Questa è una festa che durerà per sempre
La felicità di Napoli e di un popolo vestito d’azzurro
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La felicità di Napoli e di un popolo vestito d’azzurro
Di Maurizio de Giovanni- scrittore, La Stampa
Non guardate.
Non guardate Napoli, per favore.
Non guardate questa città adesso che è in festa, adesso che è azzurra in ogni minima parte. Non considerate questo momento di assoluta, insuperabile felicità collettiva, fatta di sorrisi e di abbracci e di canzoni, una specie di gigantesco flash mob con un milione di ballerini e di musicisti spontanei pronti a far scattare cori e balli di gruppo nelle stazioni della metropolitana, nelle piazzette e nei bar, e perfino nei negozi.
Non vi appassionate agli striscioni che collegano palazzi ad altri palazzi, messaggi d’amore color del mare al posto dei soliti panni stesi; e nemmeno alle sagome dei calciatori a grandezza naturale e in alta definizione disposte sulle pedamentine, come se stessero scendendo dalla collina verso il centro a portare felicità.
Non vi soffermate nella via dei pastori, per vedere Kvaratskhelia e Osimhen al posto dei re magi e Spalletti nel ruolo di Gesù Bambino, perché li ritroverete fissi di anno in anno e di Natale in Natale, ormai stabilmente piazzati nel presepe del cuore di questa città.
Non sorridete incantati davanti alle vetrine delle pasticcerie, dove la dolcezza del trionfo si è trasformata in volti e figure di panna e sfoglia, mascherine di cioccolata e capelli biondi di marzapane, torte e paste e cioccolatini di ogni forma purché sia evocativa della squadra campione; e non fiondatevi nelle pizzerie, affascinati dalla creatività artistica di questi assoluti Maestri che modellano ingredienti come prendendoli da una tavolozza, così che mangiare diventi una celebrazione.
Non cercate punti d’osservazione sopraelevati, per abbracciare con un unico sguardo cielo mare montagna isole e penisola insieme a fuochi d’artificio, fumogeni e bandieroni sventolanti. Non fatelo.
Non vale la pena, sapete. Perché la festa non finirà così presto, dissolvendosi nel momento travolgente della matematica conclusiva. Certo, adesso è esplosiva perché è identitaria. Non c’è napoletano che sarà escluso, non c’è ragazzo o vecchio che non si riconoscerà nell’urlo liberatorio che arriva alla fine di una storia di fallimenti e disperazioni, di illusioni e disillusioni, di incanti e disincanti durata 33 anni.
Non guardate Napoli adesso, se non l’avete guardata nel 2018 quando non bastarono i 91 punti, e il gioco scintillante di Sarri. Non guardate, se non avete viso i sessantamila della serie C contro il Cittadella. Non guardate se non avete pianto di rabbia e d’amore quando nel 2005 si perse la finale playoff con l’Avellino. Non guardate, se intendete non avere memoria di chi in questo lungo tempo di sofferenza e di private, piccole gioie se n’è andato, senza poter vedere rinascita e risalita, senza poter capire che alla fine di quel tunnel c’era questo sole abbagliante che brucia gli occhi e li fa lacrimare senza sosta.
Soprattutto non guardate, se siete pronti a rimarcare l’assenza dei caschi sui motorini o se proverete a calcolare spese e introiti basandovi sul reddito di cittadinanza, come qualche triste commentatore ha anche provato a fare; se vorrete immaginare che questo trionfo sia una coincidenza, che non sia frutto di una sana e intelligente programmazione con geniali risvolti di scouting, che nell’anno in cui si riduce il monte ingaggi di un terzo, si abbassa l’età media di tre anni e si cedono i cinque migliori, si va a vincere con una ventina di punti sui maggiori competitori, immersi nei debiti, nei processi o negli infortunati storici con ingaggi multimilionari.
Guardate piuttosto ai molti milioni di napoletani nel mondo, che oggi tireranno fuori dai cassetti una maglia azzurra, magari vecchia e con la scritta Buitoni, e idealmente si metteranno in viaggio. Guardate a chi a Buenos Aires, a San Pietroburgo o a Shanghai vedrà la partita in orari improbabili, e urlerà e si abbraccerà esattamente come fosse a Materdei o a Mergellina.
Guardate lì, in tutte queste città. Come a Padova, a Novara, a Rimini o a Bologna.
Perché questa, sapete, è la festa non di una squadra, ma di un’identità.
È la festa di un popolo. E al di là di un bel momento di spettacolare confusione, durerà un sacco di tempo.
Forse, durerà per sempre.
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