (o dovrebbero diffondere)
Consegna ad Ankara. Sette Paesi coinvolti e 24 detenuti liberati tra cui il reporter Gershkovich e i dissidenti Kara-Murza e Jashin Berlino cede “l’assassino del Tiergarten”....