Più che una cerimonia, un test per la libertà di espressione
Si possono ancora affermare pubblicamente i principi di libertà, uguaglianza e solidarietà, magari attualizzandoli e rendendoli più concreti? E cosa si fa se a qualcuno non piacciono?
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Si possono ancora affermare pubblicamente i principi di libertà, uguaglianza e solidarietà, magari attualizzandoli e rendendoli più concreti? E cosa si fa se a qualcuno non piacciono?
• – Redazione
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• – Redazione
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• – Redazione
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• – Loretta Dalpozzo
Di Massimiliano Castellani, Avvenire
Kitsch e offensiva la parodia drag queen dell'”Ultima cena” di Leonardo: ma che senso ha trasformare ogni evento planetario in un gay pride? I vescovi francesi: «Siamo feriti, lo sport deve unire»
Se volevano stupirci con la loro proverbiale grandeur, beh gli organizzatori, registi, coreografi, i nani e le ballerine della cerimonia d’apertura di Parigi 2024 ci sono riusciti, ma niente affatto alla grande. Portiamo ancora i postumi della sbronza multimediale della parata parigina. Effetti collaterali per la salute degli stoici spettatori della maratona inaugurale: rischio polmoniti per chi sedeva nei posti delle tribune scoperte, riservate anche al nostro capo di Stato Sergio Mattarella, e coliti per alcuni passaggi nauseabondi che mortificano secoli di grande arte francese. Dagli spalti del Trocadero (mi raccomando da casa calcare la erre e porre il dovuto accento sulla ò) alla fine della tempestosa quanto pirotecnica – anche senza fuochi finali per le polveri bagnate – inaugurazione, il pubblico è andato via allucinato dalle mille paillettes con cui è stata addobbata la Ville Lumière, ma anche bagnato fradicio di inquietudine, spiazzante.
Lo smarrimento di chi ha assistito a un megashow in piena regola in cui c’era di tutto, tranne che il vero spirito olimpico che di solito è il protagonista assoluto. Invece no, Parigi traccia il solco e si riprende la sua Bastiglia sciovinista anche in campo sportivo. Le squadre, gli atleti, dopo Parigi 2024 faranno parte del mero contorno coreografico e chi non ha un fiume a disposizione come la Senna – depurata e portata ai livelli di trasparenza del fondale di Stintino, pensa la sindaca Hidalgo – e non si procura i battelli o al limite dei barconi di salvataggio, da questo momento è squalificato. Parola di “Re Sòla” Macron e di tutti i suoi cortigiani salvapoltrone all’Eliseo. Gli unici gongolanti dopo oltre quattro ore di parodie, passando da un ponte all’altro del kitsch e dell’effimero gigantismo spettacolare. Frutto di effetti specialissimi di una tecnocrazia-tecnologica ormai padrona assoluta dei Giochi. Come un piatto di nouvel cousine gli chef della serata hanno messo in pentola di tutto: pop, rock, lirica. E poi hanno scekerato gli ingredienti con un pizzico fin troppo abbondante di imprescindibile “fluidismo”.
I nostalgici non hanno fatto in tempo a versare la lacrimuccia sulle note romantiche de Il tempo delle mele (qui ormai i poeti della musica Brassens, Gainsbourg, Trenet, Brel sono dinosauri da museo antropologico) che implacabile dall’altra parte dell’Oceano è planata a pelo d’acqua l’adrenalinica e postmoderna Lady Gaga. Un’americana a Parigi, una star strapagata dalla Coca-Cola come se dovesse esibirsi alla festa di compleanno di un presidente Usa o meglio ancora alle nozze di uno dei tanti sceicchi piazzati in tribuna che hanno applaudito la versione 3.0 di Mon truc en plumes , omaggio almeno alla francesissima Zizi Jeanmaire, ballerina, attrice e showgirl scomparsa in piena pandemia, nel 2020.
Dal cabaret si è passati ad attimi di malvasia e champagne, in cui il nuovo motto coniato per l’occasione unica e irripetibile, si spera, è stato “egalitè-fraternitè-diversitè”. Che non è quel tipo di diversità invocato alla vigilia dal presidente della Ue Ursula Von der Leyen: “Come la nostra Unione europea, le Olimpiadi mostrano la forza della diversità e dello spirito di squadra”. No qui si è andati giù pesante di trucco e parrucco a ridisegnare un’umanità che ormai pare aver senso solo se trasgredisce. Non prendeteci per biechi bacchettoni moralistici, ma che senso ha dover vivere ogni singolo evento planetario, per di più sportivo, come se fosse un Gay Pride? Perché il Villaggio olimpico deve essere scambiato a tutti i costi per la nuova residenza dei vecchi cari Village People? (per i millennials quelli dell’intramontabile brano Y.M.C.A.). Perché questa necessità ossessiva di sbandierare ad ogni costo il vessillo della “diversità” e appendersi delle medaglie al collo che diventano delle ineleganti collane bisex da far luccicare in mondovisione.
E poi sbertucciare anche L’ultima cena (povero Leonardo che qui al Castello del Clos Lucè era già morto nell’anno non olimpico 1519) con un apostolato di drag queen che in confronto le ballerine del Moulin Rouge passano per delle educande: un’offesa gratuita e di cattivo gusto ovviamente non soltanto all’arte, ma anche e soprattutto alla sensibilità religiosa di tanti, peraltro in lampante contrasto con quella sbandierata (ma a senso unico) volontà di tutelare qualsivoglia credo, preferenza e orientamento.
Il catastrofismo mal denunciato dal megashowbiz di Parigi ci dice che forse siamo davvero agli ultimi giorni dell’umanità… No, la speranza c’è, ma sta solo nel finale della patetica tragicommedia di Paris 2024. Sta nella foto memorabile della torcia accesa sotto la pioggia battente del penultimo tedoforo: la leggenda del ciclismo Charles Coste, classe1924, oro nell’inseguimento a Londra 1948: con lui storia e il paralimpismo (era in carrozzina) almeno sono salvi. La speranza sta nel toccante ed eterno L’inno dell’amore di Edith Piaf interpretato dalla rediviva Celine Dion che ha chiuso il sipario. Questi due attimi di vera “eternitè” fanno sperare che ci siano ancora arte, poesia, amore e spirito olimpico, perfino sotto la Torre Eiffel.
La discussa parodia dell’Ultima cena è al centro di una nota dei vescovi francesi, che rimarcano: “La cerimonia di apertura proposta dal Comitato organizzativo dei Giochi olimpici purtroppo prevedeva scene di derisione e di scherno del cristianesimo, che deploriamo profondamente. Pensiamo a tutti i cristiani di tutti i Continenti che sono rimasti feriti dall’eccesso e dalla provocazione di certe scene. Vogliamo che capiscano che la celebrazione olimpica va ben oltre i pregiudizi ideologici di alcuni artisti. Crediamo che i valori e i principi espressi e diffusi dallo sport e dalle Olimpiadi – scrivono ancora i vescovi – contribuiscano a questo bisogno di unità e di fraternità di cui il nostro mondo ha tanto bisogno, nel rispetto delle convinzioni di tutti, attorno allo sport che ci unisce e per poter promuovere la pace delle nazioni e dei cuori. Lo sport è una meravigliosa attività umana e i giochi Olimpici sono un movimento al servizio di questa realtà di unità e fraternità umana”.
Nel documento si ringraziano anche “i membri di altre fedi religiose che ci hanno espresso la loro solidarietà”. E, dopo la giusta denuncia, chiarisce costruttivamente: “Lo sport è una meravigliosa attività umana che delizia profondamente il cuore degli atleti e degli spettatori. Le Olimpiadi sono un movimento al servizio di questa realtà di unità e fraternità umana. Posizionate sul campo di gara, possano portare verità, consolazione e gioia a tutti!”.
Di Giuliano Santoro, il manifesto
«L’ultima cena» pantagruelica e la testa mozzata della Regina scatenano gli istinti reazionari. Per Malan (Fratelli d’Italia) le simbologie parigine istigano alla «disobbedienza blasfema»
Il ribaltamento è sotto gli occhi di tutti, roba da triplo salto carpiato all’indietro con medaglia d’oro d’ufficio. A destra denunciano le varie culture woke, la cosiddetta «dittatura del politicamente corretto», e sostengono che il linguaggio e la comunicazione siano l’ultima, fragile, trincea dietro cui si sono barricate le sinistre (meglio ancora se radical chic), ma la verità è che sono terrorizzati dalla potenza di parole, immagini e narrazioni. Insomma, l’ossessione è diametralmente opposta: è dell’altro giorno la proposta di legge leghista (poi ritirata) che voleva vietare l’utilizzo del genere femminile per alcune professioni. Ed è di queste ore lo scandalo per la messa in scena della cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Parigi. Siamo passati dal «Non si può dire più niente» utilizzato per giustificare ogni bestialità all’esplicita invocazione della censura.
IL PASSAGGIO che ha destato maggiore scalpore è la riproposizione in chiave pantagruelica (nel senso del romanzo di Rabelais) dell’Ultima cena di Leonardo Da Vinci. Tutto un mondo variamente reazionario (si va dai complottisti di ogni colore ai rossobruni fino a, ça va sans dire, i fascisti più o meno mascherati) ha visto nella rappresentazione dell’altra sera l’intenzione di macchiare l’immagine sacra con gli stilemi delle drag queen. O, peggio ancora signora mia, della propaganda gender. Ne deriva, a cascata, tutto il campionario degli allarmismi di estrema destra sul laicismo che mette in scena «la debolezza e la disintegrazione dell’Occidente» (il presidente ungherese Viktor Orbán), sulla «Francia di oggi che sembra in mano a filoislamici» (Alfredo Antoniozzi, vicecapogruppo FdI alla camera). Per il golden boy del destrapensiero Francesco Giubilei, poi, «se l’Occidente vuole salvarsi dalla decadenza deve guardare alla Francia e fare l’opposto». Il leghista Simone Pillon si è spinto a chiedere che l’Italia ritiri la sua delegazione in modo da «lasciare Macron a correre solo verso l’abisso» rappresentato da «le radici cristiane ridicolizzate, l’umanità priva di identità sessuale, tutto ridotto a un gigantesco gay pride dionisiaco». Il fatto che siano intervenuti anche i vescovi francesi ha fatto rievocare a più di una persona il precedente tutto italiano de Il Papocchio, il film di Renzo Arbore del 1980 ambientato in Vaticano con tanto di drag queen e tricolori (erano le Sorelle Bandiera) che venne accusato di vilipendio alla religione. Ma non ditelo a Vannacci, sarebbe capace di far risalire a quella pellicola l’inizio del degrado morale. Del resto, sempre ieri nell’acme della paranoia tradizionalista, il senatore Lucio Malan di FdI ha scambiato il toro di bronzo della fontana del Trocadero per un vitello d’oro messo lì ad hoc per evocare la «blasfema disobbedienza» (sic).
DEL RESTO, possiamo facilmente immaginare che ai destri si siano rizzati i capelli in testa quando i metallari Gojira hanno reinterpretato il canto rivoluzionario Ah Ça Ira!con tanto di ingresso in scena della regina Maria Antonietta con la testa mozzata in mano in mezzo a un tripudio di coriandoli rosso sangue. La stessa Giorgia Meloni per svicolare da fascismi e postfascismi si riallaccia al conservatorismo, inteso non come generica postura moderata ma come specifica ideologia che si contrappone allo spirito di uguaglianza, libertà e fraternità (cui saggiamente l’altro giorno a Parigi è stata aggiunta la sororité, la sorellanza) innescato dal 1789 francese. La linea reazionaria che corre da Edmund Burke a Roger Scruton esprime il panico, un sentimento morale prima che politico, che provano i privilegiati quando le masse si riprendono la storia. Da quel cliché sono nate tutte le culture reazionarie. La grande paura della Rivoluzione francese, della nuova era che andava inaugurando rappresenta il rifiuto della modernità: «Il mondo cambia e non so come interpretarlo, dunque mi invento un passato immaginario al quale tornare». La grande paura della ghigliottina sopravvive e forse supera persino il terrore per la Rivoluzione russa, soprattutto da quando nell’immaginario collettivo se n’è appropriato (abusivamente) un tradizionalista, antiglobalista e finanziatore di svariate destre internazionali come Vladimir Putin.
A PIÙ di un destro saranno saltate le coronarie quando tra le statue dorate delle donne che hanno fatto la storia, è comparsa quella della comunarda Louise Michel, che sfidò la corte che doveva giudicare la sua attività rivoluzionaria con queste parole: «Se mi lascerete vivere, esorterò incessantemente alla vendetta». Qualcuno dirà, giustamente, che tutto ciò è anche espressione della sussunzione dell’immaginario giacobino dentro il sistema politico francese. Il che in parte è vero, basti ricordare che la mascotte di Parigi 2024 è ispirata al berretto frigio. Ma in situazioni del genere è impossibile distinguere il palco dalla platea, i grandi eventi nello spazio pubblico sono fatti anche dall’uditorio e non possiamo evitare di notare che il presidente Macron è stato fischiato durante la proclamazione dell’inizio dei Giochi. A testimonianza del fatto che quello spirito rivoluzionario che tanto ha terrorizzato i benpensanti ha contagiato la gente in piazza. Ecco perché da quest’anno avremo un motivo in più per portare un fiore ai caduti della Comune dell’ala sud del cimitero di Père-Lachaise. Il fatto che spaventino i controrivoluzionari anche da morti è la migliore celebrazione della loro vita.
Nell’immagine: una delle scene incriminate
Importante appuntamento con le urne il prossimo 3 marzo: la votazione sull’iniziativa popolare promossa dall’USS. Un’occasione per migliorare le pensioni e rafforzare il primo...
Alcune domande da un contribuente al Municipio