Poli in batteria e l’arte di arrangiarsi
A Lugano una tregua apparente e qualche fuoco d’artificio non nascondono che la questione dell’autogestione rimane aperta e pone interrogativi importanti
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A Lugano una tregua apparente e qualche fuoco d’artificio non nascondono che la questione dell’autogestione rimane aperta e pone interrogativi importanti
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A Lugano una tregua apparente e qualche fuoco d’artificio non nascondono che la questione dell’autogestione rimane aperta e pone interrogativi importanti
Ci sarà senz’altro chi ha rimosso, non tanto le macerie che ancora devono restare a mostrarsi in quanto prove di un procedimento penale tuttora in corso, quanto l’idea che a un anno e mezzo dall’abbattimento dell’ex-Macello, dopo il tanto rumore sepolto da un decreto d’abbandono a dir poco esimente, si possa o debba ancora parlare del tema “autogestione”.
Passato il tempo delle mobilitazioni e delle feroci polemiche, si vorrebbe che tutto fosse tornato alla cosidetta “normalità”, volta alle progressive sorti di una città votata a consacrarsi come capitale di piani B più o meno virtuali e di poli territoriali “strategici” i cui piani sono, in verità, se non altrettanto virtuali, ancora tutti da capire.
Si pensi, ad esempio, al Polo sociale, quello che per casuale o causale coincidenza si colloca fra sedimi privati fatiscenti, di proprietà di una “emerita” Fondazione, “costretta” ancora una volta, proprio negli scorsi giorni, intorno a Natale, a dover subire una proditoria “occupazione” di uno stabile dismesso (quello della ex-Caritas) dopo quella infausta dell’istituto Vanoni in cui, si potrebbe dire, tutto ebbe inizio (e fine).
Oppure si pensi al Polo culturale, che guarda caso, dovrebbe comprendere anche l’area dell’ex-Macello per dar vita a strutture non ancora identificate legate all’USI, alla SUPSI e a tutto quanto fa cultura. Quella cultura, per intenderci, che l’attuale Municipio ha improvvisamente così tanto a cuore, da non perdere occasione per celebrarne i fasti con i numeri degli ingressi al LAC (tanto vituperato dalla Lega negli anni in cui prese faticosamente vita in mezzo alle polemiche) e con innumerevoli (anche meritori, per carità) attività ed appuntamenti culturali cittadini, in cui spicca di questi tempi, la presenza della “Tour Vagabonde” con un programma “autoprodotto” che sta ottenendo numerosi consensi.
Per la città, è anche un po’ il pretesto per dire che con chi dialoga ci si può mettere d’accordo e lasciare che la struttura mobile da simil-teatro elisabettiano che arriva da Friborgo divenga l’emblema (mobile e momentaneo, ma poco importa) della “sensibilità” cittadina verso forme di cultura “dal basso”. Che poi le istanze dell’autogestione, nella sua ormai lunga storia, fossero e siano tutt’altro che un programma di eventi musical-teatrali importa davvero poco. Al cittadino è bene far sapere che ora va tutto bene, e che quei fastidiosi fuochi d’artificio natalizi con lo “sconcio imbrattamento” di armadietti destinati a “famiglie indigenti”, indegnamente rovinati dai soliti molinari, sono solo l’ennesimo piccolo “incidente”, da deprecare, magari via Corriere del Ticino.
Eppure l’autogestione si muove. E forse, negli ultimi tempi, specie in due recenti comunicati, sta pure mostrando una volontà e una capacità di dibattere che le si vorrebbe negare, ma che invece si palesa ben chiaramente al motto di “Altrimenti ci arrangiamo”, una ironica risposta ad un’esternazione (fra le varie) del sindaco Foletti, che aveva affermato, a proposito dell’autogestione, che “chi vuol fare l’antagonista si arrangi”.
Ed il più recente comunicato, diffuso ieri dal CS()A, mostra un’attenzione precisa ai fatti e alle reazioni suscitate dall’occupazione festosa di Natale, per lanciare una chiara denuncia verso specifici e concreti progetti cittadini su cui varrebbe davvero la pena di riflettere.
“Sconcertante davvero. Fondazione Vanoni (privata!) – forse è utile ricordare – a cui è stato affidato il mandato (pubblico!) della gestione del futuro carcere minorile (impropriamente definito ”centro educativo”) il cui approccio si basa su misure punitive e coercitive. Fondazione che (caso volle…) pochi giorni dopo la denuncia imposta dell’occupazione del 29 maggio 2021, riceveva infine l’agognata autorizzazione per il progetto della cittadella sociale a suo tempo lanciato da Mimi Bonetti Lepori. O “futuro Polo sociale” che dir si voglia, messo in stand by dopo la morte di Lepori e poi “improvvisamente” tornato d’attualità dopo l’occupazione. Progetto che sorgerà (guarda caso…), proprio sul sedime tra ex Caritas ed ex Vanoni, abbattuto con una strana fretta e (guarda caso…) in assenza della necessaria richiesta edilizia.
Già il futuro. Futuro Polo sportivo, futuro Polo economico, futuro Polo culturale, futuro Polo sociale. È tutto un fiorire di Poli. Peccato che poi di effettivi luoghi di socialità e di sperimentazione al di fuori della macchina consumista e spettacolare, poco o niente. Anzi. A Lugano sembra sia in atto una corsa a riqualificare vecchi edifici dismessi o piuttosto ad abbatterli. Il tutto per non permettere nessun utilizzo altro di strutture abbandonate e lasciate deperire da anni.
Ma, “nel paese dove va tutto bene”, [si continua pervicacemente a] fare leva sulla paura, sul degrado e sugli altrx (“la colpa è sempre dell’operaio” cantano i *Vad Vuc), ululando di vandalismi a una struttura in totale deperimento. La notte del 25 e la sua ampia partecipazione confermano invece il bisogno reale di spazi liberi e liberati, di aggregazione e di cultura dal basso. Spazi politici che producono conflitto, idee, saperi, mondi altri e che mettono in discussione lo stato delle cose attuale. Né più né meno.”
È un linguaggio chiaro, quello del CS()A, per dirsi certamente “antagonisti”, su fatti ed elementi concreti, che dovrebbero stare a cuore (e preoccupare) i cittadini almeno quanto gli autogestiti. Perché una città che pensa al proprio futuro stringendo convenzioni con El Salvador, immolandosi alla roulette (russa?) del mondo cripto, ed abbattendo tutto ciò che è dismesso per metterlo in mano a privati, è una città che ha un’idea di “comunità” e di “bene pubblico” che andrebbe forse un po’ rivista, dall’intera cittadinanza, anche grazie all’autogestione.
Nell’immagine: fette di salame sugli occhi, in un fotogramma dal video de “Il paese dove tutto va bene”, dei Vad Vuc
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