Smettetela di sputare, schifosi
Lo sputo è diventato un marchio di fabbrica del calciatore moderno, ignaro della profezia di Shakespeare e delle parole illuminanti del capo indiano Seattle
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Lo sputo è diventato un marchio di fabbrica del calciatore moderno, ignaro della profezia di Shakespeare e delle parole illuminanti del capo indiano Seattle
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Lo sputo è diventato un marchio di fabbrica del calciatore moderno, ignaro della profezia di Shakespeare e delle parole illuminanti del capo indiano Seattle
Sputo, ergo sum: sono un calciatore, sono oltre le convenzioni, ho uno statuto speciale che mi è dato dalle enormi somme che guadagno e dalle enormi attenzioni di cui godo. Lo sputo diventa sempre piú sistematico su molti campi e a molte latitudini, ad eccezione della “Bundesliga” tedesca che raccomanda di “evitare l’emissione di saliva” in tempi di “Covid 19”, ma lascia all’arbitro la possibilità di intervenire, magari con un semplice invito a non farlo più.
In Italia si ha notizia di interventi in tal senso, e addirittura di sanzioni, ma solo in campo giovanile. Sono già state comminate due giornate di squalifica a un quattordicenne. Il cattivo esempio fa scuola: nella partita di calcio regionale under 17 fra lo Zianigo e l’Altobello Aleardi Barche, un arbitro che aveva espulso un giocatore, è stato accerchiato dagli esponenti della squadra avversaria che lo volevano salvare!
Insomma, sputare si può: si sputa non per motivi fisiologici, dovuti allo sforzo fisico, o perché fa bene alla salute, salvo eccezioni, ma per una specie di rito, per una forma di “maschilismo”, di infantile protesta-trasgressione: esprimo il mio disappunto per una punizione andata a lato, un rigore mancato, un fallo non fischiato, una partita persa: è quanto faceva lo zio Romerio 60 anni fa, spesso in conflitto con le autorità comunali: spüdi giò bass! – quando riteneva di essere vittima di qualche ingiustizia. Mostrava il suo disprezzo.
Ma di quali ingiustizie è vittima il calciatore, privilegiato e viziato oltre ogni limite, al quale demandiamo i trionfi che noi, piccoli Fantozzi, non possiamo celebrare nella vita reale, al quale tutto perdoniamo per il surrogato di una vittoria per interposta persona?
I giocatori di rugby, sport perlomeno altrettanto pesante del calcio, non sputano, o se lo fanno, sputano in misura molto minore. Non si sputa nel basket e nella pallavolo. Il calciatore fa un’enorme fatica a liberarsi dell’anatema di Shakespeare, risalente a più di 400 anni fa, quando una partita di foot-ball consisteva nel portare una vescica di maiale riempita di capelli da un rione o da una contrada all’altra con tutti i mezzi, non di raro in un modo violento al punto da causare incidenti mortali.
I sindaci e i rappresentanti dei re tentavano invano di proibire il “gioco”; dopo brevi interruzioni si ripresentava, sino all’Ottocento, quando il calcio è stato codificato nei grandi college inglesi dove studiava la nobiltà ed è stato ingentilito dal “fair-play”, il gioco nel rispetto delle regole, separando il calcio dal rugby: a te piedi e mani, a me, foot-ball, solo i piedi. Ma nella “deregulation” moderna il calciatore usa, eccome, le mani, in ogni zona del campo, e spesso con piena tolleranza degli arbitri.
Insomma, il “vile foot-ball player” di Shakespeare, l’abietto calciatore di cui si parla in “Re Lear” sembra faccia molta fatica a liberarsi dei suoi costumi medievali, che avevano indotto il bardo di Stratford-upon-Avon a citarlo come esempio massimo di abiezione, al termine di una serie di pesanti insulti rivolti dal Re al servo Oswald, accusato di scarso rispetto e di scarsa lealtà: “wohreson”, figlio di…, “cur”, cagnaccio, “rascal”, canaglia. Basta cosi? No, appunto. Shakespeare va in cerca di qualcosa di piú forte, e lo trova mettendo in bocca al duca di Kent: “you vile foot-ball player”. Spregevole calciatore.
Al quale, parente del lama delle Ande più che della scimmia urlante del Madagascar, con pochissime speranze di attenzione, affidiamo le parole rivolte da Capo Seattle (da cui il nome della città) al Grande Padre che a Washington voleva comperare il suo territorio: “come si puó comperare il Cielo e la Terra? Ogni ago di pino scintillante, ogni insetto che ronza è sacro al mio Popolo: come si può possedere la propria madre? Se gli uomini sputano per terra, sputano su loro stessi: qualunque cosa accadrà alla terra, accadrà all’uomo stesso”.
“Ma io sputo nell’erba”, direbbero Ronaldo, Cuadrado e Co.
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