La strada per Wigan Pier
La città di Wigan non ha una squadra di calcio conosciuta, e non ha dato i natali a un gruppo musicale di grido. Probabilmente se qualcuno ne ha sentito parlare è perché figura nel titolo di un bellissimo libro di George Orwell, pubblicato nel 1936 (e disponibile online). In esso l’autore di “1984” si pone proprio la domanda del perché all’epoca non c’erano più socialisti. Le ragioni invocate sono diverse, ma credo abbiano ancora validità al giorno d’oggi. La più divertente è che spesso sono i socialisti stessi a dissuadere un avvicinamento al loro movimento. Un altro motivo di cui si deve pur tener conto è che il fascismo – siamo nel 1936 – ha il suo fascino. Più fondamentalmente, Orwell si interroga sulla pertinenza di un obiettivo come la soppressione delle classi, o sul senso che ha presentare il socialismo come progressista.
Una definizione del socialismo: libertà e giustizia
Per Orwell gli obiettivi essenziali del socialismo sono la libertà e la giustizia. Recentemente ho rivisto la copertina del disco America di Gianna Nannini. Vi figura la Statua della Libertà, con al posto della fiaccola un vibratore. Perché la Nannini non è socialista? Il mio amico Robert mi ha detto che quando ha stretto la mano di Jean Ziegler si è sentito fiero di essere svizzero; pensa che ci vogliano più persone come lui, persone impegnate per la giustizia. L’amico ha militato per poco tempo nell’UDC, e poi ha aderito a un partito che opera a livello comunale e che ha come slogan “le buone idee non hanno colore”. Perché Robert non è socialista?
Chi sono i socialisti?
Orwell scrive che probabilmente molti esitano a unirsi ai socialisti perché questi formano un gruppo in cui vi sono persone un pochino strambe. Così dice che “sarebbe di enorme aiuto, ad esempio, se si potesse dissipare l’odore di stranezza che ancora aleggia nel movimento socialista. Se solo i sandali e le camicie color pistacchio potessero essere messi in un mucchio e bruciati, e ogni vegetariano, astemio e Gesù strisciante fosse rispedito a casa a Welwyn Garden City a fare tranquillamente i suoi esercizi di yoga!” Naturalmente, per Orwell “non è del tutto corretto giudicare un movimento dai suoi aderenti; ma – dice – il punto è che la gente lo fa invariabilmente, e che la concezione popolare del socialismo è colorata dalla concezione di un socialista come una persona noiosa o sgradevole”. Certo oggi vi sono famiglie socialiste per ogni gusto: dai social-democratici, agli anti-capitalisti più convinti, passando per quelli che sostengono la causa LGBTQ+. Ma per alcuni versi, le esagerazioni dei militanti socialisti scientisti o mangia-preti, e di quelli che insistono sulle questioni identitarie allontanano una buona fetta della popolazione dal socialismo.
Il fascino del fascismo
Orwell non fa di certo l’apologia del fascismo, e dice esplicitamente che porta a un’infame tirannia. Il suo obiettivo è proprio di combattere il fascismo che all’epoca guadagnava sempre più terreno, anche in Inghilterra. Proprio per questo voleva che i più diventassero socialisti. Per situare precisamente la questione, condanna fermamente la “tattica sbagliata dei comunisti che sabota la democrazia”, e riconosce che il fascismo può esercitare un certo fascino. Scrive: “chiunque abbia dato anche solo un’occhiata al movimento sa che il fascista di base è spesso una persona di buone intenzioni, sinceramente ansiosa, per esempio, di migliorare la sorte dei disoccupati. Ma ancora più importante è il fatto che il fascismo trae la sua forza dalle varietà buone e cattive del conservatorismo. Per chiunque abbia un senso della tradizione e della disciplina, il suo fascino è garantito. Probabilmente è molto facile, quando si ha subìto la propaganda socialista più priva di tatto, vedere il fascismo come l’ultima linea di difesa di tutto ciò che c’è di buono nella civiltà europea”. Difficile negare l’attualità di questo proposito. Se per esempio do l’impressione che le tradizioni popolari e l’agricoltura non mi interessano, ma che il mio obiettivo è la difesa degli interessi dei lavoratori (stipendiati) per di più in uno spirito internazionalista, è probabile che io perda inutilmente l’adesione di un buon numero di persone ben intenzionate.
La soppressione delle classi
Il libro di Orwell si apre su una descrizione della condizione dei minatori inglesi. È un bellissimo esempio di giornalismo immersivo e impegnato. La sua indagine sul campo ha diversi obiettivi oltre a quello di fornire degli elementi fattuali. Si tratta tra l’altro di mostrare come vive una parte della popolazione su cui si fonda l’economia dell’epoca, e di mettere in evidenza un certo numero di ingiustizie. Orwell segue a fatica i minatori lungo i cunicoli, ne loda la forza fisica, e sottolinea quanto i loro corpi abbiano a soffrire: tutti portano cicatrici profonde lungo la schiena, molti hanno perso i denti, e tanti muoiono sul luogo di lavoro. Inoltre, vivono in condizioni di igiene precarie, che potrebbero essere facilmente migliorate. Il suo passaggio in auto lungo una strada sopra a una miniera, è una metafora calzante del funzionamento dell’economia industriale di inizio XX secolo. È chiara l’attualità del proposito. Ancora oggi una mano d’opera “invisibile” permette al sistema di funzionare. Pensiamo all’importanza del lavoro non retribuito, o al degrado e alla svalutazione del lavoro in quello che si può chiamare il capitalismo algoritmico. Dalle nostre parti si tratta dell’uberizzazione e del lavoro gratuito di valutazione su Google, TripAdvisor, o Airbnb, più lontano si pensi all’esternalizzazione verso i paesi del Sud dei call-center e della raccolta dati per i vari ChatGPT e OpenAI.
Ma il punto essenziale per Orwell è di indicare che per lottare contro queste ingiustizie si deve abbandonare una “gestione della questione di classe estremamente stupida”, visto che è questa a “spingere una quantità di potenziali socialisti verso il fascismo”. Detto diversamente, si tratta di abbandonare una certa ideologia, tenere più presente la realtà, sia essa sociale, o culturale e psicologica. Di fatto Orwell dice: “se mi tormentate continuamente con la mia “ideologia borghese”, se mi fate capire che in qualche modo sottile sono una persona inferiore perché non ho mai lavorato con le mani, riuscirete solo a inimicarvi. Perché mi state dicendo o che sono intrinsecamente inutile o che dovrei modificarmi in qualche modo che non è in mio potere. Non posso proletarizzare il mio accento o certi miei gusti e convinzioni, e non lo farei nemmeno se potessi. Perché dovrei? Non chiedo a nessun altro di parlare il mio dialetto; perché qualcun altro dovrebbe chiedermi di parlare il suo? Sarebbe molto meglio dare per scontati questi miseri stigmi di classe ed enfatizzarli il meno possibile. Sono paragonabili a una differenza di origine, e l’esperienza dimostra che si può collaborare con gli stranieri, anche con quelli che ci stanno antipatici, quando è davvero necessario. Dal punto di vista economico, sono sulla stessa barca del minatore, del marinaio e del bracciante; ricordatemelo e combatterò al loro fianco. Ma culturalmente sono diverso dal minatore, dal marinaio e dal bracciante: ponete l’accento su questo e mi armerete contro di loro.”
Detto questo, non credo che basti dichiararsi fautore di un approccio pragmatico e non-ideologico per seguire la lezione di Orwell. Forse non basta neppure impegnarsi puntualmente per migliorare i salari, le pensioni, e il potere d’acquisto, o aumentare l’uso di energie rinnovabili, o ancora stare dalla parte di… una parte della popolazione. Il messaggio di Orwell è più semplice e al contempo più profondo: facciamo tutti parte di una grande famiglia umana, e tutti meritiamo libertà e giustizia.
A cosa porta il progresso?
Ancora recentemente è stato ribadito in seno al Partito socialista ticinese che è importante rafforzare l’area progressista. Orwell sostiene che “la gente sa che in un modo o nell’altro il “progresso” è una truffa”, e fornisce i passaggi logici per arrivare a questa conclusione. Il primo passo consiste nel dire che il progresso è comunemente associato al progresso meccanico. Su questa base dimostra che “legandosi all’ideale di efficienza meccanica, ci si lega all’ideale di morbidezza. Ma la morbidezza è ripugnante [vedi più sotto la riduzione a un cervello]; e così tutto il progresso si vede come una lotta frenetica verso un obiettivo che si spera e si prega di non raggiungere mai.” Certi dicono che le macchine ci libereranno dal lavoro e ci porteranno a un mondo talmente bello che i preti non avranno più molto da prometterci. Di fatto è falso che il lavoro sia qualcosa di assolutamente noioso e penoso, e il non-lavoro qualcosa di sommamente desiderabile. “Se smettete di usare le mani, avete tagliato una grossa fetta della vostra coscienza”, e “non c’è quasi nulla, dalla cattura di una balena all’intaglio di un nocciolo di ciliegia, che non possa essere fatto con un macchinario. La macchina invaderebbe persino le attività che oggi classifichiamo come “arte”; lo sta già facendo [nel 1936], attraverso la macchina fotografica e la radio. Meccanizzate il mondo nella misura in cui potrebbe essere meccanizzato, e da qualsiasi parte vi giriate ci sarà una macchina che vi taglierà fuori dalla possibilità di lavorare, cioè di vivere”. Alzi la mano chi leggendo queste righe non ha pensato all’intelligenza artificiale! E qui termina la dimostrazione: “pertanto, il fine logico del progresso meccanico è quello di ridurre l’essere umano a qualcosa di simile a un cervello in una bottiglia”, visto che “la parola “progresso” e la parola “socialismo” sono legate indissolubilmente nella mente di quasi tutti. Il tipo di persona che odia le macchine dà per scontato di odiare anche il socialismo; il socialista è sempre a favore della meccanizzazione, della razionalizzazione, della modernizzazione – o almeno pensa che dovrebbe esserlo”.
Notiamo en passant che oltre a essere legate al dibattito in corso sull’intelligenza artificiale queste considerazioni fanno anche luce su fenomeni sociali come la pratica degli sport estremi: non è forse perché viviamo una vita da precursori di cervelli in una bottiglia che cerchiamo emozioni (forti) scalando montagne, correndo in motocicletta, saltando in paracadute, e così via?
Conclusione
Il presidente del partito spagnolo di estrema destra Vox ha appena riunito a Madrid i leader di compagini politiche a lui vicine. Erano presenti alla conferenza Meloni, Orbán e il presidente argentino Milei. Quest’ultimo, davanti a una folla in visibilio, ha terminato il suo intervento gridando più volte libertad. È chiaro che la libertà, come la giustizia, sono invocate da più parti, ma è solo prendendole sul serio, e non limitandone l’ambito che le si difende veramente. Non basta promuovere la libertà d’impresa, il libero scambio, o le libertà individuali.
Una seria e fattuale analisi della distribuzione delle ricchezze ha portato l’economista Thomas Piketty a raccogliere una serie di sue cronache sotto il titolo Vivement le socialisme! Lui stesso ne è stato sorpreso. Ma “conversioni” come la sua sono essenziali perché, come dice Orwell in conclusione, “non c’è alcuna possibilità di salvare [il mondo] dal fascismo, a meno che non si riesca a far nascere un partito socialista efficace. Dovrà essere un partito con intenzioni genialmente rivoluzionarie e dovrà essere abbastanza forte numericamente da poter agire. Potremo ottenerlo solo se offriremo un obiettivo che la gente comune riconoscerà come desiderabile. Al di là di tutto, quindi, abbiamo bisogno di una propaganda intelligente. Meno “coscienza di classe”, “espropriazione degli espropriatori”, “ideologia borghese” e “solidarietà proletaria”, per non parlare delle sacre sorelle, tesi, antitesi e sintesi; e più giustizia, libertà e condizione dei disoccupati. E meno sul progresso meccanico, sui trattori, sulla diga del Dnepr e sull’ultima fabbrica di salmoni a Mosca; questo genere di cose non è parte integrante della dottrina socialista e allontana molte persone di cui la causa socialista ha bisogno, tra cui la maggior parte di coloro che sanno tenere in mano una penna. Tutto ciò che serve è far entrare nella coscienza pubblica due fatti. Uno, che gli interessi di tutti gli sfruttati sono gli stessi; l’altro, che il socialismo è compatibile con la comune decenza”.
Nell’immagine: il molo di Wigan oggi, con il ristorante dedicato a Orwell. Nel sito del Guardian sono disponibili belle fotografie d’epoca che mostrano l’ambiente narrato dallo scrittore