Piccolo sfogo a tutela dei consumatori e della loro intelligenza
Osservazioni semiserie sui nomi di alcuni prodotti che meriterebbero una medaglia al Gran Premio dell’Assurdo.
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Osservazioni semiserie sui nomi di alcuni prodotti che meriterebbero una medaglia al Gran Premio dell’Assurdo.
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Osservazioni semiserie sui nomi di alcuni prodotti che meriterebbero una medaglia al Gran Premio dell’Assurdo.
Del cittadino-consumatore andrebbe rispettata l’intelligenza, ma gli strateghi della commercializzazione e del marketing sembrano fare sempre più spesso il contrario.
Un marchio planetario come Nespresso, per esempio, non scherza. Due delle sue capsule più note si chiamano Livanto e Volluto. Quest’ultimo alluderà al morbido, luminoso e prezioso velluto? O alla voluttuosità della miscela? O alle voglie inconfessabili dell’affezionata clientela? Ma allora perché non Voluto con una elle sola, per indicare, appunto, il desiderio irresistibile che lega il consumatore al prodotto? O forse, dando per scontato che la lana (Wolle) e la sua stopposità non c’entrano, Volluto deriva dal verbo tedesco wollen? Se così fosse, perché non chiamarlo Wolluto (che aggiunge anche la W di evviva)? E come dimenticare la capsula Cosi (senza accento), quando Così avrebbe potuto significare che proprio così dev’essere il caffè?
Una nota azienda italiana che produce poltrone e sofà – di cui si era occupata anche la RSI nella rubrica Patti chiari (“Poltronesofà: le scomode verità“) – propone a raffica sui canali TV uno spot in cui pubblicizza le proprie offerte (“ma attenti, solo fino a sabato”). Di per sé, nulla da dire: vige libertà di commercio e quei soldi, insieme ai proventi degli altri inserzionisti, finanziano il Servizio pubblico svizzero nella misura del 13%. L’azienda in questione sta per compiere 30 anni, essendo stata fondata a Villanova di Forlì nel 1995. Oggi – si legge sul suo sito – ha conquistato, oltre all’Italia e alla Francia, anche Malta, Cipro, Belgio e, appunto, Svizzera (10 negozi). Tra i suoi testimonial, personaggi notissimi e trasversali della TV italiana: Amadeus, Antonella Clerici, Carlo Conti, Jerry Scotti (quello che già col riso non scherza), Orietta Berti, Sabrina Ferilli, Mara Maionchi e Luciana Littizzetto.
Da “consumatore” fedele e quotidiano di televisione (e di pubblicità) – aggiungeteci un’età non più verde e una soglia di sopportazione in deciso ribasso – ogni volta che leggevo i nomi per me strampalati dati a quei divani, mi inalberavo facendo sentire la mia indignazione in tutta la casa.
Un amico oggi mi informa che essi riprendono in realtà i toponimi di alcune località o frazioni sparse tra Piacenza, Forlì, Reggio Emilia, Bologna e la costa romagnola. Fornovo (di Taro, in provincia di Parma; il divano è ribassato del 59%), Viserbella (Comune di Rimini), Fosdondo (in provincia di Reggio Emilia) e Felisio (in provincia di Ravenna) sono i modelli in promozione questa settimana (ma attenti: solo fino a sabato, anche perché, contrariamente al resto d’Europa, di domenica il negozio ticinese è chiuso).
Tra i circa 90 modelli segnalo, in rigoroso ordine alfabetico: Albignano, Barete, Birandola, Borgallo, Campivo, Crostolo (che non è l’ottavo nano, bensì un torrente che scorre nei pressi di Reggio Emilia), Frigento, Gattatico, Giavello, Moglia (in provincia di Mantova: manca ancora il divano Maritolo, toponimo per ora inesistente), Ranzano, Savazza, Sottorio, Zadina.
Anche le poltrone della maison emiliana non scherzano: Fragnolo, Gacciola, Gavassa, Ripaldone, Stiore sono altrettante località ignote ai più, ma non – come qualcuno potrebbe pensare di primo acchito – il frutto di un brainstorming finito fuori controllo.
Condannata in Italia, per pubblicità ingannevole (prometteva, per esempio, “doppi saldi e doppi risparmi” su tutto, mentre l’offerta era limitata alla merce già in saldo nei negozi), ho parlato di questa azienda, poiché è quella che con maggiore frequenza appare anche sui nostri canali nazionali, suscitando così ulteriori interrogativi: se in Svizzera ci sono circa 4 milioni di economie domestiche e un divano di media qualità dura 10 anni, l’insieme delle aziende presenti sul mercato nazionale dovrebbe venderne 1’300 al giorno. Quanti di questi ne piazzerà il produttore in questione (che spenderebbe in pubblicità circa 120 milioni di euro all’anno) per giustificare una presenza televisiva così massiccia? E se, sul mercato svizzero, i suoi mobili li chiamasse, per esempio, Bedano, Brontallo, Sguancia, Kippel, Brülisau o Tavannes gli affari andrebbero ancora meglio?
Va riconosciuto comunque che con quei nomi incomprensibili ai più, l’azienda di Forlì applica perfettamente il principio del glocal. Anche se, almeno alcuni, continuano a sembrare – per chi non è del posto – più surreali, buffi e strampalati di molti personaggi zavattiniani.
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