Putin spinge per la guerra totale
Putin già assaporava un facile ritorno di Trump e un accordo con gli Usa a scapito di Kiev. Ora la gara si riapre e il Cremlino deve accelerare sulla guerra, con il rischio di un massacro
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Visto da Mosca: semplicemente un non evento, un fattucolo, uno spettacolino paesano messo in piedi da un nemico pericoloso sì, ma pur sempre primitivo e grottesco. Insomma: al Cremlino lo “storico’’ colpo di scena, “l’inimmaginabile’’ auto pensionamento di Biden muscoso di vecchiaia, la “elettrizzante’’ ascesa della modesta corista Kamala, i dibattiti, i retroscena, le previsioni, il “tutto torna in gioco’’, non sono quasi niente.
E non per le quattro righette altezzose dedicate al fatto a stelle e strisce nelle dichiarazioni ufficiali: noi russi siamo impegnati nell’Operazione speciale … le presidenziali americane? Sono affar loro… Semmai perchè per l’Unico che decide davvero dietro le spesse mura del Cremlino i giochi sono già fatti. Ovvero a novembre la guerra continuerà comunque; e soprattutto la divisione del mondo nei vecchi Blocchi è ormai una realtà che né “Donald l’eversore’’ né “Kamala l’enigma’’ potrà modificare. Il cemento putiniano di questa fase del ventunesimo secolo si è purtroppo solidificato in due anni, gli odi e le divisioni tra i due mondi dell’Est e dell’Ovest sono permanenti. Una tragedia? Niente affatto: dal suo punto di vista è il panorama migliore per eternizzare il proprio potere. Signori di Washington, accomodatevi nei vostri giochetti delle decadenti democrazie. Fate discussioni come se il mondo cominciasse ora. Ma le carte le ho già distribuite io.
A legger bene le mosse dello zaretto, da più di due anni si affaccenda con profitto per il consolidamento di un irrimediabile Disordine Mondiale che esiga all’interno formidabili necessità disciplinari, esemplifichi la fallacia dell’assolutismo americano e gli fornisca alleati altrettanto decisi a profittevoli sconquassi. Che alla Casa bianca vada un falco o una colomba, un isolazionista egocentrico o un interventista più o meno vispo, che il comandante in capo sia maschio o femmina, non ha alcuna importanza. Son fatue sopravvivenze di un mondo che non esiste più.
Ha corso una teoria secondo cui Putin da temerario dilettante abborracciatore si è imbussolato il cervello sulla vittoria del candidato repubblicano e di quell’incerto magma che è il “trumpismo”; sarebbe l’unica via per possibili destreggiamenti diplomatici di alto bordo e successive scappatoie dalle sue rovinose fatuità. Mi sembra più proiezione dei nostri desideri che realtà. Da più di due anni attribuiamo al nemico moscovita, immobilizzato nell’indeterminatezza del Mostro, progetti che convengono alla nostra propaganda e forse per questo non riusciamo a costruire al di là della elementare strategia di tener in piedi gli ucraini con l’ossigeno di armi e denaro nessuna politica basata sui fatti e le possibilità. Dare l’impressione di sperare in Trump per Putin sarebbe un errore: dice di poter porre fine alla guerra in un giorno, sì ma come? «da oggi a novembre passa ancora molto tempo e possono succedere molte cose…» un saggio ragionamento.
Putin con il cannone continua a diroccare l’Ucraina, che da la caccia disperata a uomini da gettare nelle trincee del Donbass, villaggio dopo villaggio allarga le sue conquiste. Non è certo in una condizione così disperata da riporre le speranze nello sfasciume del rapporto tra l’America e la Nato agitando lo spettro intimidatorio della armi risolutive e finali, i proiettili stratosferici dopo il fallimento di quelli tradizionali e antiquati. Secondo alcuni invece starebbe dunque consumando le sue forze ultime per conseguire tra le sconfitte inevitabili la meno deleteria. La vittoria di Trump sarebbe l’ultima possibilità che gli viene offerta dal caso e dalla Storia. Ma sostituito Biden, uno sconfitto per destino, lo scenario non è più scontato.
Quel che non torna in questa ipotesi è che accettare la sconfitta, che può costituire il maggior atto di coraggio politico, per Putin non è ammesso neppure tra le cose discutibili. Ha perfezionato fin dal primo giorno della aggressione alla Ucraina quei calcoli e quelle combinazioni per cui la Russia, iniziata la sua politica di potenza e di riarmo, è venuta distruggendo e annullando e contraddicendo coi fatti la ragione, chiudendo la via ad ogni composizione futura e politica con il suo vero nemico che non è Zelensky ma Washington e i suoi obbedienti alleati. Nella cosmologia putiniana, che è un fatto personale e non più ideologia collettiva, sistema, l’antica distinzione tra civili e barbari è semplicemente rovesciata rispetto alla nostra. La politica americana appare come l’ultima incarnazione ed effetto di rancore e di odio, prepotenza verso la Russia nel fine unico di ridebellarla a qualunque prezzo non solo militare, anche finanziario economico diplomatico e politico. Ma è davvero frutto della sua vana sufficienza la constatazione per cui la potenza e la supremazia americana si risolva poi sempre nella formula semplice e spietata della resa senza condizioni? Un dettaglio quindi indifferente alla biografia di chi occupa lo studio ovale.
Il distacco tra qui e là, tra noi e loro ha assunto in questi anni visto dal Cremlino un confortante aspetto definitivo. Le economie occidentali arrancano tra crisi inflazionistica e crisi mitologica mentre i grafici della economia di guerra russa esprimono cifre confortanti. Autarchia era la parola chiave dei piani quinquennali di Stalin, rieccoci qua; la Russia come l’Urss si isola per restrizioni, divieti, anatemi, mandati di cattura internazionali. Gli spiriti critici non ci mettono più piede e questo è bene, evita contagi e tentazioni domestiche, i mercanti e i commessi viaggiatori arrivano da Est e non più da Ovest. L’occidente reagisce in modo speculare, lo scambio di idee (pericolose) si esaurisce, la percezione del nemico oltre frontiere tornate rigide comincia a farsi confusa. Grande vantaggio per la propaganda. Un piccolo inventario di ciò che resta è sconfortante: relazioni diplomatiche di maniera, al minimo, censura , contatti sportivi terminati, scambi economici ridotti al contrabbando anche se molto redditizio. Questo è il clima perfetto per una autocrazia: il ricatto della minaccia l’isolamento il mito della potenza e dell’assedio indomito e vittorioso…Sì, assomiglia tutto questo agli anni squallidi della Russia della stagnazione, il loro lento strisciare nella retorica ingannatrice, la tranquillità morbosa del regime, l’ultimo rifugio di una epoca morente. Ma siamo sicuri che quello che Machiavelli avrebbe chiamato “le medicine forti’’, ovvero le congiure, levino di mezzo Putin prima dell’estrema logica conclusione del suo furore, ovvero la guerra totale?
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