Sfida aperta a Xi Jinping
Sul banco di prova la politica restrittiva del governo di Pechino, che non si limita al controllo della diffusione del Covid, ma pervade l’intera società cinese, ormai allo stremo ed esasperata
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Sul banco di prova la politica restrittiva del governo di Pechino, che non si limita al controllo della diffusione del Covid, ma pervade l’intera società cinese, ormai allo stremo ed esasperata
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Sul banco di prova la politica restrittiva del governo di Pechino, che non si limita al controllo della diffusione del Covid, ma pervade l’intera società cinese, ormai allo stremo ed esasperata
Un foglio bianco A4 (diventato simbolo della protesta) sulla faccia di Xi Jinping (da Twitter)
“Dimettiti Xi Jinping”, “Non vogliamo la dittatura, vogliamo la democrazia”. Slogan rari, coraggiosi, pericolosi, gridati a squarciagola da Pechino a Shanghai, da Chengdu a Wuhan.
Proteste sindacali, proteste rurali non sono inconsuete in Cina, ma mai si era vista una sfida così diretta al Presidente cinese. Migliaia di persone rischiano il carcere per aver espresso il proprio dissenso nelle strade delle principali città cinesi.
“Non abbiamo bisogno di test anti-Covid, abbiamo bisogno di mangiare” hanno gridato altri manifestanti a Pechino, mentre migliaia di studenti universitari sfilavano con dei fogli bianchi in un gesto simbolico contro la censura cinese. “Non c’è bisogno di scrivere niente, tutto il mondo sa perché siamo qui”. Quando l’hashtag #WhitePaperRevolution, ossia la rivoluzione dei fogli bianchi, è stato oscurato sui social media, come prevedibile, aveva già fatto il giro del mondo, insieme a migliaia di video e fotografie di cittadini decisi a dire “basta”!
Uomini e donne di ogni età e stato sociale denunciano le rigide ed interminabili misure anti-covid, che hanno messo milioni di persone, di famiglie, di aziende, in gravi difficoltà finanziarie. La gente vuole tornare alla vita pre-pandemica, come il resto del mondo. La ribellione degli ultimi giorni contro la leadership cinese rappresenta il più grande test per Xi Jinping da quando è salito al potere e arriva in un momento estremamente delicato a livello economico e geopolitico.
Il tacito patto tra il partito comunista e la popolazione si basava sulla promessa della prosperità, di un certo grado di libertà personale e professionale, in cambio della lealtà pubblica, ma tre anni di isolamento e di limitazioni, hanno rotto questo accordo.
Se inizialmente la gente ha capito ed accettato che le chiusure e le restrizioni fossero necessarie per salvare vite, il protrarsi dei test di massa, dei lockdown a volte innescati per un unico caso di Covid asintomatico, sollevano rabbia, dubbi e domande.
Perché il governo non ha mai lanciato la campagna di vaccinazione su larga scala? Perché non ha mai importato i vaccini basati sulla tecnologia a mRNA? Perché le autorità continuano a costruire strutture per le quarantene? Perché il resto del mondo è tornato ad una sorta di normalità e non la Cina?
Le proteste delle ultime ore dimostrano i limiti della politica di azzeramento del Covid, che si sta rivelando un incubo, ma testimoniano anche della fragilità dei regimi totalitari. La loro sopravvivenza dipende dal fatto che le persone credono di non avere alcun potere, finché si ricordano di averlo.
Xi Jinping ha basato la sua autorità, la sua credibilità sulla politica di eradicazione del virus, quindi il suo problema è trovare la giusta via di uscita. Quali sono le opzioni? Se la Cina mettesse fine alle restrizioni in modo repentino, il rischio di una grave crisi sanitaria sarebbe reale. Decidere di vaccinare tutti, non è né facile, né immediato. La sfiducia verso i farmaci contro il virus rimane alta, soprattutto tra gli anziani.
La via più plausibile è una rapida ripresa del controllo per fermare le proteste, prima di fare delle concessioni. Un’altra possibilità è la riapertura a due velocità: allentare alcune misure per chi è immunizzato, mentre si continua a proteggere gli anziani. Pechino potrebbe anche decidere di importare i vaccini a mRNA, in un cambio di rotta, che rischierebbe però di far “perdere la faccia” al Presidente Xi. Nella cultura cinese perdere la faccia significa compromettere la propria influenza e reputazione.
Il ripristino dell’ordine è senza dubbio una priorità per Pechino. Si specula su come le autorità risponderanno a nuove contestazioni, dopo una prima reazione delle forze dell’ordine meno coordinata e meno dura del previsto. Si attende e si teme uno spietato giro di vite contro coloro che hanno osato l’impossibile, sfidare Xi Jinping.
Nell’immagine: manifestazione degli/delle studenti dell’Università Tsinghua di Pechino
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